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’NU TURCO NAPULITANO
da Le Parisien, di A. N. Hennequin
Rielaborazione e riduzione a cura di Cultura&Svago
Personaggi
D. Pasquale Catone
D. Ignazio
D. Felice
D. Peppino
Errico
Michele
Carluccio
Giulietta
Angelica
Lisetta
Clementina
Mariannina
Concettella
Luigi
Salvatore
Gennarino
Raffaele
Due Suonatori che non parlano
La scena si svolge a Sorrento.
ATTO PRIMO
Magazzino di Pasquale — Due tavoli con moltissime carte e libri di conti, canestre sparse e sacchi pieni —Sedie sparse.
PEPPINO (a Gennarino): Gennarino, il principale che sta facendo?
GENNARINO: Sistema i sacchi nel deposito.
PEPPINO: Benissimo! Dai, cantiamo sottovoce.
LUIGI: D. Peppino, io ho da fare.
MICHELE: Io non posso perdere tempo.
SALVATORE: Io devo andare in stazione.
PEPPINO: È affare di un momento. Andiamo, prendete gli spartiti. (tutti cantano, egli porta la battuta.)
TUTTI: Oh che giorno d’allegria.
Che delizia, che goder.
Per gli sposi, questo sia.
Un principio di piacer.
PEPPINO (con falsetto): Oh che piacere.
LUIGI: Che cos’è?
PEPPINO: Sostituisco il soprano, non l’ho ancora trovato. (Canta:) Oh! Che piacer! A voi.
TUTTI: Viva, viva la sposina
pien di grazia e di beltà...
PEPPINO (in falsetto): È una stella mattutina.
TUTTI: È una rosa in verità
In ve...rità
In ve...rità...
MICHELE (guarda): Zitto, la signora. (Tutti vanno ai loro posti.)
GIULIETTA: Cosa stavate cantando?
MICHELE: Niente, eccellenza, era un gioco.
GIULIETTA: Continuate, perché mi fate piacere, io amo il canto, la musica, l’arte!...
PEPPINO: Oh, signora, siate benedetta, amate la musica, allora avete cuore, avete sangue nelle vene, il nostro principale invece, odia la musica, è nemico della poesia.
GIULIETTA: Lo so, il vostro principale, disgraziatamente, è mio marito!... Che stavate cantando?
PEPPINO: È un coro che ho composto io, da cantare in occasione del matrimonio della
vostra figliastra, di nascosto dal principale. Vi assicuro, signora, che è un capolavoro.
GIULIETTA: Ma come! Voi sapete la musica? Siete capace di scrivere un coro?
PEPPINO: Capace di scrivere un coro? Voi che dite? Io ho scritto delle opere colossali!
GIULIETTA: E come va poi...
PEPPINO: Non sono stato compreso, non ho avuto fortuna!... ho scritto molto e ho guadagnato poco. Per tirare avanti faccio il cassiere... io!... io che sognavo la musica, l’arte...obbligato a segnare una partita di fichi secche, o una spedizione di aringhe, credetemi, è troppo dolore... ma quando ho un po’ di tempo scrivo dei versi, ci adatto la musica... faccio il cassiere per vivere, ma io sono nato artista.
GIULIETTA: E quel coro lo cantate domani sera?
PEPPINO: Sissignore, ma ho bisogno ancora di prove, Luigi e Salvatore stonano come cani!
LUIGI: Che volete da noi, non abbiamo mai cantato, se si accorge il principale, s’inquieta.
GIULIETTA: Lo so, è un uomo terribile. Per la sua gelosia, non mi posso nemmeno affacciare alla finestra, posso uscire di casa solo con lui. L’altro ieri aprì la gabbia e ne fece fuggire il canarino perché disse che io gli volevo troppo bene, e lui non lo sopportava.
SALVATORE: Signora, viene il principale.
GIULIETTA: Non dite che stavo qua. (Tutti si mettono al loro posto).
PASQUALE: Gennarino, sguscia le mandorle e farcisci i fichi secchi.
GENNARINO: Subito. (Li prende e via.)
PASQUALE: Tu Salvatore, prendi il carrettino perché dobbiamo fare la spedizione a Napoli.
SALVATORE: Va bene. (Va via.)
PASQUALE: Chissà Giulietta che sta facendo...Assolutamente ho bisogno di un segretario, di una persona di fiducia, che guardi gl’interessi miei, prima stavo in società con Ignazio, e se la vedeva lui per tutto, poi ci siamo divisi e sono rimasto solo io. Da quando mi sono sposato per la seconda volta, la testa non mi aiuta più. Aspettavo un giovane che si doveva presentare stamattina. Per caso è venuto qualcuno che chiedeva di me? (A Michele.)
MICHELE: Sissignore, poco prima è venuto un giovanotto, ha detto che torna più tardi, m’ha lasciato questo biglietto da visita. (Lo dà.)
PASQUALE (legge): «Felice Sciosciammocca». È la persona che mi ha raccomandato il Deputato. Deve essere per forza buono. Chissà Giulietta che sta facendo... (Fiuta.) Per caso mia moglie è scesa quaggiù?
MICHELE: No, signore.
PASQUALE: Come no... io sento l’odore.
MICHELE: (Come se fosse un cane!). Io vi dico che la moglie vostra qua non è venuta.
PASQUALE: Peppino, me l’assicuri pure tu?
PEPPINO: Ve l’assicuro io. (Canta sottovoce.)
Un principio di piacer...
Oh! che piacer!...
Quanto pagherei una voce di soprano.
PASQUALE: Ho fatto male a sposarmi un’altra volta, così giovane e bella, il pensiero non mi fa dormire, pare che l’aria me la rubi. Per fortuna le ho messo vicino la mia cameriera, che mi fa sapere tutto quello che fa!
CONCETTELLA (dalla destra con premura): Signore, mi avete detto che volete sapere quello che fa la signora quando non ci siete?
PASQUALE: Sì, perché?
CONCETTELLA: Poco prima ha voluto far lavare bene il cucciolo. L’ha pettinato e gli sta insegnando a giocare. Quanti baci gli dà.
PASQUALE: L’ha baciato? Ah, stasera mi libero del cucciolo. Ti raccomando, stai attenta, fammi sapere tutto. Eccoti dei fichi secchi. (Glieli dà.)
CONCETTELLA: Grazie tanto. (Via.)
PASQUALE: Oggi prendo il cucciolo e lo regalo a Ignazio. Non capisco perché gli vuole insegnare a giocare, deve insegnare i giochi a me... (A Peppino che batte la musica.) Peppino, che state facendo?
PEPPINO: Niente, sto sommando certe cifre.
PASQUALE: E per fare le somme porti la battuta?
PEPPINO: Nossignore! Siccome non mi trovavo col totale provavo rabbia, e dicevo: dove sarà l’error, dove sarà l’error?
PASQUALE: (Io credo che Peppino sia mezzo pazzo!). Oggi è scaduta la cambiale. Peppino, vai a incassare questa cambiale.
PEPPINO: Subito. (Va via cantando sottovoce.) Un principio di piacer! Oh! Che piacer!... (Esce.)
CONCETTELLA: Signore, la signora ha avuta una visita. È venuta la comare col figlio.
PASQUALE: Il figlio?... Ma è un bambino di dodici anni … vattene sopra che ora vengo… prendi queste quattro noci. (Le dà.)
CONCETTELLA: Signore, ma Voi mi diceste che mi davate mezza lira per ogni ambasciata.
PASQUALE: Mezza lira per ogni ambasciata positiva, ma solo se sono ambasciate serie. Quando sono cose semplici, ti do noci o fichi secchi, vai.
CONCETTELLA: Va bene. (Via.)
PASQUALE: Michele, se viene qualcuno, fallo aspettare (esce).
