PLAUTO - Anfitrione

Eracle, figlio di Giove e di Alcmena, uccide i due serpenti
Eracle, figlio di Giove e di Alcmena, uccide i due serpenti

PLAUTO - AMPHITRUO

 

Riduzione e libero adattamento a cura di Cultura&Svago 

 

 

E' vietata la rappresentazione teatrale o pubblica, l'utilizzazione di questi testi e la citazione anche solo di una parte di essi. E' vietata la riproduzione a stampa o sul web, anche solo parziale.

 

PERSONAGGI (in ordine di apparizione)

 

MERCURIO

SOSIA

GIOVE

ALCMENA

ANFITRIONE

BLEFARONE

BROMIA

 

PROLOGO

 

MERCURIO - (esce dal palazzo di Anfitrione, vestito da schiavo, con le alucce sul cappello da viaggio, e si rivolge agli spettatori) Io vengo per ordine di Giove, il mio nome è Mercurio.

Ecco il soggetto della nostra commedia. Questa città è Tebe, in quella casa abita Anfitrione, nato ad Argo da padre argivo; sua moglie è Alcmena, figlia di Elettrione. In questo momento, Anfitrione è al comando dell'esercito tebano, in guerra con i Teleboi. Prima di partire per la guerra, Anfitrione ha messo incinta sua moglie Alcmena. Giove mio padre si prende molte libertà si prende in molte faccende ed è molto focoso nell'amore. Ha cominciato ad amare Alcmena all'insaputa del marito, ha posseduto il suo corpo e l'ha resa incinta. Quindi Alcmena è incinta di entrambi, di suo marito e del sommo Giove. E adesso mio padre è qui con lei: ha reso questa notte più lunga, per potersi concede piacere con la donna che ama. Mio padre Giove si è truccato in modo da sembrare Anfitrione; ora è dentro il palazzo, trasformato in Anfitrione; gli schiavi credono che sia lui. Anch’io sono travestito da schiavo: ho preso l'aspetto dello schiavo Sosia, che è partito per la guerra assieme ad Anfitrione: così potrò servire mio padre nei suoi amori. Mio padre, mentre abbraccia colei che è in cima ai suoi desideri, le racconta quello che è successo in guerra. In questo momento, le racconta come ha messo in fuga le legioni dei nemici e le mostra gli onori e i premi vinti in guerra, che noi gli abbiamo rubato. Oggi Anfitrione tornerà dalla guerra con il suo schiavo. Lei lo crede suo marito, non un amante. Perché voi possiate distinguerci più facilmente, io avrò queste alucce sul cappello e mio padre avrà una trecciolina d'oro sotto il cappello, cosa che non avrà Anfitrione. Questi segni non possono essere visti da nessuno nella casa, mentre voi li vedrete. Ecco Sosia, schiavo di Anfitrione, che giunge dal porto. Appena arriva, lo caccerò di casa. (si ritira in un angolo del palcoscenico)

 

ATTO I

 

SCENA I

 

SOSIA e MERCURIO

 

SOSIA (entra in scena da sinistra, con una lanterna in mano: non si accorge della presenza di Mercurio e parla tra sé) - Chi è più audace, più temerario di me, che me ne vado in giro da solo a quest'ora di notte? Che cosa potrei fare, se ora le guardie mi cacciassero in prigione? Sarei frustato e non avrei la possibilità di difendermi, né avrei aiuto dal mio prepotente padrone che, a quest'ora di notte, mi ha spinto via dal porto. Stare agli ordini di un padrone ricco è duro: notte e giorno ha sempre da fare o da dire e non può mai stare tranquillo. Il padrone non pensa che i suoi ordini possano essere ingiusti. Pazienza: bisogna sopportare questo peso con tutte le sue fatiche!

MERCURIO (a parte) - Dovrei lamentarmi di essere schiavo io che sono stato ridotto in schiavitù da mio padre! E lui, schiavo di nascita, si lamenta!

SOSIA - Sono proprio uno schiavo da prendere a schiaffi: ho dimenticato di ringraziare gli dei per i loro benefici, di rivolgere loro una preghiera. Ho accolto il bene che mi hanno fatto senza gratitudine, come se nulla fosse.

MERCURIO (a parte) - Costui ha una qualità piuttosto rara: sa cosa si merita!

SOSIA - Quello che mai nessuno avrebbe pensato che ci potesse succedere, è accaduto: sani e salvi torniamo a casa, vittoriosi, dopo aver sterminato i nemici. Quella città che molti lutti portò al popolo tebano, è stata espiugnata, grazie al mio signore Anfitrione. Dal porto mi ha mandato avanti, per dare a sua moglie la notizia. Quando sarò giunto là, racconterò delle frottole perché, quando gli altri erano al culmine della lotta, io ero al culmine della fuga. Fingerò di essere stato presente e riferirò quanto ho sentito dire. Questo sarà il mio racconto: <Appena abbiamo toccato terra, Anfitrione sceglie gli ambasciatori: ordina che riferiscano ai Teleboi la sua decisione. Se, senza violenza e senza guerra, avessero accettato di restituire preda e predoni, egli avrebbe ricondotto subito l'esercito in patria e lasciato il paese, offrendo loro pace e tranquillità. Se non gli davano ciò che chiedeva, avrebbe attaccato la loro città. Gli ambasciatori dettano queste condizioni ai Teleboi, i quali, confidando nel valore e nelle forze, rispondono di poter difendere se stessi e i propri cari con la guerra. Non appena gli ambasciatori riferiscono la risposta, gli eserciti si preparano ed escono al completo. I due comandanti discutono tra loro. Si stabilisce che chi fosse stato vinto in quella battaglia si sarebbe arreso senza condizioni, consegnando città e territorio, edifici sacri e profani, e le loro persone. Finito ciò, d'ambo i lati si leva il grido di guerra. I comandanti offrono voti a Giove. Iniziano a combattere; il cielo rimbomba per il tumulto degli uomini, i soldati soccombono sotto l'impeto dei colpi. Infine, la nostra parte risulta superiore, i nemici cadono e i nostri incalzano: vinciamo con la forza e la fierezza. Nessun nemico si dà alla fuga, ognuno continua a combattere restando saldo: sacrificano la vita, piuttosto che ritirarsi. Il mio signore Anfitrione ordina di far avanzare i cavalieri, che si slanciano con un fortissimo grido, in un assalto pieno d'ardore e schiacciano le schiere dei nemici>.

