ARTHUR RIMBAUD - Sensazione
Nelle sere azzurre d'estate andrò per i sentieri,
pizzicato dal grano, a calpestare l'erba tenera:
come in sogno ne sentirò il fresco nei piedi.
Lascerò che il vento bagni la mia testa nuda.
Non dirò nulla, non penserò a niente:
ma l'amore che non ha fine mi riempirà l'anima,
e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo
attraverso la Natura, felice
come quando si sta con una donna.
Sensation
Par les soirs bleus d'été, j'irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l'herbe menue:
Rêveur, j'en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.
Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l'amour infini me montera dans l'âme,
Et j'irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, - heureux comme avec une femme.
(Mars 1870)
ARTHUR RIMBAUD - *L'Eternità
È ritrovata!
Che? l'eternità.
È il mare sciolto
Nel sole.
Anima mia eterna,
Osserva il tuo volto benché
La notte sia sola
E il giorno sia in fiamme.
Dunque ti liberi
Da umani suffragi,
Da slanci comuni!
Tu voli a seconda...
Mai la speranza.
Non c'è un orietur.
Scienza e pazienza,
Certo è il supplizio.
Non più domani,
Braci di raso,
Vostro ardore
È il dovere.
È ritrovata!
Che? - L'Eternità.
È il mare sciolto
Nel sole.
Elle est retrouvée.
Quoi ? - L'Eternité.
C'est la mer allée
Avec le soleil.
Ame sentinelle,
Murmurons l'aveu
De la nuit si nulle
Et du jour en feu.
Des humains suffrages,
Des communs élans
Là tu te dégages
Et voles selon.
Puisque de vous seules,
Braises de satin,
Le Devoir s'exhale
Sans qu'on dise : enfin.
Là pas d'espérance,
Nul orietur.
Science avec patience,
Le supplice est sûr.
Elle est retrouvée.
Quoi ?
- L'Eternité.
C'est la mer allée
Avec le soleil.
*La mia bohème (Ma bohème)
I pugni nelle tasche rotte, vagabondavo
Il mio cappotto era ridotto a un ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa; ero con te solidale.
Oh! là là, quanti amori splendidi sognavo!
Le mie culotte erano a brandelli.
- Pollicino sognatore, io sgranavo in corsa
delle rime. La mia locanda era l'Orsa
Maggiore. In cielo il dolce frou frou delle mie stelle.
ascoltavo, seduto sul ciglio della strada,
nelle belle sere di settembre sentivo di rugiada
le gocce sulla mia fronte, come un vino di vigore;
e, rimando fra quei chiaroscuri fantastici,
come fossero lire, tiravo gli elastici
delle scarpe ferite, con un piede accanto al cuore!
Je m'en allais, les poings dans mes poches crevées;
Mon paletot soudain devenait idéal;
J'allais sous le ciel, Muse, et j'étais ton féal;
Oh! là là! que d'amours splendides j'ai rêvées!
Mon unique culotte avait un large trou.
Petit-Poucet rêveur, j'égrenais dans ma course
Des rimes. Mon auberge était à la Grande-Ourse.
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou
Et je les écoutais, assis au bord des routes,
Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes
De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;
Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,
Comme des lyres, je tirais les élastiques
De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!
ARTHUR RIMBAUD - L'addormentato nella valle
E' una gola di verzura dove un fiume canta
impigliando follemente alle erbe stracci
d'argento: dove il sole, dalla fiera montagna
risplende: è una piccola valle che spumeggia di raggi.
Un giovane soldato, bocca aperta, testa nuda,
e la nuca bagnata nel fresco crescione azzurro,
dorme; è disteso nell'erba, sotto la nuvola,
pallido nel suo verde letto dove piove la luce.
I piedi tra i gladioli, dorme. Sorridente come
sorriderebbe un bimbo malato, fa un sonno.
O Natura, cullalo tiepidamente: ha freddo.
I profumi non fanno più fremere la sua narice;
dorme nel sole, la mano sul suo petto
tranquillo. Ha due rosse ferite sul fianco destro.