MICHELE: Pover’uomo, da quando si è sposato non conclude più; quella moglie è molto bella, io quando la vedo, me sento svegliare la carne!
ERRICO (dal fondo): Neh, Che vedo, Michele!
MICHELE: D. Errico! Come mai da queste parti?
ERRICO: Sono venuto per un affare. E tu che fai qua?
MICHELE: Ora faccio lo scrivano.
ERRICO: E il tuo principale si chiama D. Pasquale Catone?
MICHELE: Sissignore, ricco negoziante.
ERRICO: Benissimo! Michele, poco prima è venuto un giovinotto, Felice Sciosciammocca?
MICHELE: Sissignore, ha lasciato il suo biglietto da visita, dicendo che tra poco torna.
ERRICO (ridendo): Ah! ah! Sangue di Bacco. Ti voglio far ridere per un servizio che ho combinato, una rivincita che mi son voluto prendere. Questo D. Felice Sciosciammocca è amico mio strettissimo, ci conosciamo da quindici anni, ci vogliamo bene come fratelli. Ci siamo fatti tanti scherzi senza andare mai in collera. E lui che mi ha combinato? Dovevo sposare una figliola con 30 mila ducate di dote, di buona famiglia. La sera dovevo firmare il contratto. Siccome era Carnevale, mi manda una lettera firmata dal padre della sposa, che diceva: Carissimo Genero. Essendo carnevale, ho pensato di firmare il contratto di matrimonio con gli invitati tutti vestiti in maschera, vi avviso così scegliete un bel costume e fate una bella sorpresa. Vostro ec. ec. Io gli credetti e la sera mi presentai in mezzo a tanti signori vestito da selvaggio. (Michele ride.) Con le gambe da fuori, tutto tinto, fu una risata generale! Il padre e la mamma della sposa si infuriarono, si offesero e non mi vollero più far sposare la figlia. Per uno scherzo, mi fece perdere 30 mila ducati!
MICHELE: Ora voi che gli avete combinato?
ERRICO: Lui ha chiesto a mio zio deputato una raccomandazione come segretario. Mio zio scrisse a D. Pasquale Catone, proponendogli un giovane di gran fiducia.. Io nella lettera ho fatto aggiungere una cosa che farà scoppiare di risate il tuo principale.
MICHELE: Mi farai sapere. (Errico via)
(Arriva Lisetta con Pasquale).
PASQUALE: Io sono tuo padre, e come padre intendo essere rispettato, capisci?
LISETTA: Io vi rispetto, ma non avete il diritto di rendermi infelice per tutta la vita!
PASQUALE: Perché non vuoi sposare D. Carluccio, nipote di Ignazio, giovine, simpatico, coraggioso e premuroso, che altro vuoi?
LISETTA: Per voi tutte queste cose bastano, per me no, io non l’amo!
PASQUALE (gridando): Ma perché?
LISETTA: Perché è un uomo rozzo, senza gentilezza, io voglio un giovine distinto, nobile.
PASQUALE: Domani sera si deve firmare il contratto assolutamente!
LISETTA: Ma io...
PASQUALE: Zitta! Vattene! (Lisetta via.)
MICHELE: Ma perché non vuole D. Carluccio?
PASQUALE: Non so, ma francamente ho paura di Carluccio, può farmi qualche brutta cosa.
MICHELE: Oh, questo è certo.
PASQUALE: A Sorrento lo chiamano l’uomo di ferro, per la forza che tiene.
MICHELE: (Io lo credo uno sbruffone!).
CONCETTELLA (con premura): Signore…
PASQUALE: Che è stato?
CONCETTELLA: La signora si sta lavando la faccia. Ve l’ho voluto dire, ho fatto male?
PASQUALE: Basta, vattene sopra e resta sempre vicino a lei.
CONCETTELLA: Non mi date i fichi secchi?
PASQUALE: Tieni. (Glieli dà.) Vattene. (Concettella via.) Mannaggia quando mi sono sposato, non bastano i pensieri del negozio, ci voleva pure quello di mia moglie e per giunta mia figlia vuole per marito un giovane distinto.
MICHELE: Principale, sta venendo quel giovane che ha lasciato il biglietto da visita.
PASQUALE: D. Felice Sciosciammocca?
MICHELE: Sissignore.
PASQUALE: Fallo entrare.
MICHELE: Favorite, favorite.
FELICE: Grazie tanto. (Con lettera.)
PASQUALE: Favorite, favorite. Voi siete D. Felice Sciosciammocca?
FELICE: Per servirvi.
PASQUALE: Vi ha mandato il Deputato Cardi?
FELICE: Perfettamente il quale vi saluta tanto, e dice di non dimenticare i fichi secchi ripieni.
PASQUALE: Sono pronti, domani sarà servito!
FELICE: Lui mi disse che voi avevate bisogno di un Segretario, e ha scelto me.
PASQUALE: Bravissimo. Che età avete?
FELICE: 32 anni. Sono stato 10 anni con Ravel a Napoli. Ecco la lettera di presentazione.
PASQUALE (la prende): Accomodatevi. (apre la lettera e legge sottovoce): «Caro Pasquale. Il porgitore della presente è il giovine che ti proposi, egli è di buonissimi costumi, educato, istruito, puoi affidargli tutti gli affari tuoi, perché è un giovine di sperimentata fiducia. Debbo dirti però, che è molto disgraziato... Fino all’età di 15 anni, è stato guardiano di un Arem in Costantinopoli. Trattalo bene, perché se lo merita. Ti saluto, Tuo aff.mo Cardi». Bravissimo, la lettera parla molto bene di voi.
FELICE: Grazie, è bontà del Deputato.
PASQUALE: Vi offro lo stipendio di 100 lire al mese, mangiare e dormire, siete contento?
FELICE: Tutto quello che fate voi, è ben fatto.
PASQUALE: Io vi metterò a parte di tutti gli affari miei, di tutti i miei segreti, e voi pure
dal canto vostro, vi dovete confidare con me.
FELICE: Oh, sì, sarete come un secondo padre.
PASQUALE: Io credo che voi dovete essere molto disgraziato.
FELICE: Eh, sì... (E perché sono disgraziato?).
PASQUALE: Ah! Povero infelice! Avete fatto merenda?
FELICE: Nossignore, non ancora.
PASQUALE: Aspettate, ora vi servo io. (chiama.) Concettella? Vi faccio preparare una costata e un bel bicchiere de vino, che vi metterà un po’ in forza.
FELICE: (E che, sono debole?). Come volete.
PASQUALE: Non vi farò faticare troppo, io so la vostra posizione quanto è delicata.
FELICE: (Che dice?). Fate voi, dipendo da voi.
PASQUALE (chiama): Concettella?
CONCETTELLA: Comandate.
PASQUALE: Porta questo giovane a mangiare, fagli una costata e dagli un bicchiere di vino.
A FELICE: Andate, andate con lei.
CONCETTELLA: Favorite.
FELICE: Grazie. (Entra.)
CONCETTELLA: (Quello è tanto geloso, e fa salire in casa questo giovane). (Entra.)
PASQUALE: Povero giovane, mi fa una compassione che non si può credere.
IGNAZIO (con chiave): Buongiorno Pasquale. Fuori c’è Carluccio mio nipote.
PASQUALE: Favorite, D. Carluccio.
IGNAZIO: Pasquale, tua figlia fa la fortuna sua, è un giovine educato.
CARLUCCIO: A proposito D. Pasquale. La figlia vostra non deve dirmi più che non mi vuole, altrimenti domani sera facciamo l’opera.
PASQUALE: Nossignore, domani sera si fanno tutte le cose in regola.
CARLUCCIO: No, perché quando mi arrabbio non ci vedo più, e a chi bastono, bastono!