MERCURIO (a parte) - Finora non ha detto una sola parola sbagliata: perchè io e mio padre eravamo lì, presenti sul campo, durante la battaglia.

SOSIA - <I nemici si gettarono in fuga. Anfitrione riuscì ad abbattere di propria mano il re Pterelao. Quella battaglia fu combattuta lì dalla mattina alla sera: lo ricordo, perchè quel giorno sono rimasto senza mangiare. La notte, al suo arrivo, separò i contendenti. Il giorno dopo, vengono al nostro accampamento i capi dei nemici: implorano il perdono della loro colpa, e affidano le loro persone, ogni bene, la città e i figli, al potere e all'arbirio del popolo tebano. Infine il mio signore Anfitrione ricevette un dono, come premio al valore: la coppa d'oro con la quale il re Pterelao soleva fare le sue libagioni>. Ecco quello che racconterò alla padrona. Ora mi sbrigherò a raggiungere la casa.

MERCURIO (a parte) - Attenzione! Quello là vuol venire da questa parte! Gli andrò incontro e non lascerò che si avvicini oggi a questa casa. Dal momento che sono la sua copia, ho deciso di prendermi gioco di lui. Dato che ho il suo aspetto e la sua condizione, avrò anche sue le maniere e il suo carattere: devo metterci cattiveria, molta astuzia e respingerlo dalla porta con la sua arma, la furberia. Sta fissando il cielo.

SOSIA - Credo che questa notte il dio Notturno si sia addormentato sbronzo: le sette stelle dell'Orsa non si muovono nel cielo, la luna non si sposta da quando è sorta, né Orione né la stella della sera né le Pleiadi tramontano. Immobili, le stelle stanno ferme al loro posto e la notte non cede il passo al giorno.

MERCURIO (a parte) – O Notte, asseconda mio padre! Stai prestando nel migliore dei modi il miglior servizio al migliore degli dei!

SOSIA - Credo di non aver mai visto una notte più lunga di questa, se non quando, dopo essere stato frustato, sono rimasto appeso per tutto il tempo. Ma questa notte è lunghissima! Credo proprio che il Sole stia dormendo dopo una bella bevuta. Se la sarà spassata un po' troppo a cena!

MERCURIO (a parte) - Dici davvero, faccia da schiaffi? Pensi che gli dei siano simili a te? A causa di queste tue parole, pendaglio da forca, ti preparerò una bella accoglienza: prova soltanto a venire qui e ti capiterà un malanno!

SOSIA - Andrò a riferire ad Alcmena quello che il padrone mi ha ordinato. (si accorge della presenza di Mercurio, ma è convinto di non essere visto) Ma chi è quell'uomo davanti a casa a quest'ora di notte? Non mi piace. Ho paura: costui mi prenderà a botte. Pietà, è grande e grosso!

MERCURIO - (Ad alta voce) Forza, pugni! E’ passato troppo tempo da quando ho picchiato e messo a dormire quattro persone!

SOSIA - Ho paura di dover cambiare nome, e diventare Quinto. Dice di averne messi a dormire quattro: temo di dover aumentare quella cifra.

MERCURIO (si rimbocca le maniche) - Chiunque verrà qui, assaggerà dei pugni!

SOSIA - Via, non mi va di assaggiare cibo a quest'ora di notte; ho appena cenato. Se sei furbo, questa cena va' ad offrirla a chi ha fame!

MERCURIO (a parte) - Niente male la potenza di questo pugno! E se gli dessi una carezza per addormentarlo?

SOSlA - Mi salveresti: son tre notti di fila che non dormo!

MERCURIO (rivolgendosi alla propria mano) - Deve essere irriconoscibile, la faccia di quello che sfiorerai con un pugno! Bisogna che resti disossato, il viso di quello che colpirai per bene!

SOSIA - Vuoi vedere che questo sta pensando di disossarmi come se fossi una murena? Alla larga! Sono finito, se mi vede!

MERCURIO (a parte) - Un uomo manda puzza, per sua sventura. E non dev'essere molto lontano, anche se viene da lontano. (Provando qualche pugno in aria) Mi prudono le mani...

SOSIA - Se hai intenzione di esercitarle su di me, per piacere, sfogale prima contro un muro!

MERCURIO (a parte) - Una voce mi è volata alle orecchie. Costui cerca da me un brutto carico per la sua groppa. Bisogna caricarlo per bene di pugni.

SOSIA - Non posso muovermi dallo spavento, ma ostenterò sicurezza, per potergli sembrare forte, perché non osi mettermi le mani addosso.

MERCURIO - Dove vai? Faccia da schiaffi! Posso sapere dove vai, di chi sei schiavo, o perché sei venuto? Cosa ci fai davanti a questa casa?

SOSIA - Cosa ci fai tu, piuttosto!

MERCURIO - Il re Creonte mette sempre delle sentinelle notturne.

SOSIA – Io abito qui, ti dico, e sono schiavo dei padroni di qui!

MERCURIO – Ti bastonerò a dovere, se non te ne vai subito!

SOSIA Tu pretendi d'impedirmi di entrare in casa, a me che ritorno da fuori?

MERCURIO - Sarebbe questa la tua casa? Chi è il tuo padrone?

SOSIA - Anfitrione, quello che comanda l'esercito tebano, che ha per moglie Alcmena. I Tebani mi chiamano Sosia, generato dal padre Davo.

MERCURIO - (gli sferra un pugno) Osi dire di essere Sosia. Contaballe. Sono io Sosia, non tu. C’è un solo schiavo Sosia, e quello sono io.

SOSIA - Io sono Sosia, lo schiavo di Anfitrione. Dico il vero! Non tacerò! Non riuscirai mai a farmi cambiare proprietà, così che io non appartenga più a questa casa! Non c'è altro Sosia oltre a me, che sono partito per la guerra!

MERCURIO – (Bastonandolo) Tu non sei Sosia. Sosia sono io.

SOSIA– Non sono io Sosia, lo schiavo di Anfitrione? Non è giunta questa notte la nostra nave dal porto? Non mi ha mandato qua il mio padrone? Non mi trovo ora davanti a casa? Non sto parlando? Non sono sveglio? Non mi ha preso a pugni quest'uomo, poco fa? Le mascelle mi fanno ancora male! E dunque, perché ho dei dubbi? Perché non vado dentro, in casa nostra?

