Olocausto 4. Per non dimenticare. Poesie celebri

27 gennaio . Giornata della memoria

GIUSEPPE UNGARETTI - Non gridate più

 

Cessate di uccidere i morti,

non gridate più, non gridate

se li volete ancora udire,

se sperate di non perire.

Hanno l'impercettibile sussurro,

non fanno più rumore

del crescere dell'erba,

lieta dove non passa l'uomo.

JOYCE LUSSU - Un paio di scarpette rosse

 

C’è un paio di scarpette rosse

numero ventiquattro

quasi nuove:

sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica

“Schulze Monaco”.

C’è un paio di scarpette rosse

in cima a un mucchio di scarpette infantili

a Buckenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo

chi sa di che colore erano gli occhi

bruciati nei forni

ma il suo pianto lo possiamo immaginare

si sa come piangono i bambini

anche i suoi piedini li possiamo immaginare

scarpa numero ventiquattro

per l’ eternità

perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse

a Buckenwald

quasi nuove

perché i piedini dei bambini morti

non consumano le suole.

VITTORIO SERENI - La pietà ingiusta

 

Mi prendono da parte, mi catechizzano:

il faut

faire attention, vous savez.

Et surtout si l’affaire

Doit marcher jusq’au bout,

ne causez pas de ces choses bien passées.

Il paraît qu’il en fut un, un SS

qu’il a été même dans l’armée

quoique pas allemand…

Ecco in cosa erano

forza e calma sospette

l’abnegazione nel lavoro, la

cura del particolare, la serietà

a ogni costo, fino in fondo…

Intorno c’è aria di niente, mani

sulla tavola, armi (chi le avesse)

al guardaroba: solo adesso

si comincia a capire - e l’affare un pretesto

il pranzo un trucco, una messinscena

benché non esistano dubbi sulle portate

benché non ci siano orripilanti cataste sulla tavola né sotto

- ma in cucina, chi può dirlo?,

ah le dotte manipolazioni di cui furono capaci,

matasse, matassine innocue, oro a scaglie

da coprirne un deserto di sale, di nubi d’anime

esalanti-esulanti da camini

con la piena dolcezza degli stormi d’autunno

altre anche meno visibili spazzate da una raffica in un’ora di notte-

è una questione d’occhi fermi sul cammello che passa

e ripassa per la cruna in piena libertà –

e con tocchi di porpora una città

d’inverno, una città di cenere si propaga

dentro una lente di mitezza.

Solo adesso si comincia a capire.

Incredibile – dirò più tardi – le visioni

immotivate che si hanno a volte

(e pazienza per queste

ma esserne coinvolti al di là del giudizio

fino al tenero, fino all’indebita pietà …):

le giubbe sbottonate della disfatta, un elmo

ruzzolante tra i crateri, sugli argini maciullati

facce su facce lungo un canale a ridosso di un muro

un reparto in sfacelo che si sbraca, se ne fotte

della resa con dignità, ma su tutte

quella faccia d’infortunio, di gioventù in malora

con la sua vampa di dispetto di bocciato

di espulso dal futuro

nell’ora già densa della campagna

verso l’estate che verrà …

Tra poco apparecchieranno, porteranno

le cartelle per la firma. Si firmerà.

Si firmerà la pace barattandola con la nostra pietà –

e lui rimesso in sesto, risarcito di vent’anni d’amaro

bene potus et pransus arbitro dell’affare.

Non si vede più niente. Se non - per un incauto

pensiero, per quel momento di pietà - quella mano

quel mozzicone di mano sulla parete.

Ci conta ci pesa ci divide. Firma.

E tutti quanti come niente - come la notte

ci dimentica.

Martin Niemöller - Quando i nazisti presero i comunisti

 

Quando i nazisti presero i comunisti 

io non dissi nulla

perché non ero comunista.

Quando rinchiusero i socialdemocratici

io non dissi nulla 

perché non ero socialdemocratico.

Quando presero i sindacalisti,

io non dissi nulla 

perché non ero sindacalista.

Poi presero gli ebrei,

e io non dissi nulla

perché non ero ebreo.

Poi vennero a prendere me.

E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.

Sul web la poesia venne attribuita, per errore, a Bertolt Brecht

SALVATORE QUASIMODO - Auschwitz

 

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,

amore, lungo la pianura nordica,

in un campo di morte: fredda, funebre,

la pioggia sulla ruggine dei pali

e i grovigli di ferro dei recinti:

e non albero o uccelli nell'aria grigia

o su dal nostro pensiero, ma inerzia

e dolore che la memoria lascia

al suo silenzio senza ironia o ira.

