POESIE SUGLI ANIMALI
JORGE LUIS BORGES - A un gatto
PABLO NERUDA - Ode al Gatto
Gli animali furono
imperfetti, lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Piano piano si misero
in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono néi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L'uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere ali,
il cane è un leone spaesato,
l'ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca d'imitare la mosca,
ma il gatto
vuole solo esser gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d'oro.
Non c'è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio
e l'elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz'orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell'amore
all'aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto
è immondo
per l'immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un
irreperibile velluto,
probabilmente non c'è
enigma
nel tuo contegno,
forse non sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all'abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d'accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl'imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l'atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare un gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d'oro stanno nei suoi occhi.
FERNANDO PESSOA
*Gatto che giochi per via
Gatto che giochi per via
come se fosse il tuo letto,
invidio la sorte che è tua,
ché neppur sorte si chiama.
Buon servo di leggi fatali
che reggono i sassi e le genti,
hai istinti generali,
senti solo quel che senti;
sei felice perché sei come sei,
il tuo nulla è tutto tuo.
Io mi vedo e non mi ho,
mi conosco, e non sono io.
POESIA DI EMILY DICKINSON
Quella vita che fu tenuta a freno
troppo stretta e si libera,
correrà poi per sempre, con un cauto
sguardo indietro e paura delle briglie.
Il cavallo che fiuta l'erba viva
e a cui sorride il pascolo
sarà ripreso solo a fucilate,
se si potrà riprenderlo.
PABLO NERUDA - Ode al cane
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda senza parlare
e i suoi occhi sono due richieste umide,
due fiamme liquide che interrogano
e io non rispondo, non rispondo perché non so,
non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo uomo e cane.
Brillano le foglie come se qualcuno le avesse baciate a una a una,
sorgono dal suolo tutte le arance a collocare piccoli planetari
su alberi rotondi come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena, fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma, insegue le api, salta l'acqua trepida,
ascolta lontanissimi latrati, orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso, a me, come un regalo.
E' la sua freschezza affettuosa, la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese con i suoi due occhi,
perchè e' giorno, perchè verrà la notte, perchè la primavera
non portò nella sua canestra nulla per i cani randagi, tranne inutili fiori, fiori, fiori e fiori.
E così m'interroga il cane
e io non rispondo.
Andiamo uomo e cane uniti dal mattino verde,
dall'incitante solitudine vuota nella quale solo noi esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada e il poeta del bosco,
perchè non esiste l'uccello nascosto,
ne' il fiore segreto, ma solo trilli e profumi per i due compagni:
un mondo inumidito dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l'antica amicizia,
la felicità d'essere cane e d'essere uomo trasformata in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe e una coda
con rugiada.
ELSA MORANTE - Canto per il gatto Alvaro
Fra le mie braccia è il tuo nido,
o pigro, o focoso genio, o lucente,
o mio futile! Mezzogiorni e tenebre
TRILUSSA -La cornacchia liberale
Una cornacchia nera come un tizzo,
nata e cresciuta drento 'na chiesola,
siccome je pijo lo schiribbizzo
de fa' la liberale e d'uscì sola,
s'infarinò le penne e scappò via
dar finestrino de la sacrestia.
Ammalappena se trovò per aria
coll'ale aperte in faccia a la natura,
sentì quant'era bella e necessaria
la vera libbertà senza tintura:
l'intese così bene che je venne
come un rimorso e se sgrullò le penne.
Naturarmente, doppo la sgrullata,
metà de la farina se n''agnede,
ma la metà rimase appiccicata
come una prova de la malafede.
Oh! - disse allora - mo' l'ho fatta bella!
So' bianca e nera come un purcinella...
- E se resti così farai furore:
je disse un Merlo - forse te diranno
che sei l'ucello d'un conservatore,
ma nun te crede che te faccia danno:
la mezza tinta adesso va de moda
puro fra l'animali senza coda.
Oggi che la coscenza nazionale
s'adatta a le finzioni de la vita,
oggi ch'er prete è mezzo liberale
e er liberale è mezzo gesuita,
se resti mezza bianca e mezza nera
vedrai che t'assicuri la carriera.
POESIE DI TRILUSSA (Ommini e bestie)
La morte der Gatto
È morto er Gatto. Accanto
c'è la povera vedova: una Gatta
che se strugge dar pianto;
e pensa: - Pe' stasera
me ce vorrà la collarina nera,
che me s'adatta tanto! -
Frattanto la soffitta
s'empie de bestie e ognuna fa in maniera
de consolà la vedovella affritta.