PASQUALE: Nossignore, non ci sarò bisogno di bastonare nessuno.
IGNAZIO: Io ho preparata già tutto. Tu prepara i gelati, il dolce e il rosolio.
PASQUALE: Perfettamente.
IGNAZIO: 12 mila ducati di dote, e quattro anni di tavola franca.
PASQUALE: Nossignore, dicemmo due anni di tavola franca.
CARLUCCIO: Datemi quattro anni.
PASQUALE: Va bene, facciamo quattro anni.
IGNAZIO: Bravo, Pasquale!
CARLUCCIO: Va bene. (Saluti e via.)
PASQUALE: E tu tua moglie la tieni sempre sotto chiave?
IGNAZIO: Eh, caro Pasquale, devo star sicuro. Lei ha 27 anni, e io ne ho 56.
PASQUALE: La stessa posizione mia, anzi io ne ho 59 e lei 26.
IGNAZIO: Quando esco sono preoccupato... che brutta cosa è la gelosia.
PASQUALE: La gelosia ti fa cadere malato. Ora però ho preso un giovane, che s’incarica degli affari miei, così posso starle vicino.
IGNAZIO: Hai preso un giovane e lo tieni in casa?
PASQUALE: Ma certo, può stare quanto vuole lui. Leggi questa lettera.
IGNAZIO (legge): Oh, questo sarebbe buono per guardare mia moglie... Pasquale, cedimi questo giovinotto, io ne troverò un altro per te.
PASQUALE: Ignazio mio, non te lo posso cedere. Deve fare la guardia a mia moglie!
CONCETTELLA (arriva): Signore, signore...la signora vi manda a dire che vuole uscire un poco con vostra figlia.
PASQUALE: Va bene, le aspetto giù.
CONCETTELLA: Dovete sapere che, tanto la signora, quanto la figlia vostra, vedendo quel giovane che sta sopra, gli hanno fatto tante domande e si sono messe a ridere. I fichi secchi me li date?
PASQUALE: No, basta ora, te ne ho dati assai, poi ti fanno male.
CONCETTELLA (Io non capisco niente più.) (Via.)
PASQUALE: Ignazio mio, non ti potevo cedere quel giovane, era impossibile. Ah, eccolo qua.
FELICE: Io vi ringrazio, il vostro vino non si trova da altre parti. Ho avuto l’onore di conoscere vostra figlia e la vostra signora.
PASQUALE: Benissimo! E come vi sembrano?
FELICE: Sono due belle figliole!
PASQUALE: Voi ne avete viste tante, ora non vi fanno più impressione.
FELICE: (Io questo vecchio non lo capisco!).
PASQUALE: Bene, vi darò cento lire al mese.
FELICE: Io ve ne ringrazio sempre.
IGNAZIO: Giovanotto, io sono amico di Pasquale, se venite con me, vi do 150 al mese.
PASQUALE: Oh, Ignazio, questo non è da galantuomo.
IGNAZIO: Qua non c’entra il galantuomo, ognuno cerca di farsi i fatti suoi.
PASQUALE: E io ve do 170 lire al mese.
IGNAZIO: E io ve ne do 200.
PASQUALE: E io 250.
IGNAZIO: E io 300.
PASQUALE: E io... 350.
IGNAZIO: 400 lire.
PASQUALE: 500.
IGNAZIO: 501 lire.
PASQUALE: 550 è una... e due...
PASQUALE: 600.
IGNAZIO: 610.
FELICE: Andate più veloci.
PASQUALE: 700.
IGNAZIO (dopo pausa): 720.
PASQUALE: 800, 900. Mille! Mille! Mille!
IGNAZIO: (E che so’ pazzo! Basta.)
PASQUALE: 1000, .. e una e due... e tre! Dunque voi starete con me.
FELICE: Va bene.
IGNAZIO: (A Felice:) (Se vi trovate male, venite da me, vi do sempre 700 al mese).(Via)
FELICE: Ma scusate D. Pasquale, perché D.Ignazio teneva tanta premura per me?
PASQUALE: Perché anche lui ha la moglie giovane, nossignore, dovete stare da me.
FELICE: D. Pasquale, io vorrei un contrattino. Sono 1000 lire al mese, intendo lavorare. Ora mi metto qua e Voi mi dite che devo fare.
CONCETTELLA: Ecco qua la signora.
GIULIETTA (con cappello): Eccoci pronte. Pasquale, stamattina è una bella giornata, e vogliamo uscire a passeggio.
PASQUALE: Io non posso accompagnarvi. (a Felice). Accompagnerete voi mia moglie e mia figlia, questo è il vostro impiego!
FELICE: Ah! E allora va bene! (Grande sorpresa di tutti.)
(Cala la tela.)
Fine dell’atto primo
ATTO SECONDO
Camera semplice in casa d’Ignazio.
IGNAZIO Raffaelle, prepariamo i candelabri.
RAFFAELE (esce con due candelabri accesi): Subito. (Pone i candelabri sul mobile.)
IGNAZIO: Quando viene qualcuno, lo devi annunciare con una bella voce.
RAFFAELE: Signore mio, una volta ero corista, ora sono vecchio. Ma signore, scusate, qua stasera c’è la festa di Piedigrotta?
IGNAZIO: Perché?
RAFFAELE: Ho visto i candelabri accesi. (Ride.)
IGNAZIO: Tu non capisci niente. Ah, ecco mia moglie... come è bella, e come sta arrabbiata.
ANGELICA: Sono arrabbiata. Non mi sono maritata per stare sempre in casa.
IGNAZIO: Ti voglio troppo bene, voglio che nessuno ti guardi. Sono geloso assai.
ANGELICA: Questa non è gelosia, è oppressione!
IGNAZIO: Quanto sei bella, sembri una colombina, una tortorella...
RAFFAELE (annunziando). I professori d’orchestra.
IGNAZIO: Ah bravo! Avanti.
RAFFAELE: Favorite.
IGNAZIO: Angelicuccia, come mi venne in testa di sposarmi? Lei è giovane e friccicarella.
RAFFAELE: Il signor Giuseppe Rosso.
IGNAZIO: Avanti, favorisca.
PEPPINO: Rispettabilissimo Signor D.Ignazio.
IGNAZIO: Oh, caro D. Peppino.
PEPPINO: Il mio principale con la moglie e la figlia fra poco saranno qua, egli ha invitato i giovani del suo negozio.
IGNAZIO: Ma ditemi, D. Peppino, Pasquale come vi tratta, dopo la nostra divisione?
PEPPINO: Non ne parliamo, caro D. Ignazio, lavoriamo sempre, e dice che non facciamo mai niente, alle volte mi mortifica in pubblico. Nessuno mi conosce, ma io sono un genio. Da quando è venuto un certo D. Felice, come suo confidente, ha perduta la testa, non c’è altro che D. Felice per lui. Da che era tanto geloso della moglie, adesso la fa accompagnare da quello là, ha tanta fiducia per quell’uomo.
IGNAZIO: Ma come, non sapete niente? (Ride)
PEPPINO: Di che?
IGNAZIO: Quel D. Felice, a Costantinopoli...
PEPPINO: D. Ignazio, abbiamo preparata una sorpresa per gli sposi.
IGNAZIO: Va bene, fate voi. Permettete un momento, io vado a sistemare l’orchestra.
PEPPINO: Fate pure.
IGNAZIO: (esce)
PEPPINO (guarda intorno): Non c’è nessuno. A noi, facciamo la prova generale, cantiamo. Oh, che piacer! (Cantando.) E non tenere una voce di soprano... che peccato!... (Cantano) Pensandoci bene…
RAFFAELE (annunziando): D. Carlino, lo sposo.
CARLUCCIO: (ai coristi) Ehi, levatevi di mezzo, state zitti! Sembrate cinque cani!