Ottobre 1870 (Trad. Dario Bellezza)
C'est un trou de verdure où chante une rivière,
Accrochant follement aux herbes des haillons
D'argent; où le soleil, de la montagne fière,...
Luit: c'est un petit val qui mousse de rayons.
Un soldat jeune, bouche ouverte, tête nue,
Et la nuque baignant dans le frais cresson bleu,
Dort; il est étendu dans l'herbe, sous la nue,
Pâle dans son lit vert où la lumière pleut.
Les pieds dans les glaïeuls, il dort. Souriant comme
Sourirait un enfant malade, il fait un somme:
Nature, berce-le chaudement: il a froid.
Les parfums ne font pas frissonner sa narine;
Il dort dans le soleil, la main sur sa poitrine,
Tranquille. Il a deux trous rouges au côté droit.
Arthur Rimbaud
ARTHUR RIMBAUD - Canzone della torre più alta
Oziosa giovinezza a tutto asservita, per delicatezza
ho perduto la mia vita.
Ah, venga il tempo in cui i cuori s'innamorino!
Mi sono detto: Lascia, e non ti si veda. E senza la promessa
delle gioie più alte, nulla t'arresti, augusto ritiro.
O mille vedovanze della sì povera anima, che ha soltanto
l'immagine della Nostra Signora: si prega la Vergine Maria?
Ho tanto pazientato che per sempre oblio; timori
e sofferenze si sono involati per i cieli. E la sete malsana
oscura le mie vene.
Così la prateria abbandonata all'oblio; ingrandita e fiorita
d'incenso e di loglio; al ronzio feroce di cento sudicie mosche.
Oziosa giovinezza a tutto asservita, per delicatezza
ho perduto la mia vita.
Ah, venga il tempo in cui i cuori s'innamorino!
Arthur Rimbaud
Senti come bramisce presso le acacie, in aprile,
la frasca verdeggiante del pisello!
Nel suo netto vapore, verso Febea! vedi agitarsi
la testa dei santi d'un tempo...
Lungi dalle macine, dai promontori, dai bei tetti,
quei cari Vecchi vogliono questo filtro sornione.
Ora, né feriale né astrale è la bruma che s'esala
da questo effetto notturno.
Tuttavia, essi restano giustamente - Sicilia,
Germania - in questa nebbia triste e pallida.
ARTHUR RIMBAUD - OPHELIA (Ophélie)
I
Sull'onda calma e nera dove le stelle dormono
Fluttua la bianca Ofelia come un gran giglio, fluttua
Lentissima, distesa sopra i suoi lunghi veli...
- S'odono da lontano, nei boschi, hallalì.
Da mille anni e più la dolorosa Ofelia
Passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero;
Da mille anni e più la sua dolce follia
Mormora una romanza al vento della sera.
La brezza le bacia il seno e distende a corolla
Gli ampi veli, dolcemente cullati dalle acque;
Le piange sull'omero il brivido dei salici,
S'inclinano sulla fronte sognante le giuncaie.
Sgualcite, le ninfee le sospirano intorno;
Ella ridesta a volte, nell'ontano che dorme,
Un nido, da cui sfrùscia un batter d'ali:
- Un canto misterioso scende dagli astri d'oro.
II
Pallida Ofelia! Come neve bella!
In verde età moristi, trascinata da un fiume!
- Calati dai grandi monti di Norvegia, i venti
Ti avevano parlato di un'aspra libertà;
Poi che un soffio, attorcendoti la chioma folta,
All'animo sognante recava strane voci;
E il tuo cuore ascoltava la Natura cantare
Nei sospiri della notte, nei lamenti dell'albero;
Poi che il grido dei mari dementi, immenso rantolo,
Frantumava il tuo seno, fanciulla, umano troppo, e dolce;
Poi che un mattino d'aprile, un bel cavaliere pallido
Sedette, taciturno e folle, ai tuoi ginocchi!
Cielo! Libertà! Amore! Sogno, povera Folle!
Là ti scioglievi come neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti facevano muta
- E il tremendo Infinito atterrì il tuo sguardo azzurro!
