EUGENIO MONTALE - POESIE
Sulla collina più alta Moschea di Damasco
Verso Finistère
L'estate
La dubbia dimane non t'impaura
Gli uomini che si voltano
La belle dame sans merci
Bagni di Lucca
L'orto
Previsioni
Corrispondenze
Forse un mattino
Su una lettera non scritta
Il sogno del prigioniero
Due nel crepuscolo
Lo sai: debbo riperderti e non posso
Dora Markus
Morgana
Prima del viaggio
Non chiederci la parola
Meriggiare pallido e assorto
Sulla colonna più alta Moschea di Damasco
Dovrà posarsi lassù
il Cristo giustiziere
per dire la sua parola.
Tra il pietrisco dei sette greti, insieme
s'umilieranno corvi e capinere,
ortiche e girasoli.
Ma in quel crepuscolo eri tu sul vertice:
scura, l'ali ingrommate, stronche dai
geli dell'Antilibano; e ancora
il tuo lampo mutava in vischio i neri
diademi degli sterpi, la Colonna
sillabava la Legge per te sola.
Verso Finistère
Col bramire dei cervi nella piova
d’Armor l’arco del tuo ciglio s’è spento
al primo buio per filtrare poi
sull’intonaco albale dove brillano
ruote di cicli, fusi, razzi, frange
d’alberi scossi. Forse non ho altra prova
che Dio mi vede e che le tue pupille
d'acquamarina guardano per lui.
Antico, sono ubriacato
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
(Dalla sezione Mediterraneo di Ossi di Seppia 1927)
Dopo una fuga
C’erano le betulle, folte, per nascondere
il sanatorio dove una malata
per troppo amore della vita, in bilico
tra il tutto e il nulla si annoiava.
Cantava un grillo perfettamente incluso
nella progettazione clinica
insieme col cucù da te già udito
in Indonesia a minore prezzo.
C’erano le betulle, un’infermiera svizzera,
tre o quattro mentecatti nel cortile,
sul tavolino un album di uccelli esotici,
il telefono e qualche cioccolatino.
E c’ero anch’io, naturalmente, e altri
seccatori per darti quel conforto
che tu potevi distribuirci a josa
solo che avessimo gli occhi. Io li avevo.
L'estate
L’ombra crociata del gheppio pare ignota
ai giovinetti arbusti quando rade fugace.
E la nube che vede? Ha tante facce
la polla schiusa.
Forse nel guizzo argenteo della trota
controcorrente
torni anche tu al mio piede fanciulla morta
Aretusa.
Ecco l’òmero acceso, la pepita
travolta al sole,
la cavolaia folle, il filo teso
del ragno su la spuma che ribolle -
e qualcosa che va e tropp’altro che
non passerà la cruna...
occorrono troppe vite per farne una.
La dubbia dimane non t'impaura
La dubbia dimane non t'impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza
quella il lacciòlo d'erba del fanciullo
L'acqua è la forza che ti tempra,
nell'acqua ti ritrovi e ti rinnovi;
noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo,
come un'equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma trova al lito più pura.
Gli uomini che si voltano
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli contro luce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell'aliscafo o dal fondali d'alghe
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei tempi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu communicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l'arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch'io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.
(1969)
La belle dame sans merci
Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
le briciole di pane che io gettavo
sul tuo balcone perché tu sentissi
anche chiusa nel sonno le loro strida.
Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
e il nostro breakfast gela fra cataste
per me di libri inutili e per te di reliquie
che non so: calendari, astucci , fiale e creme.
Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
sui fondali di calce del mattino;
ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
soffocato è il bagliore dell'accendino.
Bagni di Lucca
Fra il tonfo dei marroni
e il gemito del torrente
che uniscono i loro suoni
èsita il cuore.
Precoce inverno che borea
abbrividisce. M’affaccio
sul ciglio che scioglie l’albore
del giorno nel ghiaccio.
Marmi, rameggi—
e ad uno scrollo giù
foglie a èlice, a freccia,
nel fossato.