- Via, sóra spósa! Fateve coraggio:
su, nun piagnete più, ché ve fa male...
Ma com'è stato? - Ieri, pe' le scale,
mentre magnava un pezzo de formaggio:
nemmanco se n'è accorto,
nun ha capito gnente...
- E già: naturarmente,
come viveva è morto.
- E quanno c'è er trasporto?
- chiede un Mastino - Io stesso
je vojo venì appresso.
Era una bestia bona come er pane:
co' tutto che sapevo ch'era un gatto
cercavo de trattallo come un cane;
che brutta fine ha fatto! -
E dice fra de sé:
- È mejo a lui ch'a me.
- Ah, zittii! - strilla un Sorcio - Nun ve dico
tutto lo strazzio mio!
Povero Micio! M'era tanto amico! -
E intanto pensa: - Ringrazziamo Iddio! -
Er Somaro e el Leone
Un Somaro diceva: - Anticamente,
quanno nun c'era la democrazzia,
la classe nostra nun valeva gnente.
Mi' nonno, infatti, per avé raggione
se coprì co' la pelle d'un Leone
e fu trattato rispettosamente.
- So' cambiati li tempi, amico caro:
- fece el Leone - ormai la pelle mia
nun serve più nemmeno da riparo.
Oggi, purtroppo, ho perso l'infruenza,
e ogni tanto so' io che pe' prudenza
me copro co' la pelle de somaro!
SERGEJ ESENIN - La cagna
Al mattino nel granaio
dove biondeggiano le stuoie in fila,
una cagna figliò sette,
sette cuccioli rossicci.
Sino a sera li carezzava
pettinandoli con la lingua
e la neve disciolta colava
sotto il suo caldo ventre.
Ma a sera, quando le galline
si rannicchiano sul focolare,
venne il padrone accigliato
e tutti e sette li mise in un sacco.
Essa correva sui mucchi di neve
durando fatica a seguirlo.
E così a lungo, a lungo tremolava
lo specchio dell’acqua non ghiacciata.
E quando tornò trascinandosi appena,
leccando il sudore dai fianchi,
la luna sulla capanna le parve
uno dei suoi cuccioli.
Guardava l’azzurro del cielo
con striduli guaiti,
ma la luna sottile scivolava
e si celò nei campi dietro il colle.
E sordamente, come quando in dono
le si butta la pietra per gioco,
la cagna rotolò i suoi occhi
come stelle d’oro nella neve.
TOTO' - Dick
Tengo 'nu cane ch'è fenomenale,
se chiama "Dick", 'o voglio bene assaie.
Si perdere l'avesse? Nun sia maie!
Per me sarebbe un lutto nazionale.
Ll 'aggio crisciuto comm'a 'nu guaglione,
cu zucchero, biscotte e papparelle;
ll'aggio tirato su cu 'e mmullechelle
e ll'aggio dato buona educazione.
Gnorsì, mo è gruosso. È quase giuvinotto.
Capisce tutto... Lle manca 'a parola.
È cane 'e razza, tene bbona scola,
è lupo alsaziano, è polizziotto.
Chello ca mo ve conto è molto bello.
In casa ha stabilito 'a gerarchia.
Vo' bene ' a mamma ch'è 'a signora mia,
e a figliemo isso 'o tratta da fratello.
'E me se penza ca lle songo 'o pate:
si 'o guardo dinto a ll'uocchie 'mme capisce,
appizza 'e rrecchie, corre, m'ubbidisce,
e pe' fa' 'e pressa torna senza fiato.
Ogn'anno, 'int'a ll'estate, va in amore,
s'appecundrisce e mette 'o musso sotto.
St'anno s'è 'nnammurato 'e na basotta
ca nun ne vo' sapè: nun è in calore.
Povero Dick, soffre 'e che manera!
Porta pur'isso mpietto stu dulore:
è cane, si ... . ma tene pure 'o core
e 'o sango dinto 'e vvene... vo 'a mugliera...
Ho un cane davvero fenomenale,
si chiama Dick, gli voglio molto bene.
Se dovessi perderlo... non sia mai.
Per me sarebbe un lutto nazionale.
L'ho allevato come un figliolo,
con zucchero, biscotti e pappette;
l'ho tirato su con le mollichine
e gli ho dato una buona educazione.
Signorsì, ma è grande. E' quasi un giovanotto.