III
- E il Poeta racconta che al raggio delle stelle
Vieni, la notte, a prendere i fiori che cogliesti,
E che ha visto sull'acqua, stesa nei lunghi veli,
Fluttuare bianca come un gran giglio Ofelia.
I
Sur l'onde calme et noire où dorment les étoiles
La blanche Ophélia flotte comme un grand lys,
Flotte très lentement, couchée en ses longs voiles...
- On entend dans les bois lointains des hallalis.
Voici plus de mille ans que la triste Ophélie
Passe, fantôme blanc, sur le long fleuve noir.
Voici plus de mille ans que sa douce folie
Murmure sa romance à la brise du soir.
Le vent baise ses seins et déploie en corolle
Ses grands voiles bercés mollement par les eaux ;
Les saules frissonnants pleurent sur son épaule,
Sur son grand front rêveur s'inclinent les roseaux.
Les nénuphars froissés soupirent autour d'elle ;
Elle éveille parfois, dans un aune qui dort,
Quelque nid, d'où s'échappe un petit frisson d'aile :
- Un chant mystérieux tombe des astres d'or.
II
Ô pâle Ophélia ! belle comme la neige !
Oui tu mourus, enfant, par un fleuve emporté !
- C'est que les vents tombant des grands monts de Norwège
T'avaient parlé tout bas de l'âpre liberté ;
C'est qu'un souffle, tordant ta grande chevelure,
A ton esprit rêveur portait d'étranges bruits ;
Que ton coeur écoutait le chant de la Nature
Dans les plaintes de l'arbre et les soupirs des nuits ;
C'est que la voix des mers folles, immense râle,
Brisait ton sein d'enfant, trop humain et trop doux ;
C'est qu'un matin d'avril, un beau cavalier pâle,
Un pauvre fou, s'assit muet à tes genoux !
Ciel ! Amour ! Liberté ! Quel rêve, ô pauvre Folle !
Tu te fondais à lui comme une neige au feu :
Tes grandes visions étranglaient ta parole
- Et l'Infini terrible effara ton oeil bleu !
III
- Et le Poète dit qu'aux rayons des étoiles
Tu viens chercher, la nuit, les fleurs que tu cueillis ;
Et qu'il a vu sur l'eau, couchée en ses longs voiles,
La blanche Ophélia flotter, comme un grand lys.
Arthur Rimbaud - Michele e Cristina
Via, dunque, se il sole abbandona queste rive!
Fuggi, chiaro diluvio! Ecco l'ombra delle strade. Tra i salici,
nel vetusto cortile d'onore, il temporale scaglia
le prime larghe gocce.
O cento agnelli, biondi soldati dell'idillio, fuggite dagli acquedotti, dalle smagrite lande! Pianura,
deserti, praterie, orizzonti mostrano il rosso
abbigliamento dell'uragano.
Cane nero, bruno pastore il cui mantello
s'inabissa, fuggite
l'ora dei superni lampi; biondo
gregge, or che nuotano ombra e zolfo, cerca
di scendere a migliori asili.
Ma io, Signore! Ecco, il mio spirito vola per i cieli
ghiacciati di rosso, sotto i celesti nembi che corrono
e volano su cento Solognes lunghe come una strada
ferrata.
Ecco mille lupi, mille sementi selvagge, che questo
religioso pomeriggio di tempesta trascina, non
senza tenerezza per i convolvoli, sopra la vecchia
Europa su cui passeranno cento orde!
Poi, il chiaro di luna! Per tutta la landa, arrossati,
la fronte ai neri cieli, i guerrieri lentamente cavalcano
sui pallidi corsieri! I ciottoli suonano sotto questa
fiera banda!
- E vedrò il bosco giallo e la valle chiara, la Sposa
dagli occhi cèruli, l'uomo dalla fronte rossa. o Gallia,
e il bianco Agnello Pasquale, ai loro cari piedi,
- Michele e Cristina - e Cristo! - Fine dell'Idillia.
Fame
Se ho fame, è solo
di terra e di pietre.
Mi nutro sempre d'aria,
di roccia, di ferro, di carbone.
Fami mie, danzate. Pascolate, fami,
sul prato dei suoni.
Succhiate il gaio veleno
dei convolvoli.
