La pioggia è il tuo vestito
La pioggia è il tuo vestito.
Il fango è le tue scarpe.
La tua pezzuola è il vento.
Ma il sole è il tuo sorriso e la tua bocca
e la notte dei fieni i tuoi capelli.
Ma il tuo sorriso e la tua calda pelle
è il fuoco della terra e delle stelle.
La primavera del mare
Anche il mare ha la sua primavera:
rondini all'alba, lucciole alla sera.
Ha i suoi meravigliosi prati
di rosa e di viola,
che qualcuno invisibile, là, falcia,
e ammucchia il fieno
in cumuli di fresche nuvole.
Si perdon le correnti
come pallide strade
tra le siepi dei venti,
da cui sembra venire, nella pioggia,
come un amaro odore
di biancospino in fiore.
E certo,nella valle più lontana,
un pastore instancabile tonde
il suo greggie infinito di onde,
tanta è la lana
che viene a spumeggiare sulla riva.
Naufragio
Sul mio capo di naufrago
galleggiante sul mare nero della vita
afferrato a una tavola sfasciata
materna culla
vedo ancora ondeggiare le stelle
come un tenero ramo di mardorlo.
Luce di fuori mondo
o vertigine
degli abissi incantevoli del nulla?
Le dolcezze
Le domeniche azzurre della primavera.
La neve sulle case come una parrucca bianca.
Le passeggiate degli amanti sul canale.
Fare il pane la mattina di domenica.
La pioggia di marzo che batte sui tegoli grigi.
Il glicine fiorito su pel muro.
Le tende bianche alle finestre del convento.
Le campane del sabato.
I ceri accesi davanti alle reliquie.
Gli specchi illuminati nelle camere.
I fiori rossi sopra la tovaglia bianca.
Le lampade d'oro che s'accendono la sera.
I crepuscoli di sangue che muoion sulle mura.
Le rose sfogliate sul letto dei malati.
Suonare il pianoforte un giorno di festa.
Il canto del cuculo nella campagna.
I gatti sopra i davanzali.
Le candide colombe sui tetti.
Le malve nelle pentole.
I mendicanti che mangian sulle soglie delle chiese.
I malati al sole.
Le bambine che si pettinano l'oro al sole sulle porte.
Le donne che cantano alla finestra.
Culto delle mani
O mani pure, mani delle suore
esperte a le matasse dei rosari,
vecchie mani di rigido fervore
simili a quelle dentro i reliquari!
O mani impure, mani di signore
esperte a tutti gli atti voluttuari,
mani carnose come gigli in fiore
nelle alluminature dei breviari!
Tutte le mani. Mani sapienti
di cortigiane o d' avvelenatrici,
mani avvezze a palpare i bei scarlatti.
Mani d' eroi, di martiri pazienti
mani di tribadi e d' imperatrici!...
E le vedove mani dei ritratti!
TU, DIO ...
Tu, Dio senza sonno e senza morte,
come puoi tu vedere con occhi di stelle,
bruciato e travolto
da quel tuo stesso fuoco creatore
nei vorticosi abissi
dell'incolmabile nulla,
la nostra condizione umana
legata alla stagione di un secondo
di quel grano di sabbia del tuo mare
ch'è questa oscura faticosa terra?
Vedere china al focolare
la madre mentre soffia l'anima
sopra la passeggera brace,
col cuore gonfio di parole chiuse
e la bocca dolente come piaga,
come se stesse al fuoco la risposta:
quasi che con la cenere di torba
e col rancido pianto
si potesse impastare un po' di pane
per la scalza covata;
o contorcersi al suolo
come un verme tagliato dalla vanga
sul figlio trucidato?
Come puoi tu vederci,
se nella nostra notte d'uomini
tutta la nostra luce son le lagrime?
Siam per te come l'atomo, invisibili
sotto il bombardamento
dei tuoi ardenti sguardi;
senza fisionomia e senza storia
come l'erba dei fossi, amaramente
bruciati dalla morte.
Chi può illudersi ancora
che tu veda salire
a te quel grigio fiocco
d'incenso andato a male
che scoppiò ad Hiroshima
e fa sempre tremare il cuore agli uomini?
O che tu senta
crescere lentamente nel tuo mare
di celeste pazienza impallidendone,
tra i fiori di subacquee mine,
il corallo di sangue di Mathausen
e delle Fosse Ardeatine?
Che senso mai può avere per te
questa vita più breve
dell'andare e tornare della rondine
con caldo nido in bocca, con un sonno
che accelera la pena
del vivere agitandola di sogni,
e il nostro disperato grido
con quell'eco già morta
prima ancora di battere
allo spietato muro
del tuo eterno silenzio per aiuto?
Per strapparti il conforto d'una sillaba
invano l'uomo sta in ascolto:
o cieco Dio, o Dio sordomuto,
Dio senza volto.
Ci voleva un'intera eternità
Ci voleva un'intera eternità
perché la luna così lenta e chiara
fosse all'ultimo quarto; anche se poi
si temeva che fosse proprio l'ultimo,
e i nostri lunghi passi, scongiurati
di andar sempre più in fretta, ci facevano
ancor più paura della luna.
Ci sembrava che in due fosse più facile,
con la complicità del cielo buio,
scioglierci dai legami della vita
per raggiungere il fresco sonno aperto
dell'albero del nostro appuntamento,
ed era ancor più facile col vento.
Ma tu, come farai ora che sei sola,
a portare il coraggio dell'amore?
Con una luna ancor più eterna e chiara,
sotto l'albero noto al lungofiume,
sono qui che ti aspetto, ombra nell'ombra,
col batticuore della prima volta.