PEPPINO: Scusate, noi siamo degli invitati.
CARLUCCIO: Va bene, sedetevi lì e non vi muovete. Voi forse non sapete chi sono io? Io sono lo sposo! Conoscete l’educazione? Come, io sono lo sposo e voi non mi fate cerimonie?
PEPPINO: Scusate, signore, stavamo provando un coro, da cantare per il vostro matrimonio.
CARLUCCIO: Ma che coro, e coro. Voi non sapete con chi avete che fa... Il mio sangue è petrolio, come mi guardate io mi accendo. ..
IGNAZIO: Carluccio, sei venuto?
CARLUCCIO: Sissignore, bacio la mano.
IGNAZIO: Come sei bello, bravo Carluccio.
CARLUCCIO: La sposa non è venuta ancora?
IGNAZIO: No, ma ora li vedi venire.
CARLUCCIO: Zio Ignazio, stasera prima di firmare il contratto, vorrei parlare con D.Pasquale per i 4 anni di tavola franca. Voglio sapere lui che mi dà da mangiare, ho fatto una notarella di tutto quello che non mi piace, e la mettiamo nel contratto. (Caccia una noticina.) Ecco qua. (Legge:) «Cibi che non piacciono allo sposo; Minestra verde; Fagiolini con l’occhio, uova cotte...».
MICHELE: E papere!
CARLUCCIO (seguita): «Fegato fritto...».
MICHELE: E baccalà!
CARLUCCIO (seguita): Melanzane a funghetto, patate con la sugna, zucchine con cacio e uova, insalata di cetrioli e lattuga romana».
IGNAZIO: Sì, amichevolmente glielo diremo.
CARLUCCIO: Per me è importante, altrimenti piglio D. Pasquale e lo butto giù.
IGNAZIO: Nossignore, non ce ne sarà bisogno.
CARLUCCIO: Va bene, io vi ho avvisato.
RAFFAELE (annunziando): Le signore Clementina e Mariannina.
IGNAZIO: Avanti avanti... (Entrano Clementina e Mariannina, vestite a festa).
CLEMENTINA: D. Ignazio, buonasera. Signori...
IGNAZIO: Cara D. Clementina, cara D. Mariannina.
CLEMENTINA: Angelica stamattina ci ha invitate, e abbiamo accettato con gran piacere.
MARIANNINA: D. Ignazio, stasera si balla?
IGNAZIO: Si capisce, c’è l’orchestra.
MARIANNINA: Che bella cosa, che bella cosa!
CLEMENTINA: Neh, ma Angelica dove sta?
IGNAZIO: Eccola qua, sta venendo.
ANGELICA: Oh, cara D.a Clementina, cara Nannina.
MARIANNINA: Buonasera.
CLEMENTINA: Come stai, stai bene?
ANGELICA: Eh, non c’è male. Sedetevi.
CLEMENTINA: Grazie tante. (Seggono.) Finalmente avete dato una festa da ballo! Ogni tanto, uno si deve divertire un poco.
ANGELICA: D.a Clementina mia, ho un marito
che a tutto pensa, fuorché ai divertimenti.
CLEMENTINA: D. Ignazio mio, fate male, lei è giovane, ogni tanto si deve spassare un po’.
IGNAZIO: Ma cara signora, io tengo gli affari miei. A voi forse piace ballare, a noi no.
ANGELICA: A voi non piace, ma a me si! Basta, però: non mi chiudete più dentro.
CLEMENTINA: Come, come! Ti chiude da dentro?
ANGELICA: Già, quando esce, mi chiude dentro e si porta la chiave.
CLEMENTINA: Oh, D. Ignazio, questo è troppo, scusate.
IGNAZIO D.a Clementina, questi affari non vi riguardano.
ANGELICA: Non ve n’incaricate D.a Clementi...
CLEMENTINA: Sono offesa. Angelica, me ne vado. Andiamocene Mariannina.
MARIANNINA: No, io voglio ballare. (Piange.)
CLEMENTINA (forte): Andiamocene, ti dico!...
MARIANNINA (piangendo): No, no, io voglio ballare, voglio ballare. (Batte i piedi a terra.)
ANGELICA (va da Ignazio): Vi prego di scusarvi con D.a Clementina.
IGNAZIO: Va bene, mi scuso, siete contenta?
CLEMENTINA: Benissimo! Avete fatto il vostro dovere! Allora restiamo.
MARIANNINA (battendo le mani): Oh, che piacere, che bella cosa! che bella cosa!...
RAFFAELE: Arriva la sposa! (Tutti si alzano.)
IGNAZIO: Oh, finalmente! (Escono i suddetti, Felice è vestito da turco con frustino.) Pasquale, perché così tardi?
PASQUALE: Sai, le donne quando fanno toletta, non finiscono più. Carluccio bello!
CARLUCCIO: Caro papà, io vedendovi far tardi, ho cominciato a fa qualche cattivo pensiero e ho detto: vuoi vedere che la sposa non vuole venire?
PASQUALE: Oh, no, le parevano mille anni di venire. (Le donne parlano fra di loro.)
IGNAZIO: A proposito, Pasquale, D. Felice come si comporta?
PASQUALE: Benissimo, ma se tu non mi avessi rotto le uova nel piatto mi sarebbe costata una miseria, cento lire al mese.
IGNAZIO: Te lo saresti preso per cento lire?
PASQUALE: Ma sì, lui era tanto contento, perché non deve fare nessuna fatica.
IGNAZIO: Hai fatto bene a vestirlo da turco.
PASQUALE: Mi sono procurato l’abito a Napoli.
IGNAZIO: Psss. (A Felice:) Come vi trovate con Pasquale, avete dormito bene?
FELICE: Benissimo! Ricevo tante gentilezze da D. Pasquale. Stamattina la serva mi ha portato il latte e caffè a letto; sono attenzioni che io non ho avuto da nessuno.
PASQUALE: Che c’entra, è dovere!
IGNAZIO: (Se litigate con lui e venite da me vi do la cioccolata).
FELICE: (Va bene)
(Entrano Giulietta e Lisetta)
GIULIETTA: Lisetta, se non lo puoi vedere, se non ti piace, dillo a tuo padre: io non lo voglio!
LISETTA: Gliel’ho detto tante volte, me lo farà sposare a forza. Ho pianto tutta la notte!
ANGELICA: Lisetta mia, per carità, non prendere un marito senza genio. Io so cosa significa un matrimonio fatto a forza!
CLEMENTINA: Oh, questo è certo, perché vogliono renderla infelice, povera figliola!
ANGELICA: Il bello è che non c’è più tempo, tra poco verrà il notaio, come si fa? (Parlano fra di loro.)
CARLUCCIO: Papà, io appena sposato, vi faccio sapere qualche piatto che non mi piace.
PASQUALE: Sissignore, si capisce!
PEPPINO: (A Felice) (ho trovato il soprano!).
CARLUCCIO: Ma perché siete vestito così?
FELICE: D. Pasquale così ha voluto.
CARLUCCIO Ma è Carnevale?
FELICE: Voi che volete da me, ditelo a lui.
CARLUCCIO: Voi gli potevate dire si no.
FELICE: Non potevo. Mi dà mille lire al mese. Qualunque cosa mi chieda, devo stare zitto.
PASQUALE: Ignazio, ecco i gelati, i dolci, e il rosolio, dove si devono mettere?
IGNAZIO: Ah, sicuro. (Di dentro si sente suonar un valzer.) Oh, bravo, la musica...
PASQUALE (a Felice): Se mia moglie vuole ballare, fatela ballare con voi, con voi solo.
FELICE: Va bene. (Io non capisco questo che marito è!) (Pasquale via, Peppino entra.)
ANGELICA: Giulietta, andiamo dentro.
GIULIETTA: Andiamo, andiamo.