MERCURIO - Quello che hai appena detto è tutto falso! Io sono Sosia, di Anfitrione! La nostra nave è salpata questa notte dal porto Persiano; noi abbiamo espugnato la città dove regnava il re Pterelao, combattendo con valore abbiamo avuto ragione dell'esercito dei Teleboi, e Anfitrione in persona è riuscito ad abbattere il re Pterelao in battaglia!

SOSIA (a parte) - Non credo alle mie orecchie: costui sa tutto. (a Mercurio) Dimmi, qual è il dono che Anfitrione ha ricevuto dai Teleboi?

MERCURIO - La coppa d'oro con cui re Pterelao soleva fare le sue libagioni. E’ in un cofanetto, il sigillo di Anfitrione è il sole nascente con la quadriga.

SOSIA (a parte) - Non so dove abbia potuto vedere tutto ciò. Ma adesso, lo frego io. Non saprà quello che ho fatto da solo! Se tu sei Sosia, al culmine della lotta, che cosa hai fatto nella tenda? Mi arrendo, se me lo dici.

MERCURIO - C'era una botte di vino: ne ho riempito una bottiglia... Quella bottiglia me la sono scolata fino in fondo: di vino puro.

SOSIA (a parte) - E' successo proprio così: laggiù mi sono scolato una bottiglia di vino puro. Incredibile! Eri nascosto dentro la bottiglia?

MERCURIO - Ti ho persuaso che non sei Sosia? Quando non vorrò più essere Sosia, tu sarai Sosia. Ma adesso, vai via di qui, sconosciuto!

SOSIA (a parte) - Mi assomiglia moltissimo. Ha uguale il cappello e il vestito: mi assomiglia: piede, statura, capelli, occhi, naso, barba. Ma io sono lo stesso che sono sempre stato. Conosco il mio padrone, la nostra casa. Busserò alla porta. Riferirò alla padrona ciò che ha ordinato il padrone.

MERCURIO - Non ti lascerò avvicinare. Guarda che se mi fai arrabbiare, ti rompo la schiena!

SOSIA - (a parte) O dèi immortali, dove ho perso la mia identità? O forse mi sono lasciato laggiù, e me ne sono dimenticato? Costui possiede tutto quello che prima era mio. Non mi resta che andare al porto e riferire tutto al mio padrone, a meno che anche lui non mi riconosca più! (esce)

 

SCENA II

 

MERCURIO - Questa faccenda è andata proprio bene: ho respinto il più grande dei seccatori, perché mio padre potesse abbracciare al sicuro la sua amata. Quando costui raggiungerà Anfitrione, gli racconterà che a respingerlo è stato lo schiavo Sosia: lui penserà che gli dica una bugia e non crederà che sia venuto qui come gli aveva ordinato. Io riempirò di confusione e di pazzia quei due e tutta la casa, finché mio padre non si sarà saziato di colei che ama: solo allora, tutti sapranno ciò che è realmente accaduto. Giove farà tornare Alcmena in pace col marito. Alcmena oggi partorirà due gemelli, uno nascerà al decimo mese dal concepimento, l'altro al settimo. Dei due, il primo è figlio di Anfitrione, l'altro è di Giove: il figlio più piccolo ha il padre più grande, il più grande il più piccolo. Per riguardo ad Alcmena, mio padre ha fatto in modo che nascano in un solo parto, perché con una sola doglia si liberi di due travagli, non venga posta in sospetto di adulterio e resti nascosto agli occhi del mondo il suo segreto rapporto amoroso. Ecco il falso Anfitrione che esce fuori con Alcmena, la moglie presa in prestito.


SCENA III

 

GIOVE,  ALCMENA e MERCURIO

 

GIOVE (travestito da Anfitrione, con Alcmena) - Stammi bene, Alcmena. Bada alla casa e riguardati, mi raccomando: i tuoi mesi sono ormai alla fine. Io devo andarmene: ma il bambino che nascerà, riconoscilo come legittimo.

ALCMENA - Che cosa sarà mai questo impegno tanto importante, marito mio, per cui te ne vai via da casa così all'improvviso?

GIOVE - Per Polluce, non certo perché io sia stanco di te o della casa: ma quando il comandante in capo non è presso l'esercito, accade più facilmente ciò che non dovrebbe di ciò che dovrebbe.

MERCURIO (a parte) - Ma che bravo simulatore: si vede proprio che è mio padre. E osservate con quanta dolcezza saprà blandire la donna!

ALCMENA - Per Castore, lo vedo quanto ti interessa tua moglie!

GIOVE - Ti basta, se non c'è nessuna donna che io amo come te?

MERCURIO (a parte) – Se quella lassù sapesse che ti stai dedicando a queste belle imprese, preferiresti essere Anfitrione piuttosto che Giove!

ALCMENA - Preferirei saperlo per esperienza, anziché sentirmelo dire. Te ne vai prima che sia giunta a scaldarsi il letto dove ti sei coricato. Sei venuto ieri a mezzanotte, e ora te ne vai. Ti sembra bello?

GIOVE - Moglie mia, non è giusto che tu sia in collera con me. Ho abbandonato l'esercito alla chetichella: per te ho sottratto questo tempo ai miei doveri, perché tu fossi la prima a sapere come ho retto le sorti dello Stato. Se non ti amassi sopra ogni cosa, non l'avrei fatto. Ora, perché l'esercito non se ne accorga, devo tornare là di nascosto, perché non dicano che ho anteposto mia moglie ai doveri di Stato.

ALCMENA - La fai piangere, tua moglie, con la tua partenza!

GIOVE - Zitta, non sciuparti gli occhi; ritornerò subito. Non fa piacere neanche a me lasciarti qui e andarmene da te.

ALCMENA - Lo vedo: nella stessa notte in cui sei venuto da me, te ne vai!

GIOVE - Perché mi trattieni? Il tempo stringe. Voglio uscire dalla città prima che cominci a far chiaro. (estrae dalla borsa un cofanetto, lo porge ad Alcmena) E’ per te: la coppa che laggiù mi è stata data in premio, quella con cui libava il re Pterelao, che ho ucciso io, io la regalo a te, Alcmena.

ALCMENA (apre il cofanetto) - E' un dono veramente degno di chi lo fa!

GIOVE (per congedare Alcmena) - Vuoi altro?

ALCMENA - Sì: che tu mi ami quando sono lontana, io che sono tua anche quando sei lontano.

MERCURIO - Andiamo, Anfitrione: comincia già ad albeggiare.

