Antuono e l'Orco (adattamento da Giambattista Basile)

ANTONIO E L'ORCO (Da lo cunto de li cunti di Giambattista Basile)

Libero adattamento di Cultura&Svago

C’era una volta al paese di Marigliano una donna per bene chiamata Masella, la quale, oltre a sei figlie, aveva un figlio maschio sfaccendato. Quando Masella parlava, lui fischiava.

Ma, vedendo che non c’era speranza che il figlio mettesse la testa a posto, lo lavò e lo vestì, dicendogli di andarsene di casa. Antuono cominciò a camminare ed arrivò ai piedi di una montagna, alta tra le nuvole, dove, in una grotta era seduto un orco tanto brutto!

Aveva la testa più grande di un fico d’India, le ciglia unite, il naso ammaccato, due forge che sembravano due fogne, una bocca con due zanne, il petto peloso, le braccia a trapano e i piedi grassi come un papero: insomma pareva un brutto pezzente.

Ma Antuono, senza farsi problemi, gli chiese: «Messere, che fai? come stai? Ti serve qualcosa? Cosa devo fare per te?». L’orco si mise a ridere e gli disse: «Vuoi essere mio servo?». E Antuono chiese: «Quanto mi dai al  mese?». E l’orco tornò a dire: «Servimi onoratamente e farai la tua fortuna ». Così concluso il patto, Antuono restò a servire l’orco, dove il cibo abbondava e non si faticava, tanto che in quattro giorni si fece grasso come un turco e rotondo come un bue.

Ma non passarono due anni che gli venne voglia di tornare a casa sua. L’orco lo chiamò da parte e gli disse: «Antuono mio, io so cha vuoi vedere i tuoi parenti; perciò, dato che ti voglio bene, mi accontento che tu passi da loro. Prendi questo asino, che ti toglierà la fatica del viaggio, ma non dovrai mai dire arre, cacaure, perché te ne pentirai».

Antuono, preso il ciuco, salito sopra si mise a trottare; ma dopo un centinaio di passi, smontato dal somaro, cominciò a dire arre, cacaure. Aveva appena aperto la bocca che l’asino cominciò a cacare perle, rubini, smeraldi, zaffiri e diamanti. Antuono, meravigliato, riempì la borsa di gioielli e continuò a trottare di buon passo, finché arrivò a una taverna. Appena smontato, la prima cosa che disse al tavernaro fu:

«Lega quest’asino alla mangiatoia, dagli buon cibo, ma non dire ma non dire arre, cacaure, altrimenti te ne pentirai».

Il tavernaro, visti i gioielli, che valevano tantissimo, volle vedere che significavano quelle parole. Perciò, dopo aver dato da mangiare ad Antuono e all’asino, quando li sentì dormire corse alla stalla e disse all’asino: arre, cacaure, il quale con queste parole fece la solita operazione, espellendo dal corpo pezzi d’oro e gioielli. Il tavernaro decise allora di scambiare l’asino e imbrogliare Antuono.

Antuomo, appena sveglio, chiamò il tavernaro e gli disse: «Vieni qua, camerata, amici siamo e tali resteremo. Fammi il conto e ti pago».

E così, dopo aver pagato il pane, il vino, la  minestra, la carne, lo stallaggio e il letto, sborsò i denari, si prese il falso asino con un sacchetto di pietre pomici al posto dei gioielli e partì. Arrivò dalla mamma e disse: «Corri, mamma, corri, mamma, che siamo ricchi. Prepara la tavola, stendi lenzuola e coperte, che ti porto il tesoro.».

La mamma, con grandissima gioia, aprì il baule del corredo delle figlie da marito, prese le lenzuola, le tovaglie e preparò tutto per terra. Sopra di essi Antuono fece salire l’asino e iniziò a intonare arre, cacaure; ma l’asino non rispondeva a quelle parole. Tuttavia, insistendo tanto, la povera bestia si lasciò andare e fece una bella squacquarata gialla sui panni bianchi.

La povera Masella, che sperava nella ricchezza, ma sentì ammorbare tutta la casa, prese un bastone e le suonò ad Antuono, che disperato scappò dall’orco.