ANGELICA: Venite D.a Clementina.
CLEMENTINA: Sono pronta.
MARIANNINA: Andiamo, andiamo a ballare. (Battendo le mani tutte entrano a sinistra.)
CARLUCCIO: Bella piccina, vieni via.
LISETTA: Eh! Ma dico, non sapete parlare meglio?
CARLUCCIO: Quando uno vuole bene a una figliola, quello che gli viene dice. (La prende per la vita ed escono. La musica cessa.)
FELICE: Quanto è bona questa figliola. Se fossi venuto un mese prima, mi ci mettevo a far l’amore e l’avrei sposata. E la moglie di
D. Pasquale? un altro pezzo rispettabile... eh, e la serva?... Qua, sono tutte bone! Chi poteva immaginare questa fortuna. Quello che non posso capire è perché m’ha vestito in questa maniera, non capisco perché...?
PEPPINO (gentilmente): Buonasera.
FELICE: Felice notte.
PEPPINO: Con quest’abito state proprio bene.
FELICE: Sicuro, sembro un pupo!...
PEPPINO: Che piacere abbiamo avuto tutti noi impiegati che siete venuto voi, siete simpatico a tutti quanti. In me non troverete un amico, ma un fratello affezionato.
FELICE: Grazie tanto.
PEPPINO: Vi chiedo un gran favore. Ho composto un coro da cantare in occasione di questo matrimonio. È tutto pronto, è bello assai. Però ci sono due battute per soprano, se no il coro perde d’effetto... finora non sono riuscito a trovare una voce di donna.
FELICE: E che volete da me?
PEPPINO: Fatemi voi questa gentilezza.
FELICE: Fratello mio, è impossibile, non ho la voce da Soprano. Io canto sempre da baritono.
PEPPINO: Uh! Non dite sciocchezze. (Carezzandolo.) Guardate, quelle sono due
piccole battute (caccia la carta di musica) la prima volta «Oh, che piacer» e la seconda risposta «È una stella mattutina» questo è tutto. Poi il motivo è facilissimo, se lo facciamo un paio di volte subito lo imparate. Se mi fate questo pacere, senz’offesa, vi regalo 5 lire.
FELICE: 5 lire? Anticipate?
PEPPINO: Anticipate! tenete. (Gliele dà.)
FELICE: Va bene, lasciatemi la carta.
PEPPINO: Eccola. (Dà la carta.) Grazie tante.
FELICE: Va bene. (Vede uscire Lisetta.) Signorina, che cos’è?
LISETTA: Niente, mi gira un po’ la testa.
FELICE: Accomodatevi qua. (Lisetta siede.)
Ma adesso come vi sentite?
LISETTA: Mi sento, meglio, grazie tanto. Ah! Ma perché devo essere così disgraziata!
FELICE: E perché volete morire, signorina, voi così giovane, così bella, questa sera dovete stare allegra, fra poco verrà il notaio, si firmerà il contratto.
LISETTA: Non me lo ricordate, per carità!...
FELICE: Ma perché, signorina? Confidatevi con me, forse lo sposo non vi piace?
LISETTA: Non mi piace! Non l’amo! E non l’amerò mai!
FELICE: Possibile!
LISETTA: È antipatico, pesante, rustico quanto mai, poi con certi modi...
FELICE: Avete ragione, signorina, io non so come vostro padre l’ha potuto scegliere per vostro marito... Vostro padre non ha saputo apprezzare la vostra bellezza, ha una perla e non la conosce! È come avere un grosso brillante e farlo legare in ottone, prendere una rosa di maggio e metterla in bocca ad un cane! Voi però siete ancora libera, dite a papà che assolutamente non lo volete! Ascoltatemi, non lo sposate, non firmate, Ve ne prego, risparmiatemi questo dolore!
LISETTA: Ma come! Se firmo, vi dispiacete?
FELICE: Assai, perché dal momento che v’ho vista, io ho sentito il cuore battere in petto e ho detto fra me e me: quanto è bella, questa sarebbe una figliola a cui vorrei bene più della vita mia, le starei sempre vicino e le direi sempre: sciasciona, zucchero, simpaticona mia. E Voi mi sposereste?
LISETTA: A voi?... Oh, sicuro!
FELICE: Allora andate da papà e diteglielo, bello, risoluta: papà, io quello non lo Voglio. Andate. Ora avete capito?
LISETTA: Va bene, lo farò.
FELICE: Bella, simpatica, aggraziatona mia!...
LISETTA: Zucchero, tesoro, scisciunciello mio, io ti vorrei bene assai assai, tu sei il mio cuore.
FELICE: Andate ora... (Lisetta esce.)
IGNAZIO (con paniere di bottiglie): Metto il rosolio in questa camera. Oh, D. Felice, state qua?
FELICE: Sissignore, volete essere aiutato?
IGNAZIO: No, grazie. Vorrei un piacere, Se mia moglie vuole ballare, fatele fare 3 o 4 giri.
FELICE: Ah! Sissignore.
IGNAZIO: Vado ad aggiustare il buffè, perché so mia moglie con chi sta.
FELICE: Va bene. (Questi sono pazzi o vogliono inquietare me).
ANGELICA: Scusate avete visto un ventaglio?
FELICE: Sicuro! Eccolo qua. (Glielo dà.)
ANGELICA: Grazie tanto, l’avevo dimenticato. E voi che fate, non venite dentro?
FELICE: Non so, provo vergogna, così vestito.
ANGELICA: E che vergogna, io vi dico francamente che con quest’abito state bene.
FELICE: Grazie. È stata una stravaganza di D.Pasquale, io non ho potuto negare, capite!
ANGELICA: Vi piace Sorrento?
FELICE: Oh, assai. Non solo Sorrento, ma anche le sorrentine.
ANGELICA: Ne avete conosciuto molte?
FELICE: No, poche, ma quelle poche, ma quelle poche che ho conosciute, vanno per mille.
ANGELICA Oh! Allora vuol dire che sono belle assai quelle che avete conosciute. E chi sono?
FELICE: La prima, siete voi.
ANGELICA: Oh, per carità siete troppo gentile... Uh! Mio marito!... (Si scosta.)
IGNAZIO: Neh, stai qua? Non vai a ballare?
ANGELICA: Vado, sono venuta a prendere il ventaglio.
IGNAZIO: Ecco il tuo cavaliere. D. Felice, vi raccomando?
FELICE: Vi servirò a dovere!
IGNAZIO (esce)
FELICE: Sapete pure che ho trovato di buono a Sorrento? Che i mariti non sono gelosi.
ANGELICA: Voi che dite, anzi sono gelosissimi.
FELICE: E come mai vostro marito vi permette di ballare con me?
ANGELICA: Io sono meravigliata, forse avrà fiducia in voi, perché voi siete un galantuomo.
FELICE: Oh! Ma fino ad un certo punto però, quando poi si vedono due occhi come i vostri, quando si parla un quarto d’ora con voi...
PEPPINO (esce).
ANGELICA: Vi aspetto per ballare... venite presto.
FELICE: Fra poco verrò. (Angelica via a sinistra.) E questa pure è bona! (Riappare Peppino e batte la bacchetta sul cappello.)
PEPPINO: Psss. sapete, noi vi aspettiamo.
FELICE: Andiamocene, facciamo presto. (entra con Peppino.)
IGNAZIO: Raffaele, metti questi dolci nei vassoi!
RAFFAELE (con 2 cartocci): Va bene. (Entra.)
IGNAZIO: Pasquale, hai fatto male a spendere tanto denaro, tutti quei gelati e quei dolci.
GIULIETTA: Pasquale, sei lì? Ti devo parlare seriamente, D. Ignazio non deve sentire.
IGNAZIO: Vado ad aggiustare il buffet. (Esce)
PASQUALE: Che succede?
