In questa pagina vengono proposti gli incipit (in genere il prologo o le prime due pagine) di libri editi a partire dal 1980 fino ad oggi, best sellers e romanzi scelti tra quelli maggiormente venduti.
THOMAS HARRIS - Il silenzio degli innocenti (1988)
UMBERTO ECO - Il pendolo di Foucault (1988)
SVEVA CASATI MODIGNANI - Donna d'onore (1988)
Frederick Forsyth - L'alternativa del diavolo (1989)
LUIS SEPULVEDA - Il vecchio che leggeva romanzi d'amore (1989)
KEN FOLLETT - I pilastri della terra (1989)
JOHN GRISHAM - Il momento di uccidere (1989)
KAZUO ISHIGURO - Quel che resta del giorno (1989)
UMBERTO ECO - Il pendolo di Foucault (1988)
Fu allora che vidi il Pendolo.
La sfera, mobile all'estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.
lo sapevo - ma chiunque avrebbe dovuto avvertire nell'incanto di quel placido respiro - che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel numero π che, irrazionale alle menti sublunari, per divina ragione lega necessariamente la circonferenza al diametro di tutti i cerchi possibili - così che il tempo di quel vagare di una sfera dall'uno all'altro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le più intemporali delle misure, l'unità del punto di sospensione, la dualità di una astratta dimensione, la natura ternaria di π il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.
Ancora sapevo che sulla verticale del punto di sospensione, alla base, un dispositivo magnetico, comunicando il suo richiamo a un cilindro nascosto nel cuore della sfera, garantiva la costanza del moto, artificio di-sposto a contrastare le resistenze della materia, ma che non si opponeva alla legge del Pendolo, anzi le permetteva di manifestarsi, perché nel vuoto qualsiasi punto materiale pesante, sospeso all'estremità di un filo inestensibile e senza peso, che non subisse la resistenza dell'aria, e non facesse attrito col suo punto d'appoggio, avrebbe oscillato in modo regolare per l'eternità.
La sfera di rame emanava pallidi riflessi cangianti, battuta com'era da-gli ultimi raggi di sole che penetravano dalle vetrate. Se, come un tempo, avesse sfiorato con la sua punta uno strato di sabbia umida disteso sopra il pavimento del coro, avrebbe disegnato a ogni oscillazione un solco leggero sul suolo, e il solco, mutando infinitesimalmente di direzione ad ogni istante, si sarebbe allargato sempre più in forma di breccia, di vallo, lasciando indovinare una simmetria reggiate - come lo scheletro di un mandala, la struttura invisibile di un pentaculum, una stella, una mistica rosa. No, piuttosto una vicenda, registrata sulla distesa di un deserto, di tracce lasciate da infinite ematiche carovane. Una storia di lente e millenarie migrazioni, forse così si erano mossi gli atlantidi del continente di Mu, in ostinato e possessivo vagabondaggio, dalla Tasmania alla Groenlandia, dal Capricorno al Cancro, dall'Isola del Principe Edoardo alle Svalbard.
La punta ripeteva, narrava di nuovo in un tempo assai con-tratto, quello che essi avevano fatto dall'una all'altra glaciazione, e forse facevano ancora, ormai corrieri dei Signori - forse nel percorso tra le Samoa e la Zemlia la punta sfiorava, nella sua posizione di equilibrio, Agarttha, il Centro del Mondo. E intuivo che un unico piano univa Avalon, l'iperborea, al deserto australe che ospita l'enigma di Ayers Rock.
In quel momento, alle quattro del pomeriggio del 23 giugno, il Pendolo smorzava la propria velocità a un'estremità del piano d'oscillazione, per ricadere indolente verso il centro, acquistar velocità a metà del suo percorso, sciabolare confidente nell'occulto quadrato delle forze che ne segnava il destino.
Scienza del Comportamento, la sezione dell'FBI che si occupa degli omicidi in serie, è al piano più basso della sede dell'Accademia a Quantico, ed è semisepolta nel terreno. Clarice Starling vi
arrivò un po' affannata dopo una veloce camminata da Hogan's Alley, il poligono di tiro. Aveva qualche filo d'erba tra i capelli e macchie d'erba sulla giacca a vento dell'Accademia perché aveva
dovuto buttarsi al suolo sotto il fuoco, in un'esercitazione di arresto al poligono.
Nell'anticamera non c'era nessuno, e così si assestò rapidamente i capelli guardando la propria immagine riflessa nella porta di vetro. Sapeva di avere un aspetto accettabile anche senza farsi
bella. Le mani avevano odore di polvere da sparo, ma non aveva avuto il tempo di lavarle... la convocazione del caposezione Crawford era urgente.