GIOVE - Vai avanti, Sosia, adesso ti seguo. (Mercurio esce) Sarò qui prima che tu non pensi. Stai tranquilla. (Alcmena rientra). O Notte che mi hai aspettato, io ti lascio andare, perché tu ceda il posto al giorno, che cominci a illuminare i mortali con la sua luce chiara e candida. Quanto, o Notte, sei stata più lunga della precedente, tanto più breve sarà il giorno. Va': sorga il giorno dalla notte! Io raggiungerò Mercurio. (esce)

 

ATTO II

 

SCENA I

 

ANFITRIONE e SOSIA

 

ANFITRIONE (entra dalla via del porto assieme a Sosia e ad altri servi che portano i bagagli. A Sosia) - Dài, viemmi dietro!

SOSIA - Ti seguo, ti seguo subito.

ANFITRIONE - Penso che sei proprio un fior di canaglia! Mi vieni a raccontare una storia che non può succedere, né ieri, né oggi, né domani!

SOSIA - Ecco, fai come al solito: non credi mai ai tuoi.

ANFITRIONE - Cosa? Come? Adesso io, per Ercole, ti strappo, sciagurato, quella lingua sciagurata!

SOSIA - Sono tuo: fammi qualunque cosa, come ti pare e piace. Ma non potrai mai impedirmi in nessun modo di dire cosa è successo qui!

ANFITRIONE - Razza di canaglia, hai il coraggio di andar dicendo a me che in questo momento tu sei a casa,  se sei qui? Tu osi prenderti gioco di me, il tuo padrone? Affermi che nello stesso tempo sei in due luoghi diversi?

SOSIA - Certo: è proprio come dico.

ANFITRIONE - Giove ti mandi un colpo!

SOSIA - Padrone, che male mi sono meritato nei tuoi confronti?

ANFITRIONE - E me lo chiedi, spudorato? Tu che anche adesso continui a farti beffe di me?

SOSIA - Mi meriterei d'esser trattato male, se la faccenda non fosse andata così. Ma io non mento, e dico le cose proprio come sono andate.

ANFITRIONE - Quest'uomo è ubriaco, mi pare proprio! Dove hai bevuto?

SOSIA - Da nessuna parte, davvero, non ho bevuto!

ANFITRIONE - Che razza d'essere sarà questo qua?

SOSIA - Io sono a casa e sono qui, davanti a te, lo stesso Sosia. E' chiaro?ANFITRIONE - No, non è chiaro. Adesso ti sistemo come ti meriti: starai molto male, se riesco a tornare sano e salvo a casa! Tu che prendi in giro il padrone con parole da pazzo, tu che, dopo aver trascurato i miei ordini, vieni a prendermi in giro con storie che non possono accadere! Ma farò in modo che queste menzogne ricadano sulla tua schiena!

SOSIA - Anfitrione, la più infelice delle infelicità per uno schiavo onesto che dice la verità al suo padrone, è quando la verità è vinta dalla violenza.

ANFITRIONE - Come può accadere che tu ora sia qua, e in casa? Spiegami.

SOSIA - Sono proprio qua e là: è giusto che chiunque se ne meravigli, e la cosa sembra più strana a me che a te. Da principio non riuscivo a credere a me stesso Sosia, finché quell'io là, Sosia, mi ha costretto a credergli. Mi ha raccontato per filo e per segno tutto ciò che è accaduto mentre eravamo alle prese con il nemico: mi ha rubato l'aspetto assieme al nome. Quell'io là è uguale a me. Quando, poco fa, dal porto mi hai mandato avanti, a casa tua, io stavo già davanti al palazzo, molto prima di esserci arrivato.

ANFITRIONE - Ti è stata lanciata non so quale malìa da una mano malefica!

SOSIA - Questo non lo nego: sono stato malamente ammaccato di pugni.

ANFITRIONE - Chi ti ha picchiato?

SOSIA - Io stesso ho picchiato me stesso, io che ora sono a casa.

ANFITRIONE - Aspetta: chi è questo Sosia? Lo voglio sapere.

SOSIA - E' un tuo schiavo.

ANFITRIONE – Io non ho mai avuto uno schiavo di nome Sosia, se non te.

SOSIA - Ma ora, Anfitrione, un tuo schiavo di nome Sosia, un altro oltre a me, troverai in casa al tuo arrivo: con il mio stesso aspetto e la mia stessa età. Che bisogno c'è di parole? Il tuo Sosia è diventato gemello!

ANFITRIONE - E trano quello che mi racconti. Ma l'hai vista, mia moglie?

SOSIA – Non mi è stato mai permesso di entrare in casa! Me l’ha impedito quel Sosia di cui ti sto parlando da un pezzo, quello che mi ha pestato.

ANFITRIONE - Stavi dormendo? Forse questo Sosia l'avrai visto in sogno.

SOSIA - Non eseguo gli ordini del padrone sonnecchiando. L'ho visto da sveglio, come sveglio sto parlando: lui sveglio mi ha ammaccato di pugni.

ANFITRIONE - Come potrei capire, maledizione? Vai blaterando stupidaggini!

SOSIA - Presto conoscerai la verità, quando conoscerai lo schiavo Sosia.

ANFITRIONE - Seguimi per di qua: questa è la prima cosa che devo chiarire. Ma ora bada che dalla nave scarichino tutto quello che ho ordinato.

SOSIA - Farò come chiedi. Non mi son scolato insieme al vino il tuo ordine.

ANFITRIONE - Voglia il cielo che i fatti smentiscano le tue parole!

 

SCENA II

 

ALCMENA, ANFITRIONE e SOSIA

 

ALCMENA (uscendo di casa accompagnata da una schiava) Non sono piccola cosa i piaceri di cui godiamo nel corso della vita, in confronto alle pene? Così è stabilito nella vita degli uomini, così hanno voluto gli dèi: che il dolore segua come compagno al piacere. Che mali e disgrazie si presentino subito, se capita un po' di bene. Lo imparo a mie spese, io che per un po' di tempo ho conosciuto il piacere finché ho potuto vedere mio marito, ma per una sola notte e lui all'improvviso se n'è andato. Adesso mi sento sola, perché colui che amo più di tutti è lontano da me. Ho sentito più dolore alla partenza di mio marito, che gioia al suo arrivo. Ma sono felice perché ritorna in patria coperto di gloria. Sopporterò la sua assenza con animo forte e saldo, se come ricompensa la fama di mio marito, vincitore in guerra, rifulgerà. Il valore protegge e conserva la libertà, la salvezza, la vita, il patrimonio, la patria e i figli. Chi possiede il valore, possiede ogni bene.