GIULIETTA: Qua, stasera, ci sarà chiasso. Lisetta stava piangendo. Essa mi ha detto: Parlate con papà, aiutatemi!
PASQUALE: E come s’aiuta ora?
GIULIETTA: Con D. Carluccio parlo io. Perché deve rendere infelice una povera giovane, che trema e fa compassione? Ah! Eccola qua.
LISETTA: Papà mio, papà mio... (Piange.) Io non lo voglio, non lo posso vedere, lo vorrei morto.
UALE: Stai zitta, ora vediamo cosa si può fare.
LISETTA: Io il contratto non lo firmo, io voglio bene a un altro giovane e voglio sposarlo.
PASQUALE: Ah! Ora ho capito! Chi è ?
GIULIETTA Vuoi sapere chi è? è D. Felice!
PASQUALE: Uh! D. Felice vuoi sposare? (Ride.)
LISETTA: Sì papà, lui mi piace, o lui o nessuno!
PASQUALE: Figlia mia, è impossibile, levati questo pensiero dalla testa. D. Felice non te lo posso dare
LISETTA: E perché? È un buon giovane, il Deputato ve ne ha fatto tanti elogi.
PASQUALE: Sì ma come segretario, non come marito.
GIULIETTA: Quando uno è buono, è buono sempre. Perché trovi tanta difficoltà?
PASQUALE: Perché?... ah, leggi questa lettera. (Dà la lettera a Giulietta, la quale legge).
CARLUCCIO (grida): State zitti, non vi voglio sentire più. (La musica cessa). D. Pasquale, io non sono il pulcinella di nessuno. (Gridando.)
(Escono Ignazio, Felice, Peppino, gli impiegati).
IGNAZIO: Che cos’è, che è successo?
CARLUCCIO: La sposa piange, ma io non sono un picchipacchio!
GIULIETTA: Lisetta non vi vuole sposare.
CARLUCCIO: E io l’avevo capito... ma vi farò vedere cosa combina Carluccio. Ora sono vestito da sposo e non posso far niente, ma ci vedremo, ci vedremo.
IGNAZIO: Neh, Pasquale? E tutte queste spese? Domani vengo con mio nipote in magazzino e ce ne darai strettissimo conto! (Alla moglie.) Andiamo dentro. (Via con Angelica)
CLEMENTINA: Ce ne dobbiamo andare anche noi?
MARIANNINA: Senza dolci, e senza niente.
PEPPINO: E il coro per chi si canta?
FELICE: Lo canterete in casa di D. Pasquale, dove troverete pure i dolci, perché se acconsente, Lisetta la sposo io!
PASQUALE: Voi?! (Ridendo:) Ve la sposate voi? Andiamocene Giulietta. (a Clementina) Signore, andatevene, che i dolci non li provate più... Si vuole sposare?... (Esce)
CLEMENTINA: Andiamocene Nannina, Felice notte. (Esce con Nannina.)
PEPPINO (ride): Volete sposarvi ah, ah (Esce)
MICHELE: Avete questo coraggio, ah, ah (Esce)
LISETTA: Ma io non capisco...
GIULIETTA: Andiamocene Lisetta, che non è cosa... (Esce con Lisetta.)
FELICE: Che succede? Ridete? Io chi sono?
RAFFAELE (con guantiera piena di dolci): Neh, scusate, posso fa la prima cacciata?
FELICE: Sicuro! date qua (Rovescia tutti i dolci in un telo, poi l’avvolge, lo prende, esce).
(Cala la tela.)
Fine dell’atto secondo
ATTO TERZO
Magazzino di Pasquale.
MICHELE: Venite, D. Errico, non c’è nessuno.
ERRICO: Michele, raccontami che è successo.
MICHELE: Il principale l’ha vestito da turco, la voce s’è sparsa per Sorrento, e D. Felice ha litigato con quattro persone.
ERRICO: Benissimo!
MICHELE: Il cassiere aveva scritto un coro, e siccome mancava la voce da soprano, la voleva far fa a lui. (Ridendo.)
ERRICO (ride): Ah, ah, ah! Bravissimo!
MICHELE: D. Errico, Voi una grande rivincita non l’avete presa, perché il principale, geloso della moglie, gli fa fare la guardia con mille franchi al mese, mangiare e dormire. Quello sta come un principe. Ora è uscito con la signora e la signorina a passeggio per il paese.
ERRICO: Perbacco! Ho fatto tutto per niente?
MICHELE: Lui vi fece perdere 30 mila ducale, e voi gli avete fatto trovare mille lire al mese.
ERRICO: Ora vedrai cosa gli combino.
MICHELE: Ho paura che questi due amici alla fine si danno un sacco di mazzate!
PEPPINO (arriva con carta di musica in mano): Ho cambiato: le battute del soprano, adesso le canta il basso. (canta da basso:) Oh! Che piacer! Come va che quel D. Felice non ha voce di soprano?
MICHELE: Arriva il principale. (Vanno ai loro posti.)
PASQUALE (esce portando per mano Concettella): Vieni qua, raccontami tutto, voglio sapere tutto.
CONCETTELLA: Sissignore, mandate tutti via.
PASQUALE: Peppino, Michele, uscite.
MICHELE: (Noi questo volevamo). Andiamocene D. Peppino.
PEPPINO: Sono con voi. (Peppino canta.)
Un principio di piacer. Oh! Che piacer!...
PASQUALE: Dunque che mi devi dire?
CONCETTELLA: Vi devo dire, padrone, che quel D. Felice in cui voi avete tanta fiducia, non mi persuade, io sospetto cose gravi assai.
PASQUALE: Non credi a quello che t’ho detto?
CONCETTELLA: Io non ce credo, e scommetto qualunque cifra che vi hanno burlato.
PASQUALE: Ma perché? Tu che hai visto? Che sospetto hai fatto?
CONCETTELLA: Ieri, quando vide la moglie vostra e la figlia vostra, cominciò a fare l’occhio languido, poi ieri sera io sentii che diceva alla signora: Ah, se vi avessi conosciuto prima de D. Pasquale, a quest’ora sareste mia moglie. E questo è niente. Voi avete detto che non ha forze? Ieri mattina quando gli portai il caffelatte, m’afferrò e non mi voleva lasciare. Io gli dissi: Lasciatemi e lui: Ti voglio almeno baciare la mano. Tanto fece che me la baciò.
PASQUALE: Tutto questo c’era e tu non me dicevi niente?
CONCETTELLA: E quando ve lo dicevo? Ma non ne voglio sapere niente più.
PASQUALE: Va bene, vattene sopra. (Concettella via.) Sangue di Bacco, possibile? Allora il Deputato m’ha imbrogliato o è stato imbrogliato pure lui. Uh! Mamma mia, io ora perdo la testa! E io l’ho mandato con mia moglie e mia figlia, ho fatto un guaio. Possibile? Aspetta... lui m’ha detto che è stato dieci anni con Ravel? Ora mando un telegramma a Ravel, e così appuro la verità. (Siede e scrive:) «Ravel-Toledo-Napoli-Desidero conoscere se vostro “impiegato passato Felice Sciosciammocca”... fu scartato dalla leva, e per quale ragione. — Pasquale Catone» Ecco fatto... Un altro telegramma lo faccio al deputato. (Scrive:) «Deputato Cardi-Mergellina 26 Napoli - D. Felice Sciosciammocca, è veramente turco o no? “Ditemi verità, posizione mia critica, io tengo moglie e figlia, capite! Pasquale». (A Luigi che arriva.) Luigi, giusto in tempo, vai a farmi questi due telegrammi.