Trovò Jack Crawford nell'ufficio caotico. Era in piedi accanto alla scrivania di un altro e parlava al telefono, e Clarice ebbe la possibilità di guardarlo attentamente per la prima volta in un
anno. E ciò che vide le ispirò un vago senso d'inquietudine.
Di solito, Crawford aveva l'aspetto di un ingegnere di mezza età in ottima forma che probabilmente s'era pagato gli studi universitari giocando a baseball... un catcher abile e astuto, e duro
quando doveva bloccare il piatto. Adesso era magro, il colletto della camicia gli andava largo, e c'erano borse scure sotto gli occhi arrossati. Chi leggeva i giornali sapeva che la sezione
Scienza del Comportamento era sotto il fuoco.
CAPITOLO 1.
MARK Fawcett, cronista d'assalto del New York Times, esitò tra il sibilo del bollitore e lo squillo del telefono.
Subito prevalse l'interesse per la comunicazione esterna, ma doveva interrompere l'urlo del vapore se voleva ragionevolmente mettersi in contatto con l'interlocutore dall'altra parte del filo.
Rischiò la catastrofe scivolando su uno strofinaccio abbandonato la sera prima sul pavimento, riuscì a spegnere il gas e guadagnò la postazione telefonica dimenticando che aveva la faccia coperta
di schiuma da barba, bianca e soffice come la neve che vedeva scendere nel riquadro della finestra. Chissà perché anche le operazioni più semplici come quella di radersi, farsi un caffè e
rispondere al telefono erano diventate maledettamente complesse da quando Carolyn se n'era andata.
«Eccolo!» urlò nel microfono infilando subito dopo un rosario di imprecazioni: la schiuma da barba aveva intasato l'auricolare impedendogli l'ascolto. Quando ripristinò il collegamento udì una
voce metallica inconfondibilmente riflessa dal satellite che concludeva un breve discorso con una esclamazione: DINAMITE!
«Chiunque tu sia, dimmi il tuo nome e ricomincia da principio» gridò.
«Che cosa ti prende, Mark?» interrogò perplesso l'interlocutore.
«É una storia lunga» replicò Mark riconoscendo finalmente la voce di Gianni Ricci, capocronista del Giornale di Sicilia che gli stava telefonando da Palermo.
Avevano la stessa età, quarantaquattro anni, e avevano vissuto insieme, quando Ricci aveva abitato a New York, in un appartamentino in Bleecker Street sognando orizzonti di gloria.
Frederick Forsyth - L'alternativa del diavolo (1989)
Il naufrago sarebbe morto prima del tramonto se non fosse stato per la vista acuta di un marinaio italiano di nome Mario. Anche dopo essere stato scorto, il poveretto era scivolato nell'incoscienza, le parti esposte del corpo quasi nudo arrostite dal sole spietato, e quelle immerse nell'acqua di mare mollicce e piagate dalla salsedine.
Mario Curcio era il cuoco e il cameriere di bordo della nave da carico Garibaldi, una simpatica, vetusta e arrugginita tinozza salpata da Brindisi, che arrancava a est, verso Capo Ince e Trabzon, lungo l'estremo lem bo orientale della costa settentrionale della Turchia, per andare a imbarcare un carico di mandorle dell'Anatolia.
La ragione precisa per cui Mario decise, quel mattino di aprile del 1982, di vuotare il secchio con le bucce di pomodoro di là dalla battagliola sopravvento anziché nello scivolo dei rifiuti a poppa, lui non avrebbe mai saputo spiegarla. Ma, forse per respirare una boccata dell'aria fresca del mar Nero, Mario uscì sul ponte di coperta, si diresse verso la battagliola di dritta e lanciò i rifiuti nell'oceano. Girò sui tacchi, ma, dopo due passi, si fermò, si accigliò, si voltò di nuovo e tornò indietro fino alla battagliola, sconcertato e incerto.
Si fece schermo agli occhi e guardò verso levante. Era sicuro di avere veduto qualcosa laggiù, sulle onde blu-verdi, tra la nave e la costa turca, venti miglia più a sud. Non riuscendo a vedere di nuovo quello che aveva scorto, si arrampicò su per la scaletta esterna fino all'ala di plancia, e guardò ancora. Vide allora la cosa, molto chiaramente, per mezzo secondo, tra le colline d'acqua in lento movimento. Si voltò verso la porta aperta alle sue spalle e gridò: «Capitano!» Anche il radar del capitano Vittorio Ingrao aveva captato un'eco. Occorse al comandante una mezz'ora per far virare la nave e tornare nel punto indicato da Mario, poi lui vide a sua volta.