Passa l’ultima greggia nella nebbia
del suo fiato.
L'orto
Io non so, messaggera
che scendi, prediletta
del mio Dio (del tuo forse), se nel chiuso
dei meli lazzeruoli ove si lagnano
i luì nidaci, estenuanti a sera,
io non so se nell’orto
dove le ghiande piovono e oltre il muro
si sfioccano, aerine, le ghirlande
dei carpini che accennano
lo spumoso confine dei marosi, una vela
tra corone di scogli
sommersi e nerocupi o più lucenti
della prima stella che trapela -
io non so se il tuo piede
attutito, il cieco incubo onde cresco
alla morte dal giorno che ti vidi,
io non so se il tuo passo che fa pulsar le vene
se s’avvicina in questo intrico,
è quello che mi colse un’altra estate
prima che una folata
radente contro il picco irto del Mesco
infrangesse il mio specchio, -
io non so se la mano che mi sfiora la spalla
è la stessa che un tempo
sulla celesta rispondeva a gemiti
d’altri nidi, da un fólto ormai bruciato.
L’ora della tortura e dei lamenti
che s’abbatté sul mondo,
l’ora che tu leggevi chiara come in un libro
figgendo il duro sguardo di cristallo
bene in fondo, là dove acri tendìne
di fuliggine alzandosi su lampi
di officine celavano alla vista
l’opera di Vulcano,
il dì dell’Ira che più volte il gallo
annunciò agli spergiuri,
non ti divise, anima indivisa,
dal supplizio inumano, non ti fuse
nella caldana, cuore d’ametista.
O labbri muti, aridi dal lungo
viaggio per il sentiero fatto d’aria
che vi sostenne, o membra che distinguo
a stento dalle mie, o diti che smorzano
la sete dei morenti e i vivi infocano,
o intento che hai creato fuor della tua misura
le sfere del quadrante e che ti espandi
in tempo d’uomo, in spazio d’uomo, in furie
di dèmoni incarnati, in fronti d’angiole
precipitate a volo... Se la forza
che guida il disco "di già inciso" fosse
un’altra, certo il tuo destino al mio
congiunto mostrerebbe un solco solo.
Previsioni
Ci rifugiammo nel giardino (pensile se non sbaglio)
per metterci al riparo dalle fanfaluche
erotiche di un pensionante di fresco arrivo
e tu parlavi delle donne dei poeti
fatte per imbottire illeggibili carmi.
Così sarà di me aggiungesti di sottecchi.
Restai di sasso. Poi dissi dimentichi
che la pallottola ignora chi la spara
e ignora il suo bersaglio.
Ma non siamo
disse C. ai baracconi. E poi non credo
che tu abbia armi da fuoco nel tuo bagaglio.
(Da Altri versi 1981)
Corrispondenze
Or che in fondo un miraggio
di vapori vacilla e si disperde,
altro annunzia, tra gli alberi, la squilla
del picchio verde.
La mano che raggiunge il sottobosco
e trapunge la trama
del cuore con le punte dello strame,
è quella che matura incubi d’oro
a specchio delle gore
quando il carro sonoro
di Bassareo riporta folli mùgoli
di arieti sulle toppe arse dei colli.
Torni anche tu, pastora senza greggi,
e siedi sul mio sasso?
Ti riconosco; ma non so che leggi
oltre i voli che svariano sul passo.
Lo chiedo invano al piano dove una bruma
èsita tra baleni e spari su sparsi tetti,
alla febbre nascosta dei diretti
nella costa che fuma.
Forse un mattino
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di getto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Su una lettera non scritta
Per un formicolio d'albe, per pochi
fili su cui s'impigli
il fiocco della vita e s'incollani
in ore e in anni, oggi i delfini a coppie
capriolano coi figli? Oh ch'io non oda
nulla di te, ch'io fugga dal bagliore
dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tarda
la fucine vermiglia
della notte, la sera si fa lunga,
la preghiera è supplizio e non ancora
tra le rocce che scorgono t'è giunta
la bottiglia del mare. L'onda, vuota,
si rompe sulla punta, a Finisterre.