ANFITRIONE - Credo proprio che tornerò a casa molto desiderato da mia moglie, che mi ama, e anch'io amo: specialmente adesso che ho condotto a buon fine l'impresa e ho vinto i nemici: quelli che tutti credevano invincibili, li abbiamo superati al primo scontro, grazie al mio comando e alla mia fortuna. Sono proprio sicuro che arriverò da lei desiderato, secondo le sue speranze.

ALCMENA (a parte, vedendo Anfitrione) - Ma questo è mio marito!

ANFITRIONE (a Sosia) - Seguimi per di qua.

ALCMENA (a parte) - Perché ritorna? Forse mi mette alla prova e vuol sapere se sono dispiaciuta per la sua partenza? Sono contenta se ritorna.

SOSIA - Torniamo alla nave. A casa nessuno ci darà da mangiare, perché arriviamo tardi. Vedo Alcmena in piedi davanti a casa, con la pancia piena.

ANFITRIONE L'ho lasciata che era incinta, quando sono partito!

SOSIA - Oh, povero me, arrivo a casa proprio nel momento giusto: mi toccherà la seccatura di procurare l'acqua alla partoriente.

ALCMENA (a parte) - Farò meglio il mio dovere andandogli incontro.

ANFITRIONE (con tono solenne) - Anfitrione saluta felice la moglie tanto desiderata, lei che il marito giudica la migliore di tutte le donne di Tebe,

modello di onestà. Sei stata sempre bene? Giungo desiderato?

ANFITRIONE - Sono pieno di gioia nel vederti incinta e con la pancia gonfia!

ALCMENA - Perché mi saluti e mi parli come se adesso per la prima volta tornassi dalla guerra, come se non mi rivedessi da tanto tempo?

ANFITRIONE - Ma io non ti ho mai vista, se non oggi, in questo momento!

ALCMENA - Vuoi mettermi alla prova per scoprire i miei sentimenti? Perché torni indietro così presto? Il maltempo ti impedisce di raggiungere l'esercito?

ANFITRIONE - Tu mi hai già visto? E quando?

ALCMENA - Tu mi metti alla prova: ma poco fa, or ora!

ANFITRIONE - Ma come può essere: poco fa, or ora?

ALCMENA - Credi che io voglia deridere il mio derisore, tu che dici di essere arrivato adesso per la prima volta, mentre sei appena andato via di qui?

ANFITRIONE - Questa donna sta delirando!

SOSIA - Aspetta un attimo, che finisca il suo sogno...

ANFITRIONE - Ma lei sogna da sveglia?

ALCMENA - Ah, no, per Castore! Io sono ben sveglia, e da sveglia racconto cose che sono accadute: perché poco fa, prima dell'alba, io ho visto lui, e anche te! Qui, nella casa dove abiti.

ANFITRIONE - Mai successo!

SOSIA - Non vuoi star zitto? E se la nave ci avesse portati qui dal porto mentre dormivamo?

ANFITRIONE – Sono ben deciso a farle una ramanzina a lei che oggi al mio ritorno a casa mi ha negato il saluto! Alcmena, sei diventata stupida o sei sopraffatta dall'orgoglio? Prima d'ora, avevi l'abitudine di salutarmi al mio arrivo, e rivolgermi la parola come di solito le buone mogli fanno con i loro mariti. Al mio ritorno, ti ho trovata a casa priva di questa abitudine.

ALCMENA - Ieri di sicuro, quando sei arrivato, subito ti ho dato il saluto, e ti ho anche chiesto se fossi stato sempre in buona salute, marito mio: ti ho stretto la mano e ti ho dato un bacio.

ANFITRIONE (ad Alcmena) - Tu ieri mi hai visto qui?

ALCMENA - Sì, vuoi che te lo ripeta dieci volte? Ero sveglia io e sveglio tu!

ANFITRIONE - Oh, povero me! Mia moglie delira. Donna, quando hai cominciato a sentirti male?

ALCMENA - Ma per Castore, sto bene di corpo e di mente!

ANFITRIONE - E perché sostieni di avermi visto ieri, mentre noi siamo giunti al porto questa notte? Laggiù ho cenato, laggiù ho dormito sulla nave per tutta la notte, e non ho ancora rimesso piede in questa casa da quando sono partito di qui con l'esercito contro i nemici Teleboi e dopo la vittoria.

ALCMENA - Ma no: hai cenato con me e hai dormito con me! Dico la verità! Allo spuntar dell'alba sei tornato presso l'esercito.

SOSIA (ad Anfitrione) - Ti sta raccontando un sogno. (ad Alcmena) Ma tu, donna, dopo che ti sei svegliata, avresti dovuto pregare Giove che allontana i prodigi, offrendogli farina salata o incenso.

ANFITRIONE (a Sosia) - Sta zitto, tu. (ad Alcmena) E tu dimmi: io sono andato via da te, da qui, oggi all'alba?

ALCMENA - E chi dunque, se non tu, mi avrebbe raccontato come laggiù si è svolta la battaglia? L'ho sentito da te: come hai espugnato una grandissima città e hai ucciso di tua mano il re Pterelao. Lo hai detto tu in persona, proprio qui, alla presenza di Sosia.

ANFITRIONE (a Sosia) - Tu oggi mi hai sentito raccontare queste cose?

SOSIA - Alla mia presenza, almeno, non è mai accaduto, che io sappia.

ANFITRIONE - Dài, Sosia, guardami negli occhi. Voglio che tu dica la verità: non voglio che tu mi dia ragione per forza. Mi hai sentito oggi raccontarle ciò che afferma?

SOSIA - Ma anche tu sei diventato matto, a farmi una domanda del genere? Davvero, è la prima volta che la vedo, adesso, insieme a te!

ANFITRIONE - E allora, donna? Lo senti?

ALCMENA - Lo sento benissimo, sento che dice il falso! Non credo a lui né a te, credo a me stessa e so che le cose sono andate come dico io.

ANFITRIONE - Tu dici che sono arrivato ieri? Io insisto che adesso arrivo a casa da te per la prima volta.

ALCMENA - Per favore, non negherai di avermi oggi dato in dono la coppa d'oro, che dicevi ti era stata donata laggiù?

ANFITRIONE - Per Polluce, non te l'ho data! Però avevo l'intenzione di donarti quella coppa. Ma chi ti ha detto questo?

ALCMENA - Io veramente l'ho sentito dire da te, e ho ricevuto dalla tua mano la coppa.