Mangiate i sassi spaccati
le vecchie pietre di chiese;
i ciottoli degli antichi diluvi,
pani sparsi nelle vallate grigie.
Il lupo ululava fra le foglie
sputando le belle piume
del suo pasto di pollame:
come lui io mi consumo.
L'insalata, la frutta
aspettano solo d'esser colte;
ma il ragno della siepe
non mangia che violette.
Ah! dormire, bollire
sugli altari di salomone.
Il brodo corre sulla ruggine,
e si mescola col Cedron.
ARTHUR RIMBAUD - FELICITA'
O stagioni, o castelli, quale anima è senza difetti?
o Stagioni, o castelli,
ho fatto il magico studio della felicità che nessuno elude. Oh, viva lei, ogni volta che canti il gallo gallico. Ma non avrò più desideei: essa s'è incaricata della mia vita. Questo incanto! prese anima e corpo e disperse ogni sforzo. Come comprendere la mia parola? Bisogna ch'essa fugga e voli! O stagioni, o castelli!
ARTHUR RIMBAUD -
Alle quattro del mattino, d'estate, il sonno d'amore
dura ancora sotto i boschetti, l'alba svapora
l'odore della sera festeggiata.
Ora laggiù nell'immenso cantiere, verso il sole
delle Esperidi, i carpentieri in maniche di camicia
si agitano già.
Nel loro deserto di muschio, tranquilli, preparano
le sale preziose dove la ricchezza della città riderà
sotto falsi cieli.
Oh, per questi affascinanti operai, sudditi d'un re
di Babilonia, Venere, lascia un poco gli amanti
dall'anima incoronata.
Regina dei Pastori! porta ai lavoratori l'acquavite;
perché le loro forze siano in pace, aspettando
il bagno in mare a mezzodì.
ARTHUR RIMBAUD - Lacrima
Lontano dagli uccelli, dai greggi, dalle villanelle, bevevo,
accoccolato in qualche landa circondata dai boschi di nocciuoli,
in una tepida e verde foschia pomeridiana.
Che cosa potevo bere in quella giovine Oise - olmi
senza voce, erba senza fiori, cielo coperto-, che cosa attingevo
alla zucca di colocasia? Qualche liquor d'oro insipido,
e che fa sudare.
Parevo una brutta insegna d'albergo. Poi l'uragano
mutò il cielo, fino a sera: furono paesi neri, laghi, pertiche,
colonnate sotto la notte azzurra, stazioni.
L'acqua dei boschi si perdeva in sabbie vergini, il vento
scagliava dal cielo ghiaccioli ai pantani... E dire che,
come un pescatore d'oro o di conchiglie, non mi sono dato
pensiero di bere!
Arthur Rimbaud -Almea?
Almea?... Alle prime ore azzurre si dissolverà
come i fiori defunti...
Dinanzi alla splendida distesa ove si sente soffiare
la città enormemente fiorente!
E' troppo bello! è troppo bello! ma necessario - per la
Pescatrice e la canzone dei Corsaro,
ed anche perché le ultime maschere credettero
ancora alle feste notturne sul mare puro!
RIMBAUD - GLI SPOSI
La camera è aperta al cielo azzurro turchino; non
c'è posto: cofanetti e madie! Fuori il muro è coperto
di aristolochie ove vibrano le gengive dei folietti.
Son davvero intrighi di geni questa spesa e questi
disordini vani! è la fata africana che fornisce la mora
e le reticelle negli angoli.
Parecchie entrano, madrine scontente, con lembi
di luce negli armadi, poi vi rimangono! la coppia
s'assenta poco seriamente e non si combina nulla.
Lo sposo è soppiantato dal vento, durante la sua
assenza, qui, di continuo. Perfino spiriti delle acque,
malefici, entrano e vagano tra le sfere dell'alcova.
Nella notte amica, oh, la luna di miele raccoglierà il loro
sorriso e riempirà di mille strisce di rame il cielo.
Poi avranno da fare col topolino maligno.
- Se non arriva un pallido fuoco fatuo, come una
fucilata, dopo i vespri. O santi e bianchi spettri
di Betlemme, incantate piuttosto l'azzurro della loro finestra!