Era un'imbarcazione leggera e lunga appena tre metri e sessanta.
Verso prora si trovava un solo banco trasversale, con un foro al centro per l'albero. Ma, o l'albero non era mai esistito, oppure, fissato male, era finito in mare. Mentre il Garibaldi, fermo, beccheggiava sulle onde, il capitano Ingrao stette a guardare Mario e il nostromo partire con la lancia a motore per portare la barca accanto alla nave.
L'uomo che vi si trovava giaceva supino in parecchi centimetri d'acqua di mare. Era smunto ed emaciato, barbuto e privo di sensi; respirava a stento, ad ansiti brevi. Gemette alcune volte mentre veniva issato a bordo, quando le mani dei marinai gli toccarono le piaghe sulle spalle e sul petto. Il naufrago fu portato in infermeria e Longhi, il nostromo, gli fece un'iniezione di morfina per evitargli sofferenze.
CAPITOLO PRIMO
Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. Il vento, tiepido e appiccicoso, spazzava via alcune foglie morte e scuoteva con violenza i
banani rachitici che decoravano la facciata del municipio.
I pochi abitanti di El Idilio, e un pugno di avventurieri arrivati dai dintorni, si erano riuniti sul molo e aspettavano il loro turno per sedersi sulla poltrona portatile del dottor Rubicundo
Loachamín, il dentista, che leniva i dolori dei suoi pazienti con una curiosa sorta di anestesia orale.
«Ti fa male?» chiedeva.
I pazienti, aggrappati ai braccioli della poltrona, rispondevano spalancando smisuratamente gli occhi e sudando a fiumi.
Alcuni volevano togliersi dalla bocca le mani insolenti del dentista per rispondergli con un insulto adeguato, ma le loro intenzioni si scontravano con le braccia robuste e la voce autoritaria
dell'odontoiatra.
«Sta' fermo, cazzo! Via le mani! Lo so che fa male. E di chi è la colpa? Vediamo un po'. Mia? No. È del Governo! Ficcatelo bene nella zucca. È colpa del Governo se hai i denti marci. È colpa del
Governo se ti fa male.»
Allora assentivano afflitti, chiudendo gli occhi o annuendo leggermente.
Il dottor Loachamín odiava il Governo. Odiava tutti i governi dal primo all'ultimo. Figlio illegittimo di un emigrante iberico, aveva ereditato dal padre una tremenda rabbia contro tutto quello
che sapeva di autorità, ma i motivi di quell'odio si erano smarriti in qualche baldoria giovanile, e i suoi sproloqui di anarchico si erano trasformati in una specie di verruca morale, che lo
rendeva simpatico.
Billy Ray Cobb era il più giovane e il più piccolo dei due teppisti. A ventitré anni ne aveva già passati tre nel penitenziario di Parchman. Possesso di droga a scopo di spaccio. Era un piccolo punk, magro e ossuto, sopravvissuto in carcere grazie a un puntuale rifornimento di droghe da vendere o magari regalare ai negri e alle guardie in cambio di protezione. Nell'anno passato dal rilascio aveva continuato a prosperare, e il suo picco-lo traffico di stupefacenti l'aveva innalzato alla posizione di uno dei malavitosi più ricchi della Ford County. Era un uomo d'affari, con dipendenti, impegni, accordi... tutto, tranne le tasse. Alla concessionaria della Ford di Clanton era conosciuto come l'ultimo che, in tempi recenti, aveva pagato in contanti un camioncino nuovo. Sedicimila dollari, tutti e subito, per un pickup giallo canarino con quattro ruote motrici, una fuoriserie di gran lus-so. I cerchioni cromati e le gomme da gara li aveva ottenuti in una transazione d'affari. La bandiera dei ribelli della Confederazione appesa al lunotto posteriore era stata rubata da Cobb a un ragazzo ubriaco d'una lega studentesca durante una partita di football dell'Ole Miss. Il pickup era la cosa più preziosa che Billy Ray possedesse. Adesso era seduto sulla sponda posteriore e fumava uno spinello mentre guardava l'amico Willard che se la spassava con la negretta.