Tu non vuoi elegie, idilli: solo

ragioni della nostra sorte, qui,

tu, tenera ai contrasti della mente,

incerta a una presenza

chiara della vita. E la vita è qui,

in ogni no che pare una certezza:

qui udremo piangere l'angelo il mostro

le nostre ore future

battere l'al di là, che è qui, in eterno

e m movimento, non in un'immagine

di sogni, di possibile pietà,

E qui le metamorfosi, qui i miti.

Senza nome di simboli o d'un dio,

sono cronaca, luoghi della terra,

sono Auschwitz, amore. Come subito

si mutò in fumo d'ombra

il caro corpo d'Alfeo e d'Aretusa!

Da quell'inferno aperto da una scritta

bianca: «Il lavoro vi renderà liberi»

uscì continuo il fumo

di migliaia di donne spinte fuori

all'alba dai canili contro il muro

del tiro a segno o soffocate urlando

misericordia all'acqua con la bocca

di scheletro sotto le doccie a gas.

Le troverai tu, soldato, nella tua

storia in forme di fiumi, d'animali,

o sei tu pure cenere d'Auschwitz,

medaglia di silenzio?

Restano lunghe trecce chiuse in urne

di vetro ancora strette da amuleti

e ombre infinite di piccole scarpe

e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie

d'un tempo di saggezza, di sapienza

dell'uomo che si fa misura d'armi,

sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto

marcirono e pietà, sotto la pioggia,

laggiù, batteva un no dentro di noi,

un no alla morte, morta ad Auschwitz,

per non ripetere, da quella buca

di cenere, la morte.

PRIMO LEVI - Se questo è un uomo

 

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per un pezzo di pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

PAUL CELAN - Fuga di morte

 

Nero latte dell’alba lo beviamo la sera

lo beviamo al meriggio, al mattino, lo beviamo la notte

beviamo e beviamo

scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive

che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete

lo scrive e va sulla soglia e brillano stelle e richiama i suoi mastini

e richiama i suoi ebrei uscite scavate una tomba nella terra

e comanda i suoi ebrei suonate che ora si balla

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte

ti beviamo al mattino, al meriggio ti beviamo la sera

beviamo e beviamo

Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive

che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Egli urla forza voialtri dateci dentro scavate e voialtri cantate e suonate

egli estrae il ferro dalla cinghia lo agita i suoi occhi sono azzurri

vangate più a fondo voialtri e voialtri suonate che ancora si balli

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte

ti beviamo al meriggio e al mattino ti beviamo la sera

beviamo e beviamo

nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca coi serpenti

egli urla suonate la morte suonate più dolce la morte è un maestro tedesco

egli urla violini suonate più tetri e poi salirete come fumo nell’aria

e poi avrete una tomba nelle nubi lì non si sta stretti

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte

ti beviamo al meriggio la morte è un maestro tedesco

ti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamo

la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro

egli ti centra col piombo ti centra con mira perfetta

nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete

egli aizza i suoi mastini su di noi ci dona una tomba nell’aria

egli gioca coi serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith

SALVATORE QUASIMODO - Alle fronde dei salici

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde del salici, per voto,

anche le nostre cetre appese,

oscillavano lievi al triste vento. 

SALVATORE QUASIMODO - Uomo del mio tempo

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

ome sempre, come uccisero i padri,come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra,dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore. 

PRIMO LEVI - La tregua

 

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti, 

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare.

 Finché suonava breve sommesso

Il comando dell'alba:

«Wstawac'»;

E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,

Il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

È tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero:

« Wstawac'».

PAUL ELUARD - Libertà (1942)

 

Sono nato per conoscerti

Per chiamarti

Libertà.

Su i quaderni di scolaro

Su i miei banchi e gli alberi

Su la sabbia su la neve

Scrivo il tuo nome

Su ogni pagina che ho letto

Su ogni pagina che è bianca

Sasso sangue carta o cenere

Scrivo il tuo nome

Su le immagini dorate

Su le armi dei guerrieri

Su la corona dei re

Scrivo il tuo nome

Su la giungla ed il deserto

Su i nidi su le ginestre

Su la eco dell'infanzia

Scrivo il tuo nome

Su i miracoli notturni

Sul pan bianco dei miei giorni

Le stagioni fidanzate 

Scrivo il tuo nome

Sopra i vetri di stupore

Su le labbra attente

Tanto più su del silenzio

Scrivo il tuo nome

Sopra i miei rifugi infranti

Sopra i miei fari crollati

Su le mura del mio tedio

Scrivo il tuo nome

Su l'assenza che non chiede

Su la nuda solitudine

Su i gradini della morte

Scrivo il tuo nome

Sul vigore ritornato

Sul pericolo svanito

Su l'immemore speranza

Scrivo il tuo nome

E in virtù d'una parola

Ricomincio la mia vita

Sono nato per conoscerti

Per chiamarti

Libertà.



PER NON DIMENTICARE - COMBATTIAMO OGNI PREGIUDIZIO E OGNI DISCRIMINAZIONE