L’orco, vedendolo venire più de trotto che de passo, indovinò l’accaduto e lo offese per essersi fatto infinocchiare dal tavernaro.

Antuono, ingoiato la pillola amara, pianse e promise che mai più si sarebbe fatto burlare da uomo vivente.

 

Passò un altro anno  e gli venne desiderio di vedere la sua famiglia. L’orco, ch’era brutto de facce e bello di cuore, salutandolo gli disse: «Porta questo a tua mamma, ma non fare come facesti con l’asino e, finché non arrivi a casa tua, non dire aprete né serrate tovagliuolo, perché se ti succede qualche altra disgrazia il danno è tuo. Ora va’ e torna presto».

Così partì Antuono, ma, poco lontano dalla grotta, subito, messa la salvietta a terra, disse aprete e serrate tovagliuolo, il quale aprendosi mostrò tante bellezze, tante galanterie, che fu una cosa incredibile. Appena vide ciò, Antuono disse subito serrate tovagliuolo e, chiuso tutto dentro, si diresse verso la medesima taverna, dove disse all’oste: «Te’, conservami la salvietta e non dire aprete e serrate tovagliuolo». Il tavernaro, ch’era un furbo di tre cotte, disse: «Lascia fare a me» e, datogli buon cibo e mandatolo a dormire, prese la salvietta e disse aprete tovagliuolo; e il tovagliuolo, aprendosi, cacciò fuori tante cose pregevoli. Allora, preparata un’altra salvietta simile a quella, appena sveglio Antuono gliela diede e si salutarono.

Quando Antuono toccò piede a casa della mamma, disse: «Ora sì che diamo un calcio alla povertà e avremo ogni ricchezza.!».

E detto questo, stese la salvietta in terra e cominciò a dire: àprete tovagliuolo. Ma perse il suo tempo senza ottenere nulla. Così disse alla mamma: «Ben mi sta: mi sono fatto infinocchiare di nuovo dal tavernaro. Ma me la pagherà!!».

La mamma, che intese questa nuova asinata, gli disse: «Scapìzzate, figlio scomunicato! rompiti le gambe! Levati da avanti, che non ti voglio più vedere».

Appena Antuono vide il lampo, non volle aspettare il tuono e, abbassando la testa, tornò dall’orco. Egli, vedendolo moscio, gli fece un’altra paternale, chiamandolo canna fradicia, culo di gallina. Di ogni cosa getti il bando e tu fai derubare. Se fossi stato zitto, non ti sarebbe successo.

 

Antuono, con la coda fra le gambe, restò altri tre anni al servizio dell’orco, pensando sempre alla casa sua.

Tempo dopo, volle tornare un’altra volta a casa sua e chiese licenza all’orco, il quale gli diede una mazza lavorata e gli disse «Porta questa mazza per mio ricordo, ma non dire mai alzati mazza, né coricati mazza». E Antuono glielo promise. L’orco lo salutò dicendogli: uomo avvisato è mezzo salvato».

Si avviò verso casa e dopo un po’ disse; alzati mazza! subito la mazza lo bastonò sulle spalle. Il pover’uomo disse subito coricati mazza! e la mazza si fermò. Decise di arrivare alla taverna, dove fu ricevuto con grande accoglienza. Appena arrivato, Antuono disse all’oste: «Tieni, conservami questa mazza, ma non dire alzate mazza! Perché avrai tanti pericoli.

Il tavernaro gli preparò la cena e lo mandò a dormire. Chiamò la moglie e corse a pigliare la mazza, e disse: alzati mazza! la quale lo bastonò a tal punto che il tavernaro corse da Antuono chiedendo pietà. Ma Antonio disse: «No c’è rimedio: morirete sotto la mazza se non mi restituirete ogni cosa mia».

Il tavernaro gridò: "prenditi tutto e liberami da questa tortura". Appena Antuono riebbe l’asino, i gioielli e le altre cose, disse còricati mazza! E se ne andò a casa della mamma felice e contento.

 

A pazze e a peccerille dio l’aiuta (Basile)