LUIGI: Va bene. (esce)
PASQUALE: Ora appuriamo la verità. Quello per questo ieri disse: Voglio sposare vostra figlia. Come può il deputato aver scritto quello? Non capisco più niente. (Di dentro si sente ridere Giulietta, Lisetta e Felice.) Ah, eccoli qua, stanno venendo. (arrivano Giulietta, Lisetta e Felice).
GIULIETTA: Ah, ah! Non smetto più di ridere.
LISETTA: Io muoio! (Ride:) Ah, ah, ah.
(Felice ride anche lui.)
PASQUALE: Che è stato, perché ridete?
GIULIETTA: D. Felice sta litigando con tutti quelli che incontra per strada, uno più scostumato dell’altro.
PASQUALE: Ma perché, che ha fatto?
FELICE: Uno mi si è messo dietro e non se ne voleva andare. A ogni ragazza che trovava diceva: Guardalo, com’è curioso. Scusate, ma non ci ho visto più e l’ho preso a calci.
PASQUALE: Voi!... l’avete preso a calci? E avete avuto la forza?
FELICE: D. Pascale, fatemi togliere questo vestito. Perché devo andare vestito così?
PASQUALE: Ma non siete sempre stato vestito così?
FELICE: Oh, mai! Ho accettato per voi, perché mi pagate bene, per non dispiacervi, altrimenti non avrei fatto questa figura infelice!
PASQUALE: (Va bene, ho capito tutto!).
FELICE: Se esco per accompagnare la signora e la signorina, voi me fate un bell’abito, perché porto due belle figliole con me, non è così?
PASQUALE: Sicuro. (Pure il vestito?) e che avete fatto tutto questo tempo?
GIULIETTA: Abbiamo sbagliato strada, siamo finiti in una masseria, a un certo punto non ho visto più né lui né Lisetta.
LISETTA (ridendo): Ah, ah, ah!... ma noi vi vedevamo.
GIULIETTA: Io mi sono trovata sola, a un certo punto mi hanno chiamata e mi hanno riso in faccia. Si erano nascosti sotto un pagliaio. (Felice e Lisetta ridono.)
PASQUALE: Avete fatto lo scherzetto? Va bene! (Accidenti, se l’è portata sotto un pagliaio). Via, andate sopra.
FELICE: Ora andiamo, ci riposiamo e poi usciamo di nuovo.
PASQUALE: Aspettate, loro vanno loro sopra, Voi rimanete qua, per sbrigare dei lavori.
GIULIETTA: Noi saliamo (esce.)
LISETTA (a parte): (Papà, fatemi sposare D. Felice... quello m’è tanto simpatico).
PASQUALE: (Va bene, poi ne parliamo, vai sopra). (Lisetta via salutando Felice.) E bravo, vi siete nascosto sotto il pagliaio.
FELICE (ridendo): Quante risate ci siamo fatte.
PASQUALE: (Quante bastonate ti devo dare!).
FELICE: A proposito di risate D. Pasquale, ieri sera perché ridevano tutti quando io dissi che volevo sposare la figlia vostra?
PASQUALE: Perché voi non avete una posizione, come vi sposate?
FELICE: Io ho Mille franchi al mese, anzi D. Pasquale, facciamo al più presto questo contratto.
PASQUALE: E quanto volete al mese da me?
FELICE: Quanto avete detto Voi, mille lire.
PASQUALE: Ma che dite, io ho scherzato, ma vi pare, io davo mille lire a voi? Per fare che?
FELICE: Oh, questo ora me giunge nuovo... e quanto mi volete dare? 600 lire, dite la verità?
PASQUALE: Più tardi vi dico quanto al mese.
FELICE: Fate presto, c’è chi mi vuole per 700 lire al mese e la cioccolata al mattino.
PASQUALE: Va bene, più tardi ve lo dico.
SALVATORE (arriva con Gennarino): Principale, quali sacchi si devono spedire a Napoli?
PASQUALE: Quelli là, e fate presto. (Gennarino e Salvatore incominciano a prendere i sacchi ma non hanno forza di alzarli.)
SALVATORE: Non abbiate paura, c’è tempo, ci vuole più di un’ora per la partenza.
GENNARINO: Vedi come pesano, accidenti!
PASQUALE: D. Felice, dategli una mano.
FELICE: A me? questa non è incombenza mia.
SALVATORE: Principale, quello non ce la fa.
FELICE: Ha parlato il toro! Spostati, ti faccio vedere io come si fa. (Prende i Sacchi e li mette sul carretto.)
PASQUALE: (Ma guarda che forza che ha!).
FELICE: Andiamo, si deve sollevare altro? Ditemelo, alzo qualsiasi cosa.!
CARLUCCIO: Levatevi da mezzo con questa carretta. (A Salvatore e Gennarino.) D. Pasquale rispettabilissimo. Tutta Sorrento ha saputo la figura infelice che ho fatto ieri sera. Perciò, caro D. Pasquale, non la passate liscia!
PASQUALE: D. Carluccio, che volete da me?
CARLUCCIO: Come, che volete da me? Voi m’avete data la parola!
FELICE: Scusate, la figlia vostra non lo vuole?
PASQUALE: No.
FELICE: E mandatelo via! Va’ là, vattene!
CARLUCCIO: In faccia a Carluccio, l’uomo di ferro, tu dici: Va là...vattene!...
FELICE: Eh! Và là, vattene!...
CARLUCCIO: Già tu hai ragione, tu non sei di Sorrento, e non sai io chi sono...
FELICE: Ma me ne accorgo dalla faccia!
CARLUCCIO: D. Pasquale, io parlo con voi, e voglio essere risposto da uomo. Se vostra figlia non aveva intenzione di sposarmi, non doveva venire a casa ieri, non doveva farmi avvisare il notaio. Non posso perdere la faccia con i miei amici. Oggi è lunedì, se per giovedì sera vostra figlia non viene a firmare il contratto, io vengo qua e vedete che vi combino!
FELICE: Ma scusate signor Uomo di ferro... Voi dovete ragionare, se la ragazza non vi vuole... questo povero padre che deve fare? Voi che siete tanto buono, andate via e non pensateci più, altrimenti ve ne andrete con la testa rotta! (Carluccio e Pasquale sono meravigliati.)
CARLUCCIO: E la testa chi me la romperebbe?
FELICE: Io stesso!
CARLUCCIO: Tu sei un carognone.
FELICE: Vattene, sbruffone!
CARLUCCIO: A me sbruffone! Non scherzare!
FELICE: No, io non scherzo! (Gli dà un forte schiaffo.)
CARLUCCIO: M’hai fatto cadere un molare. (Lo mostra.)
FELICE: All’uomo di ferro è caduto un molare d’acciaio.
CARLUCCIO: Questo molare ora me lo faccio coprire con argento, e lo metto vicino alla catena dell’orologio, e quando lo vedo...
FELICE: Ricordi lo schiaffone che hai avuto...
CARLUCCIO: Tu ce l’hai la mamma? Povera mamma tua … e come piange.
FELICE: Povera bocca tua … e che dolore!...
CARLUCCIO: Vedrai che ti faccio, bel ragazzo!... (Se ne va.)
PASQUALE: (Questo aveva tutto questo in corpo e io l’ho messo accanto a mia moglie... meno male che me ne sono accorto in tempo). Che ha fatto, se n’è andato?
FELICE: Sissignore.
PASQUALE: Io ho paura che torni e vi crei problemi seri.
FELICE: No, non ci pensate, quello non torna, io li conosco quei malandrini!
PASQUALE: E se torna, lo prendo a calci. Ora, poiché avete questa forza, alzate i sacchi e portateli nel deposito.
FELICE: Va bene, vi servo subito. (Entra)
ERRICO (entra): Scusate, signore, voi siete il negoziante Pasquale Catone?
PASQUALE: Per servirvi.
ERRICO: Avete un impiegato che si chiama Felice Sciosciammocca?