ANFITRIONE - Aspetta, ti prego. (a Sosia) Sosia, come fa a sapere che laggiù mi è stata donata una coppa d'oro? Gliel hai detto tu?

ALCMENA - Vuoi che ti faccia portar fuori la coppa? (alla schiava che la accompagna) Porta fuori da casa la coppa che mi ha regalato mio marito.

ANFITRIONE - Sosia, vieni qui in disparte. Davvero, questa sarebbe per me la meraviglia delle meraviglie, se lei possiede quella coppa!

SOSIA - E tu anche ci credi? La coppa che io porto in questo cofanetto, sigillato col tuo sigillo, che è intatto.

ALCMENA (esibendo la coppa) - Che bisogno c'è di parole? Eccoti la coppa! Guarda qui ora, tu che neghi i fatti: adesso ti potrò sbugiardare apertamente. E questa la coppa che ti è stata donata laggiù?

ANFITRIONE - Sommo Giove, cosa vedo? E' proprio questa la coppa, non c'è dubbio. Sosia, per me è la fine!

SOSIA - Per Polluce, o questa donna è di gran lunga la più grande illusionista, o la coppa deve essere qui dentro.

ANFITRIONE - Dài, allora, apri il cofanetto.

SOSIA - E' sigillato. Siamo a posto: tu hai prodotto un altro Anfitrione, io un altro Sosia. Se la coppa ha prodotto un'altra coppa, tutti ci siamo sdoppiati.

ANFITRIONE - Ho deciso di aprire e vedere. Apri, ora: lei certo con le sue parole vuol farci diventare pazzi!

ALCMENA - E allora? Da dove viene questa coppa, se non da te, che me l'hai regalata?

SOSIA (aprendo il cofanetto) - Oh Giove, per Giove! Qui nel cofanetto non c'è nessuna coppa!

ALCMENA (esibendo ancora la coppa) E’ qui, la coppa. Me l’hai data tu che me la chiedi.

ANFITRIONE? (Ad Alcmena) Tu dici che ieri saremmo venuti qua?

ALCMENA - Sì, al tuo arrivo mi hai salutato e io ti ho risposto e ti ho dato un bacio. Hai fatto il bagno. E dopo ti sei messo a tavola. Ci è stata servita la cena. Tu hai cenato con me, sullo stesso divano. Dopo, dicevi di aver sonno. Tolta la mensa, siamo andati a letto, nello stesso letto, in camera.

ANFITRIONE - Povero me, sono finito! In mia assenza, è stato macchiato il tuo onore! Io sarei il tuo uomo? Falsa, non chiamarmi con un nome falso!

ALCMENA - In cosa ho mancato nei tuoi confronti, se sono stata con te? Se vuoi cogliermi in fallo come adultera, non ci riuscirai. Ho testimoni pronti a confermare ciò che dico. Giuro sul re supremo e su Giunone, che all'infuori di te, nessun mortale ha mai toccato il mio corpo, così da togliermi l'onore.

ANFITRIONE - Sono a tal punto fuori di senno, che non so più chi sono.

SOSIA - Di certo sei Anfitrione, ma stai attento a non rinunciare alla proprietà di te stesso!

ANFITRIONE - Donna, questa faccenda io sono fermamente deciso a non lasciarla perdere senza andarne a fondo. Porto qui dalla nave il tuo parente Naucrate, che ha fatto il viaggio con me sulla stessa nave. Se lui smentisce la tua versione dei fatti, cosa pensi di meritarti? (esce)

ALCMENA (a parte) - E' davvero strano, come a mio marito sia venuta la voglia di accusarmi falsamente in questo modo di una colpa così grave. Comunque sia, presto saprò tutto dal mio parente Naucrate. (rientra)

 

ATTO III

 

SCENA I

 

GIOVE (tornando verso la casa di Anfitrione) - Io sono quell'Anfitrione, padrone di quel Sosia che diventa anche Mercurio, all'occorrenza: sono quello che abita al piano superiore, e divento a volte Giove, quando mi piace. Ma appena porto qui la mia presenza, subito divento Anfitrione e cambio d'abito. Ora vengo per portare aiuto ad Alcmena: lei che, pur innocente, è accusata di tradimento dal marito Anfitrione. Perché sarei ben colpevole, se ciò che ho commesso dovesse ricadere su Alcmena innocente. Ora continuerò a far finta di essere Anfitrione e provocherò nella loro casa il più grande degli inganni. Alla fine, farò in modo che ogni cosa si chiarisca, e quando sarà il momento, porterò aiuto ad Alcmena, facendo sì che dia alla luce in un solo parto sia il figlio di suo marito che il mio, senza dolore. A Mercurio ho comandato di raggiungermi subito. Ora andrò a parlare con lei.


SCENA II

 

ALCMENA e GIOVE

 

ALCMENA (uscendo dalla porta del palazzo senza vedere Giove) - Non posso resistere in casa. Essere accusata da mio marito di tradimento, vergogna, disonore! Lui gridando crede di annullare i fatti accaduti, e accusa me di cose mai successe e di colpe mai commesse. Non mi lascerò accusare falsamente di tradimento, senza che io riceva la giusta soddisfazione!

GIOVE (a parte) - Devo fare in modo che si realizzi ciò che chiede, se voglio che mi riceva ancora con amore. Quello che ho fatto ha danneggiato Anfitrione, e il mio amore ha causato dei fastidi a lui innocente: adesso la sua ira e le sue offese contro la moglie ricadranno su di me innocente.

ALCMENA - Ma ecco, vedo lì colui che mi ha accusata, me infelice, di tradimento, di vergogna.

GIOVE - Moglie mia, vorrei dirti una parola... Perché ti sei voltata dall'altra parte?

ALCMENA - Non ho mai potuto sopportare di guardare in faccia i nemici. Dico il vero: a meno che tu non voglia insinuare che anche questo è falso!

GIOVE - Sei troppo arrabbiata. (tenta di abbracciarla)

ALCMENA - Se hai un briciolo di cervello, con la donna che chiami svergognata, non dovresti scambiar parola, a meno che tu non sia stupido!

GIOVE - Non per questo tu lo sei, né io ritengo che tu lo sia, ed è per questo che sono tornato indietro: per chiederti scusa. Non ho mai sentito tanto dolore nel mio cuore. L’ho detto solo per mettere alla prova i tuoi sentimenti, vedere cosa avresti fatto e come ti saresti risolta a sopportare la cosa. Ciò che ti ho detto poco fa, l'ho detto per scherzo. Chiedilo a Sosia.