Willard aveva quattro anni più di Cobb ma, dal grado di maturità, ne dimostrava una dozzina di meno. Era generalmente un tipo innocuo, che non aveva mai avuto guai seri ma neppure un lavoro serio. Magari qualche scazzottata e una notte in guardina, ma niente di più. Diceva d'essere un taglialegna, ma quasi sempre i dolori alla schiena lo tenevano lontano dalle foreste. S'era fatto male quando lavorava su una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, e l'azienda gli aveva pagato un risarcimento cospicuo,
che aveva perso totalmente quando l'ex moglie l'aveva ripulito. La sua vocazione principale era fare il dipendente part-time di Billy Ray Cobb, che non pagava molto ma non lesinava sulla droga. Per la prima volta dopo tanti anni Willard riusciva sempre a mettere le mani sulla roba. E ne aveva bisogno, da quando s'era fatto male alla schiena.
Appare sempre più probabile che riuscirò davvero ad intraprendere la spedizione che da alcuni giorni ormai tiene completamente occupata la mia fantasia Spedizione, vorrei aggiungere, che intraprenderò da solo nella comodità della Ford di Mr Farraday; e che, a quanto prevedo, attraverso gran parte della più bella campagna inglese, mi condurrà fino alla costa occidentale del paese e riuscirà a tenermi lontano da Darlington Hall per cinque o sei giorni almeno.
L'idea di un simile viaggio era nata, mi preme sottolinearlo, da una proposta delle più cortesi avanzatami da Mr Farraday in persona un pomeriggio di quasi due settimane orsono mentre spolveravo i ritratti in biblioteca.
E infatti, a quanto ricordo, mi trovavo in cima alla scala a pioli, intento a spolverare il ritratto del Visconte di Wetherby, allorché aveva fatto il suo ingresso in biblioteca il mio datore di lavoro il quale recava con sé alcuni volumi che presumibilmente desiderava venissero riposti sugli scaffali.
Accorgendosi della mia persona, egli colse l'opportunità di informarmi di aver proprio allora definito il programma del suo rientro negli Stati Uniti per un periodo di cinque settimane tra agosto e settembre.
Fatto questo annuncio, il signore depose i volumi su un tavolo, prese posto sulla chaiselongue e distese le gambe.
Fu solo a quel punto che, fissando lo sguardo su di me, aggiunse: Spero sia chiaro, Stevens, che non mi aspetto che te ne rimanga chiuso in questa casa per tutto il tempo in cui starò via.
Perché non prendi la macchina e non te ne vai a fare un giro, per qualche giorno? A vederti hai tutta l'aria di uno che ha bisogno di una vacanza.
PROLOGO
1123
I bambini vennero presto per assistere all'impiccagione.
Era ancora buio quando i primi tre o quattro uscirono furtivamente dai casolari, silenziosi come gatti nei loro stivali di feltro.
Uno strato di neve fresca copriva il paese come una nuova mano di colore e le loro orme furono le prime a intaccarne la superficie immacolata. Passarono tra le casupole di legno camminando sul
fango ghiacciato delle viuzze e raggiunsero la piazza del mercato dove attendeva la forca.
I bambini disprezzavano tutto ciò che gli adulti tenevano in considerazione.
Spregiavano la bellezza e schernivano la bontà. Ridevano fragorosamente alla vista di uno storpio e se vedevano un animale sofferente lo uccidevano a sassate. Si vantavano delle loro ferite e
ostentavano le cicatrici con orgoglio, e riservavano il massimo rispetto alle mutilazioni: un ragazzetto privo di un dito poteva essere il loro re.
Amavano la violenza; erano capaci di percorrere miglia e miglia per vedere il sangue, e non mancavano mai a un'impiccagione.
Uno di loro pisciò alla base del patibolo. Un altro salì i gradini, si portò i pollici alla gola e finse di accasciarsi torcendo la faccia nella macabra parodia del soffocamento; gli altri
gettarono grida di ammirazione e due cani giunsero abbaiando sulla piazza. Un bambino piuttosto piccolo cominciò sfacciatamente a mangiare una mela, e uno dei più grandi gli diede un pugno sul
naso e gli portò via il frutto. Per sfogare la rabbia, il più piccolo tirò un sasso a un cane che fuggì guaendo. Non c'era nient'altro da fare e perciò tutti si accovacciarono sul pavimento
asciutto del portico della grande chiesa aspettando che succedesse qualcosa.
Le luci delle candele palpitavano dietro le imposte delle solide case di legno e pietra intorno alla piazza, dove abitavano artigiani e bottegai benestanti: le sguattere e gli apprendisti
accendevano il fuoco, scaldavano l'acqua e preparavano il porridge. Il cielo trascolorava dal nero al grigio. La gente usciva dalle case avvolta in pesanti mantelli di lana ruvida e scendeva
rabbrividendo al fiume per attingere l'acqua.