PASQUALE: Sissignore.
ERRICO: Oh, finalmente, sto camminando da stamattina. Io sono D. Cesare, il suo compare. Ieri sono stato a casa sua a Napoli, e ho trovato un vero squallore, quella povera donna che piange dalla mattina alla sera, perché all’improvviso è scomparso. Quella povera giovane fa compassione. Se non vuole ritornare a Napoli a casa sua, vi prego, signore, di assegnare tanto al mese a quella disgraziata, detraendolo dal suo stipendio.
PASQUALE: Ma questa disgraziata chi è?
ERRICO: È la moglie, la misera Filomena!
PASQUALE: La moglie!
ERRICO: Non vi ha detto che era ammogliato?
PASQUALE: No... , io non gliel’ho domandato...
ERRICO: Sì, è ammogliato, e ha due figli, Ciccillo e Caterina, che muoiono dalla fame! Egli non lo vuol far sapere, dice che non ha famiglia. Pensateci voi.
PASQUALE: Caro signor D. Cesare, io lo posso solo cacciare, non mi conviene tenerlo.
ERRICO: Tutti dicono lo stesso, non trova mai lavoro perché trascura la famiglia.
PASQUALE: A me l’ha combinato l’onorevole Sig. Deputato Cardi che m’ha scritto che era un bravo giovine. Gli dovrei mandare fichi secchi ripieni; gli faccio mettere dentro mandorle amare.
ERRICO: Credo che il Deputato non abbia colpa, perché quello si finge un buon giovine.
PASQUALE: Va bene. Nascondetevi, vi voglio far sentire come lo tratto.
ERRICO: Sì, sì, mi fa piacere.
PASQUALE: Ma guarda chi era capitato in casa mia. Sposato e con due figlie, aveva fatto quest’affare e voleva sposare Lisetta.
IGNAZIO: Pasquale, Carluccio, mio nipote, ha detto che a tua figlia lui non ci pensa più,
perché si è preso la soddisfazione, quello lo schiaffo che ha dato a D. Felice è come l’avesse fatto a te, perché è impiegato tuo.
PASQUALE: Lui a D. Felice? Ignazio mio, hai capito male, D. Felice l’ha dato a lui.
IGNAZIO: Tu che dici!
PASQUALE: Eh, sì, che dico! Davanti a me, D. Carluccio, tuo nipote, l’uomo di ferro, ha avuto un ceffone numero uno.
IGNAZIO: Veramente? Allora è uno sbruffone! E D. Felice, è stato capace...
PASQUALE: D. Felice è un birbante, io stavo passando un brutto guaio, Ignazio mio,
non è vero che è stato a Costantinopoli, non è debole, a Napoli ha una moglie e due figlie.
IGNAZIO: Ah, sì?... E chi te l’ha detto?
PASQUALE: D. Cesare, il compare suo. Il Deputato s’è fatto imbrogliare, ha preso un abbaglio. Ora lo caccio. D. Felice, venite qua.
FELICE (di dentro): Ho fatto un buon servizio.
PASQUALE: Lasciate stare i sacchi, venite.
FELICE: Che cos’è?... Oh caro D. Ignazio, buongiorno.
IGNAZIO: Padrone mio.
PASQUALE: D. Felice, spogliatevi e andate via. Voi non fate più per me, io vi licenzio.
FELICE: E che m’importa? C’è questo signore che mi dà 700 lire al mese e la cioccolata la mattina. Andiamocene.
IGNAZIO: Io? Io non vi darò nemmeno sei soldi l’anno. (Errico fa capolino e ride.)
FELICE: Scusate, voi me l’avete detto.
IGNAZIO: Ci avete creduto? Io ho scherzato!
FELICE: Ma questo non è agire da negozianti onesti. Abbiamo a che fare coi bambini?
PASQUALE: Ebbene, noi vogliamo comportarci da bambini e voi pensate agli altri bambini.
FELICE: Quali bambini?
PASQUALE Fa lo scemo. Lo sapete: Ciccillo e Caterina! Vergogna!... sappiamo tutto!... abbiamo appurato tutto! Perché avete
lasciata quella povera Filomena?
FELICE: Chi è Filomena?
PASQUALE: Ah! Non sapete chi è Filomena?
L’abbiamo saputo, D. Cesare ci ha detto tutto.
FELICE: D. Cesare!... E chi è questo D. Cesare?
PASQUALE: Non conosce nemmeno D. Cesare. È il vostro Compare!
FELICE: Il mio compare? Io non conosco nessuno! Che state dicendo! Filomena, Cesare, Ciccillo, Caterina, chi li conosce, siete pazzi!
PASQUALE: Ah! Sono pazzo? (Alla porta.) D. Cesare, favorite.
ERRICO (esce ridendo): Io muoio dalle risate, ora mi viene un colpo!
FELICE: Errico! Ho capito. Quello v’ha burlato, l’ha fatto apposta per farmi uno scherzo, siamo amici, begli amici!
ERRICO (ridendo): Sissignore, siccome n’ha fatto tante a me, io ora ne ho fatto uno a lui.
FELICE: Che ti venga un colpo!
PASQUALE: E non è vero che è sposato?
ERRICO: Nossignore, e la lettera che avete ricevuta da mio zio il Deputato è stata dettata da me, per fargli lo scherzo.
PASQUALE: Ah! Siete nipote del Deputato?
ERRICO: Sissignore.
FELICE: E che c’era scritto in quella lettera?
PASQUALE (ride): Leggete. (Gli dà la lettera)
FELICE (legge).
IGNAZIO (ridendo): Veramente è stata una pazzia un po’ spinta.
ERRICO: Voi che dite! Quello una volta mi fece perdere 30 mila ducali!
FELICE: Ho capito tutto; ma questi non sono scherzi che si fanno, abbi pazienza.
CONCETTELLA: Padrone, il portinaio ha portato due telegrammi (Glieli dà.)
PASQUALE: (Apre il primo e legge:) Mio passato impiegato Felice Sciosciammocca, fatto servizio militare tre anni. Ravel». Mi sono informato da Ravel.
FELICE: Vedete che figura ho fatto con Ravel.
PASQUALE: Vediamo l’altro. (Legge) «Desiderio mio nipote fare uno scherzo, essendo amico del raccomandato, perdoniamo insieme la gioventù: Cardi». Intanto Voi per scherzare avete inguaiato me.
ERRICO: Scusate D. Pasquale.
PASQUALE: Va bene, non ne parliamo più, io per troppo rispetto a vostro zio, lo tengo con me in qualità di segretario a cento lire al mese.
GIULIETTA (arriva): Pasquale, noi siamo qua, ce ne vogliamo andare?
PASQUALE: Sì... anzi ce ne andiamo tutti a mangiare in campagna. (A Errico:) Ci farete l’onore di essere dei nostri?
ERRICO: Con tutto il cuore.
PASQUALE: Ora andiamo a prendere la moglie di Ignazio e ce ne andiamo.
LISETTA: Papà... (Fa segno a Felice.)
PASQUALE: Ho capito!... Tu per forza lo vuoi sposare? Va bene. Acconsento!...
FELICE: Sciasciona mia!
LISETTA: Feliciello mio. (Si abbracciano.)
GIULIETTA (meravigliata): Come!... Pasquale?
PASQUALE: Quello che diceva nella lettera non era vero, è stato uno scherzo fra amici.
GIULIETTA: Uno scherzo? (Ridendo:) Ah, ah, ah! Proprio un bello scherzo! (Tutti ridono.)
FELICE: Un bello scherzo?
GIULIETTA: Sicuro! Bello assai!
FELICE: Speriamo che sia piaciuto anche al pubblico!!!!
(Cala la tela.)
Fine dell’atto terzo
FINE DELLA COMEDIA