ALCMENA - Perché non porti qui il mio parente Naucrate, che prima dicevi di voler produrre come testimone del fatto che non sei venuto qui?

GIOVE - Se una cosa è detta per scherzo, non è giusto prenderla sul serio.

ALCMENA - Lo so io, quel tuo scherzo, quanto male ha fatto al mio cuore!

GIOVE (inginocchiandosi e prendendole la mano) - Alcmena, ti prego, ti scongiuro: fammi questa grazia, perdonami, non essere arrabbiata!

ALCMENA - Io ho reso le tue parole nulle con la mia virtù. Dal momento che non ho commesso azioni disonorevoli, non voglio subire parole disonorevoli. Me ne vado: riprenditi i tuoi beni e rendimi i miei. Perché non dai ordine a qualcuno di accompagnarmi fuori? Se non lo ordini, me ne andrò via da sola: avrò come accompagnatrice la dea Pudicizia.

GIOVE - Rimani: giurerò, in qualunque modo vorrai, che sei una moglie virtuosa. Se mento, sommo Giove, ti prego, sii sempre irato con Anfitrione!

ALCMENA - Ah, questo no! Gli sia propizio, piuttosto!

GIOVE - Ho giurato il vero davanti a te. Nella vita degli uomini si hanno dei piaceri e poi vengono i dolori. Sopraggiungono i litigi, e poi ci si riconcilia. Se si scatenano liti come queste, se si fa la pace, si ritorna più amici di prima.

ALCMENA - Come prima cosa, avresti dovuto evitare di dire certe parole: ma se ora tu stesso mi offri le tue scuse, le accetterò.

GIOVE - Ordina che mi si preparino i vasi sacri, perché possa sciogliere i voti che ho promesso in guerra, se fossi ritornato a casa sano e salvo.

ALCMENA - Me ne occuperò io stessa.

GIOVE - Fate venire qui Sosia. Voglio che inviti Blefarone, il pilota della mia nave, a venire a pranzo da noi. (a parte) Rimarrà a bocca asciutta e beffato, quando prenderò per il collo Anfitrione e lo sbatterò fuori di qui!

ALCMENA (osserva) - Chissà cosa sta dicendo tra sé? Ma ecco, Sosia esce.


SCENA III

 

SOSIA, GIOVE e ALCMENA

 

SOSIA (uscendo di casa) - Anfitrione, sono qui: se c'è bisogno di qualcosa, comanda, e io eseguirò il tuo ordine.

GIOVE - Sosia, arrivi proprio al momento giusto.

SOSIA - E' già pace fatta, tra voi due? Dato che vi vedo tranquilli, ne sono felice e mi rallegro. Ecco come è giusto che si comporti lo schiavo perbene: come sono i padroni, così sia lui stesso, sia triste se i padroni sono tristi, sia allegro se sono contenti. Siete già tornati in perfetto accordo?

GIOVE - Mi prendi in giro? Lo sai che ho detto quelle parole per scherzo!

SOSIA - Per scherzo? Credevo che le avessi dette sul serio e per davvero.

GIOVE - Ho chiesto scusa, abbiamo fatto la pace.

SOSIA - Benissimo.

GIOVE - Io andrò dentro a celebrare un rito, secondo i voti fatti. Tu invita il pilota Blefarone e fallo venire qui perché pranzi con me, dopo la cerimonia.

SOSIA - Sarò già di ritorno, mentre tu penserai che sono ancora laggiù.

GIOVE - Vedi poi di tornare subito qui. (Sosia se ne va)

ALCMENA - Hai bisogno ancora di qualcosa o posso andare dentro a far preparare il necessario?

GIOVE - Va' pure, e fa' in modo che ogni cosa sia preparata al meglio.

ALCMENA - Entra dentro quando vuoi. Farò in modo di evitare ogni ritardo.

GIOVE - Parli bene, come si addice a una moglie solerte. (Alcmena entra in casa) Ormai tutti e due, schiavo e padrona, sono ingannati. Credono che io sia Anfitrione. Sosia divino, tu senti le mie parole, anche se non sei presente. Tieni lontano da casa Anfitrione, quando arriva: inventa qualsiasi scusa. Voglio che lo si inganni, mentre io me la spasso con questa moglie presa in prestito. Fa' in modo di curare questa faccenda, come io voglio, poi vieni ad assistermi nel sacrificio che offrirò a me stesso. (rientra in casa)


SCENA IV

 

MERCURIO (arrivando di corsa) - Cedetemi il passo, sgombrate la strada! Io sono agli ordini di Giove e vengo qui per suo comando. Mio padre mi chiama, io arrivo, pronto a obbedire ai suoi ordini. Nei suoi amori, lo assecondo, lo assisto, gli do consigli, mi rallegro. Se una cosa fa piacere a mio padre, quel piacere per me è il più grande. Fa l'amore? E' furbo e fa bene perché segue i suoi desideri: così dovrebbero far tutti, senza dare scandalo. Adesso mio padre vuole che Anfitrione sia beffato? E io farò in modo d'ingannarlo; farò finta di essere ubriaco e salirò lassù. (indica una terrazza sul tetto) Da lì lo caccerò via nel migliore dei modi, quando si avvicinerà. Subito dopo, ne pagherà le conseguenze il suo schiavo Sosia: il padrone lo incolperà di tutto quello che ho fatto io. Che importa? Il mio dovere è obbedire a mio padre: è giusto che esegua i suoi desideri. Anfitrione arriva: andrò dentro e mi concerò da ubriaco. Poi salirò sul tetto, per allontanarlo. (entra in casa)


SCENA V

 

ANFITRIONE (tornando dal porto) - Naucrate non era sulla nave: non trovo nessuno che l'abbia visto. Mi sono stancato a forza di cercarlo. Adesso

continuerò a indagare per scoprire chi sia stato l'uomo per il quale mia mogliesi è macchiata di vergogna. Preferirei morire, piuttosto che lasciare senza soluzione questa indagine. Ma hanno sprangato la porta? Busserò alla porta. Aprite! Ehi, c'è qualcuno qui? Qualcuno vuole aprire questa porta?


SCENA VI

 

MERCURIO e ANFITRIONE

 

MERCURIO (affacciandosi dalla terrazza) - Chi è alla porta?

ANFITRIONE - Sono io!

MERCURIO - Io chi?

ANFITRIONE - Io, ti dico!

MERCURIO - Certo Giove e tutti gli dèi sono infuriati con te, che sconquassi la porta in un modo che senz'altro ti farà vivere disgraziato per tutta la vita!