ARTHUR RIMBAUD - Genio
Egli è l'affetto e il presente, poiché ha fatto la casa aperta
all'inverno schiumoso e al frastuono dell'estato - lui che
ha purificato le bevande e gli alimenti - lui che è l'incanto
dei luoghi fuggenti e la delizia sovrumana delle soste. - Egli
è l'affetto e l'avvenire, la forza e l'amore che noi, ritti
nei furori e nei tedi, vediamo passare nel cielo in tempesta
e nelle bandiere d'estasi.
Egli è l'amore, misura perfetta e reinventata, ragione
meravigliosa e imprevista, e l'eternità: macchina amata
delle qualità fatali. Abbiamo tutti avuto lo spavento della sua
concessione e della nostra: o godimento della nostra salute,
slancio delle nostre facoltà, affetto egoista e passione per lui
- lui che ci ama per la sua vita infinita...
E noi lo ricordiamo ed egli viaggia... E se l'Adorazione
se ne va, risuona, la sua promessa risuona: «Indietro queste
superstizioni, questi antichi corpi, queste coppie e questa
l'epoca sprofondata!».
Non se ne andrà., non ridiscenderà da un cielo, non compirà
la redenzione delle collere delle donne, delle allegrezze
degli uomini e di tutto questo Peccato. poiché già questo è realtà,
dal momento ch'egli esiste ed è amato.
Oh, i suoi respiri, le sue teste, le sue corse: la terribile
celerità della perfezione delle forme e dell'azione
Oh, fecondità dello spirito e immensità dell'universo!
Il suo corpo! l'evasione sognata, schianto della grazia
incrociata di violenza nuova!
La sua vista, la sua vista! tutti gli inginocchiamenti antichi
e i dolori rialzati sulla sua scia.
Il suo giorno! l'abolizione di tutte le sofferenze sonore e
moventi nella musica più intensa.
Il suo passo! le migrazioni più enormi delle antiche invasioni.
Oh, Lui e noi! l'orgoglio più benevolo delle carità perdute.
Oh, mondo! e il canto chiaro delle nuove sventure!
Egli ci ha tutti conosciuti e tutti amati. Sappiamo, in questa
notte d'inverno, da un capo all'altro, dal polo tumultuoso
al castello, dalla folla alla spiaggia, di sguardo in sguardo,
nella stanchezza delle forze e dei sentimenti, chiamarlo e vederlo,
e rimandarlo, e, sotto le marce e in cima ai deserti di neve,
seguire le sue vedute - i suoi respiri - il suo corpo - la sua luce.
ARTHUR RIMBAUD - *Fiori
Da un gradino d'oro - fra i cordoni di seta, i veli grigi,
i velluti verdi e i dischi di cristallo che s'anneriscono
come bronzo al sole - vedo la digitale aprirsi su un tappeto
di filigrane d'argento, d'occhi e di capigliature.
Monete d'oro giallo sparse sull'agata, colonne di mogano
sorreggenti una cupola di smeraldi, mazzi di raso bianco
e fini verghe di rubino circondano la rosa d'acqua.
Simili a un dio dagli enormi occhi azzurri e dalle forme
di neve, il mare e il cielo attirano alle terrazze di marmo la folla
delle giovani e forti rose.
Preghiera della sera
Vivo seduto, come un angelo nelle mani di un barbiere,
impugnando un bicchiere dalle profonde scanalature,
l’ipogastro e il collo arcuati, una «gambier»
fra i denti, sotto l’aria gonfia di impalpabili velami.
Come caldi escrementi di un vecchio colombaio,
Mille Sogni procurano dolci bruciature:
poi, d’improvviso, il mio cuore triste è come un alburno
che insanguina l’oro giovane e scuro delle linfe.
Poi, quando ho ingoiato con cura i miei sogni,
mi volto, bevuti più di trenta o quaranta bicchieri,
e mi concentro per mollare l’acre bisogno:
mite come il Signore del cedro e degli issopi,
io piscio verso i cieli bruni, molto in alto e lontano,
approvato dai grandi eliotropi.