Da così tanto tempo sono nato
Da così tanto tempo sono nato
che sento certe volte
trascorrere su di me l'acqua gelata.
Giaccio sul fondo del fiume
e se canto una canzone
inizio dall'erba, attingo dalla sabbia,
non schiudo le labbra.
Da così tanto tempo sono nato
che non posso parlare,
ho sognato una città
su una riva pietrosa.
Giaccio sul fondo del fiume
e dall'acqua vedo
la luce lontana, l'alta dimora,
il verde raggio di stella.
Da così tanto son nato,
che se tu verrai
e la mano mi porrai sugli occhi,
sarà una bugia,
non ti potrò trattenere.
E se tu andrai via
e io non ti seguirò come un cieco
sarà una bugia.
1.
... che si avverino i loro desideri... che possano crederci,
e che possano ridere delle loro passioni!
Infatti, ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale,
ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno.
E, soprattutto, che possano credere in se stessi,
e che diventino indifesi come bambini:
perchè la debolezza è potenza,
e la forza è niente.
Quando l'uomo nasce è debole e duttile,
quando muore è forte e rigido.
Così come l'albero, mentre cresce, è tenero e flessibile,
e quando è duro e secco, muore.
Rigidità e forza sono compagni della morte;
debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza.
Ciò che si è irrigidito non vincerà.
LO SPECCHIO
Dei nostri incontri
ogni istante festeggiavamo
come un'epifania,
soli nell'universo tutto.
Più ardita e lieve d'un battito d'ali
per le scale correvi
come un capogiro,
precedendomi tra cortine di umido lillà
nel tuo regno dall'altra parte dello specchio.
Quando la notte venne
ebbi da te la grazia.
Si spalancarono le porte dell'altare
e le tenebre illuminò,
chinandosi lenta, la tua nudità.
E io, destandomi, "sii benedetta", dissi,
pur sapendo che oltraggio era
la mia benedizione.
Tu dormivi,
e a sfiorarti le palpebre col suo violetto
a te tendeva, dal tavolo, il lillà.
E le tue palpebre sfiorate di violetto
erano quiete, e calda la tua mano.
E nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumavano le montagne, luceva il mare.
E tu tenevi in mano la sfera di cristallo,
e tu in trono dormivi,
e, Dio! ,
tu eri mia.
Poi ti destasti,
e trasfigurando il quotidiano vocabolario umano
a piena voce pronunciasti
" Tu! "
E la parola svelò il suo vero significato,
e zar divenne.
Nel mondo tutto fu trasfigurato,
anche le cose semplici,
- il catino, la brocca, l'acqua
che sta fra noi come una sentinella,
inerte e dura.
Chissà dove fummo spinti...
Dinanzi a noi si stesero, come miraggi,
città nate da un prodigio.
La mente sola si stendeva
sotto i nostri piedi,
e gli uccelli c'eran compagni di viaggio,
e i pesci balzavano dal fiume,
e il cielo si spalancava ai nostri occhi
quando il destino seguiva i nostri passi
come un pazzo con il rasoio in mano.
2.
Ieri ti ho attesa fin dal mattino,
ma loro sapevano che non saresti venuta.
Ricordi che bella giornata era?
Una festa. Ed io uscivo senza il cappotto...
Oggi sei venuta, e ci hanno preparato
una giornata particolarmente grigia.
La pioggia, l'ora così tarda,
le gocce scorrono per i rami freddi...
La parola non serve a placarle,
né le asciuga il fazzoletto.
3.
Nei presentimenti non credo,
e i presagi non temo.
Non fuggo la calunnia né il veleno,
non esiste la morte:
immortali siamo tutti, e tutto è immortale.
Non si deve temere la morte,
né a diciassette né a settant'anni.
Esistono solo realtà e luce:
le tenebre e la morte non esistono.
Siamo tutti ormai del mare su la riva,
e io sono tra quelli che traggono le reti,
mentre l'immortalità passa di sghembo.
Se nella casa vivrete,
la casa non crollerà.
Un secolo qualsiasi richiamerò,
e una casa vi costruirò.
Ecco perché, con me, i vostri figli
e le vostre donne siederanno
alla stessa tavola
la stessa per l'avo ed il nipote.
Si compie ora, il futuro.
E se io una mano levo
i suoi cinque raggi rimarranno a voi.
Del passato ogni giorno,
come una fortezza,
io con le spalle ho retto.
Da agrimensore ho misurato il tempo,
e attraversato io l'ho
come gli Urali.
Il mio secolo l'ho scelto a mia misura.
Andavamo a Sud,
sostenendo la polvere della steppa,
il fumo delle erbacce.
Scherzavano i grilli
sfiorando i ferri dei cavalli con le loro antenne,
come monaci profeti di sventura.
Ma il mio destino fissato avevo alla mia sella,
e ancora adesso,
nei tempi futuri,
come un fanciullo sulle staffe
io mi sollevo.
La mia immortalità mi basta,
ché da secolo in secolo scorre
il mio sangue...
Per un angolo sicuro di tepore
darei la vita di mia volontà
qualora la sua cruna alata
non mi svolgesse più,
come un filo,
per le strade del mondo.