ANFITRIONE - Sosia!

MERCURIO - Sì, sono Sosia: pensi che me ne sia scordato? Che vuoi ora?

ANFITRIONE - Farabutto, mi chiedi anche cosa voglio?

MERCURIO - Sì, per poco non mandavi in frantumi i cardini della porta, imbecille! Che vuoi ora, e chi sei?

ANFITRIONE - Faccia da schiaffi, mi chiedi pure chi sono? Per queste parole, ti farò andare a fuoco a forza di frustate!

MERCURIO - Tu una volta devi essere stato prodigo, da giovane. Perché da vecchio vieni da me a mendicare... qualche malanno!

ANFITRIONE - E' per il tuo supplizio che oggi, servo, mi servi queste parole!

MERCURIO - Voglio fare un sacrificio in tuo onore. Ti consacro una disgrazia.


ATTO IV 

 

SCENA I

 

BLEFARONE, ANFITRIONE e GIOVE

 

BLEFARONE - Arrangiatevi tra voi: io me ne vado, ho da fare. (a parte) E credo di non aver mai visto in nessun luogo tante meraviglie!

ANFITRIONE - Blefarone, rimani come mio difensore, non andartene!

BLEFARONE - Addio: che bisogno c'è della mia difesa, se non so chi dei due dovrei difendere? (se ne va)

GIOVE (a parte) - Io torno dentro. Alcmena sta per partorire. (rientra)

ANFITRIONE - Povero me! Anche i difensori e gli amici mi abbandonano! Ma quello là non riuscirà a prendersi gioco di me! Andrò dal re e mi prenderò la mia vendetta su colui che ha stravolto il cervello della gente di casa mia. E’ andato da mia moglie! Chi è più disgraziato di me? Nessuno mi riconosce, tutti mi sbeffeggiano. Farò irruzione in casa e  ammazzerò chi troverò. Gli dèi non potranno impedirmelo. Avanti! (mentre si lancia, un fulmine lo colpisce)

 

ATTO V

 

SCENA I

 

BROMIA e ANFITRIONE

 

BROMIA (precipitandosi fuori di casa, non vede Anfitrione svenuto) - Povera me! Mi sento male, sono distrutta. Che cosa è capitato oggi alla mia padrona! Quando incominciò partorire e a invocare gli dèi, quanto strepitio, crepitio! Tuonò all'improvviso, fortissimo! Tutti caddero a terra per il frastuono. Una voce fortissima grida: "Alcmena, non temere: giunge benigno a te e ai tuoi l'abitatore del cielo. Alzatevi voi che siete caduti a terra". Pensai che la casa bruciasse, tanto brillava. Alcmena mi chiama a gran voce; vedo che ha partorito due gemelli. Nessuno si era accorto che avesse partorito. (vede Anfitrione) Chi giace a terra? E' stato fulminato da Giove? Sembra morto! Ma è Anfitrione, il mio signore! (cerca di farlo rinvenire) ANFITRIONE (riavendosi) - Sono morto!

BROMIA - Alzati! Dammi la mano!

ANFITRIONE - Chi sei, tu che mi sostieni?

BROMIA - Bromia, la tua schiava!

ANFITRIONE - Sono in preda al terrore: Giove mi ha stordito! È come se tornassi dall'Acheronte. Ma perché sei uscita fuori?

BROMIA - La paura mi ha spinta. Povera me, mi mancano ancora i sensi!

ANFITRIONE - Racconta: tu sai che io sono Anfitrione, il tuo padrone?

BROMIA - Lo so.

ANFITRIONE - Questa è la sola che ha il cervello a posto, fra la gente di casa mia!

BROMIA - Nient'affatto: sono tutti sani di mente!

ANFITRIONE - Ma mia moglie ha fatto diventare pazzo me, con la sua condotta vergognosa!

BROMIA - Anfitrione, che tua moglie è virtuosa e casta: te ne darò indizi probanti. In primo luogo, Alcmena ha partorito due gemelli. Quando tua moglie ha cominciato a partorire, ha invocato gli dèi immortali per avere soccorso. Con grandissimo fragore, scoppia un tuono. Tutta la casa brillava, come se fosse d'oro. Nessuno ha sentito tua moglie gemere o piangere: ha partorito senza dolore. Dopo, ci ordinò di lavare i bambini. Ma il bimbo che ho lavato io, era grande e robusto! Nessuno riuscì ad avvolgerlo nelle fasce.

ANFITRIONE - Mi racconti meraviglie davvero straordinarie. Se ciò che dici è vero, non dubito che a mia moglie sia giunto un aiuto dal cielo!

BROMIA - Sistemato il bambino nella culla, due serpenti piombano giù nell'impluvio e si dirigono rapidi verso le culle dei bambini. E io a trascinar via le culle indietro, ma i serpenti a inseguirci! Il più grande dei due bambini, al vedere i serpenti, salta fuori dalla culla, li afferra e li uccide. Nel frattempo tua moglie viene chiamata ad alta voce da Giove, il sommo re degli dèi e degli uomini. Le dice di aver avuto di nascosto rapporti di letto con lei e rivela che è figlio suo, quello che ha vinto i serpenti: l'altro è figlio tuo.

ANFITRIONE - Non mi dispiace se mi è dato di dividere la metà del mio bene con Giove. Va' in casa, ordina di preparare dei vasi sacri per chiedere la pace al sommo Giove. Chiederò all'indovino Tiresia consiglio e gli racconterò come si sono svolti i fatti. (un tuono rimbomba) Oh dei, vi supplico, pietà!


SCENA II

 

GIOVE e ANFITRIONE

 

GIOVE (cala dall'alto grazie a una macchina teatrale) - Anfitrione, vengo in aiuto a te e ai tuoi. Non hai nulla da temere: sono Giove. Ho posseduto il corpo di Alcmena e l'ho messa incinta di un figlio. Anche tu l'avevi lasciata incinta, quando sei partito per la guerra: lei con un solo parto ha dato alla luce due figli. Quello che è nato dal mio seme, con le sue gesta ti darà gloria immortale. Torna a voler bene ad Alcmena. Non ha commesso colpa: la mia violenza l'ha costretta a farlo. Io torno in cielo. (sollevato dalla macchina, scompare)

 

ANFITRIONE - Farò come ordini, e ti prego di mantenere le tue promesse. Andrò dentro, da mia moglie: manderò via il vecchio Tiresia. E ora, spettatori, in onore del sommo Giove, applaudite forte!