Il sogno del prigioniero
Alba e notti qui variano per pochi segni.
Lo zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d'aria polare,
l'occhio del capoguardia dallo spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolìo dalle cave, girarrosti
veri o supposti - ma la paglia è oro,
la lanterna vinosa è focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.
La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d'oche;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d'altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl'Iddii pestilenziali.
Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
sciorinate all'aurora dei torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto
e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L'attesa è lunga,
il mio sogno di te non è finito.
Due nel crepuscolo
Fluisce fra te e me sul belvedere
un chiarore subacqueo che deforma
col profilo dei colli anche il tuo viso.
Sta in un fondo sfuggevole, reciso
da te ogni gesto tuo; entra senz'orma,
e sparisce, nel mezzo che ricolma
ogni solco e si chiude sul tuo passo:
con me tu qui, dentro quest'aria scesa
a sigillare il torpore dei massi.
Ed io riverso
nel potere che grava attorno, cedo
al sortilegio di non riconoscere
di me più nulla fuor di me; s'io levo
appena il braccio, mi si fa diverso
l'atto, si spezza su un cristallo, ignota
e impallidita sua memoria, e il gesto
già più non m'appartiene;
se parlo, ascolto quella voce attonito,
scendere alla sua gamma più remota
o spenta all'aria che non la sostiene
Tale nel punto che resiste all'ultima
consunzione del giorno
dura lo smarrimento; poi un soffio
risolleva le valli in un frenetico
moto e deriva dalle fronde un tinnulo
suono che si disperde
tra rapide fumate e i primi lumi
disegnano gli scali.
Le parole
tra noi leggere cadono. Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco; so che mai diviso
fui da te come accade in questo tardo
ritorno. Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorché due volti, due
maschere che s'incidono, sforzate,
di un sorriso.
Lo sai: debbo riperderti e non posso
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l'oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall'aperto,
strazia com'unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia
da te.
E l'inferno è certo.
1934
Dora Markus
Fu dove il ponte di legno
mette a porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all’altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s’affondava
una primavera inerte, senza memoria.
E qui dove un’antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.
La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima:
un topo bianco,
d’avorio; e così esisti!
Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl’irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell’acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.
La sera che si protende
sull’umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d’oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.
La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d’oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l’armonica guasta nell’ora
che abbuia, sempre più tardi.
È scritta là. Il sempreverde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino...
Ma è tardi, sempre più tardi.
(Da Le Occasioni)
Morgana
Non so immaginare come la tua giovinezza
si sia prolungata
di tanto tempo (e quale!).
Mi avevano accusato
di abbandonare il branco
quasi ch'io mi sentissi
illustre, ex gregis o che diavolo altro.
Invece avevo detto soltanto revenons
à nos moutons (non pecore però)
ma la torma pensò
che la sventura di appartenere a un multiplo
fosse indizio di un'anima distorta
e di un cuore senza pietà.
Ahimè figlia adorata, vera mia
Regina della Notte, mia Cordelia,
mia Brunilde, mia rondine alle prime luci,
mia baby-sitter se il cervello vàgoli,
mia spada e scudo,
ahimè come si perdono le piste
tracciate al nostro passo
dai Mani che ci vegliarono, i più efferati
che mai fossero a guardia di due umani.
Hanno detto hanno scritto che ci mancò la fede.
Forse ne abbiamo avuto un surrogato.
La fede è un'altra. Così fu detto ma
non è detto che il detto sia sicuro.
Forse sarebbe bastata quella della Catastrofe,
ma non per te che uscivi per ritornarvi
dal grembo degli Dei.
Prima del viaggio
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e o doccia, a un letto o due o addirittura un flat );
si consultano
le guide Hacchette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi:
prima del viaggio si informa
qualche amico o parente: si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dá un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i dasastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.
..........................................
E ora che ne sará
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch'è una stoltezza dirselo
OSSI DI SEPPIA
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che "non" siamo, ciò che "non" vogliamo.
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.