Capisce tutto... Gli manca solo la parola.
E' un cane di razza, ha frequentato una buona scuola,
è un lupo alsaziano, un cane poliziotto.
Quello che vi racconto adesso è molto bello.
In casa ha stabilito una gerarchia.
Vuole bene come una mamma alla mia signora (mia mogllie)
e tratta mio figlio come un fratello.
Di me pensa che io sia suo padre:
se lo guardo negli occhi mi capisce,
drizza le orecchie, corre, mi ubbidisce,
e per fare in fretta torna senza fiato.
Ogni anno, in estate, va in amore,
si immalinconisce e sta a muso basso.
Quest'anno si è innamorato di una bassotta
che non ne vuole sapere: non è in calore.
Povero Dick, quanto soffre!
Porta anche lui in petto questo dolore:
è un cane, sì, ma ha anche un cuore
e il sangue nelle vene. Vuole una "moglie".
CHARLES BAUDELAIRE - L'albatros
Per dilettarsi, sovente, le ciurme
catturano degli àlbatri, marini
grandi uccelli, che seguono, indolenti
compagni di viaggio, il bastimento
che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell'azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti
le candide e grandi ali. Com'è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore!
Lui, poco fa sì bello, com'è brutto
e comico! Qualcuno con la pipa
il becco qui gli stuzzica; là un altro
l'inferno che volava, zoppicando
scimmieggia.
Come il principe dei nembi
è il Poeta; che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante.
E. ROSTAND - Le petit chat
E' un gattino nero, sfrontato, oltre ogni dire,
Lo lascio spesso giocare sul mio tavolo.
A volte vi si siede senza far rumore,
Quasi un vivente fermacarte.
Gli occhi gialli e blu sono due agate.
A volte li socchiude, tirando su col naso,
Si rovescia, si prende il muso tra le zampe,
pare una tigre distesa su di un fianco...
...E mentre scribacchio sento
che si lecca col suo lieve struscio molle.
RENATO FUCINI - La gallina
FEDERICO MISTRAL - Insetti
...del buon Dio le mille bestioline
ivi si son raccolte: gallinette
di San Giovanni, erranti farfalline,
mantidi inginocchiate su l'erbette
quasi a pregare, magre e silenziose,
e pecchie intorno al tetto laboriose.
E vi sono pur anche le innocenti
cicale che per quanto è lungo il giorno
stridono sotto l'ali tralucenti.
CORRADO GOVONI - Il calabrone
Questo ispido villoso calabrone
l'ho trovato ubriaco fradicio
di polline e di rugiada,
nella campana di un fiore arancione.
Zampettava qua e là, ronzando
per uscire, ma non trovava più la strada.
Lo tirai fuori, ed ora è lì, che vola
in un raggio di sole tutto d'oro,
come un ubriacone che s'alza dal
marciapiede
e s'incammina malsicuro,
borbottando.
Poesia di Giovanni Pascoli - L'allodola
Ed ecco in mezzo al grande ciel sereno,
la lodoletta, uguale ad un puntino,
cantava; e poi come venisse meno,
dalla dolcezza, si gettò nel piano;
s'abbandonò sul nido suo terreno.
s'abbandonò sul nido suo tra il grano.
Poesia di Vivian Lamarque
Asinello
Un paradiso subìto
per questo Asinello
con mosche a mille
intorno agli occhi miti
e il mondo intero
da trasportare
per poter mangiare.
GIOSUE' CARDUCCI - Il bove
T'amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
0 che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro de' pazienti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;
E del grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.
GIOVANNI PASCOLI - La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non tocco' mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia . . . »
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dove' pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbraccio' su la criniera.
« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
VERLAINE - VII • L'usignolo
Come volo strepitante di uccelli eccitati,
tutti i miei ricordi s'abbattono su di me,
s'abbattono nel giallo fogliame del mio cuore
che contempla il suo ricurvo tronco d'ontano
nello stagno viola dell'acqua dei Rimpianti
che lì vicino scorre malinconica,
s'abbattono, e poi il frastuono malvagio
che un'umida brezza salendo placa,
a poco a poco nell'albero si spegne
e in un istante non si sente più nulla,
più nulla tranne la voce che celebra l'Assente,
più nulla tranne la voce - languida! -
dell'uccello che fu il mio Primo Amore,
che ancora canta come il primo giorno;
e nel triste splendore di una luna
che s'innalza pallida e solenne,
una notte d'estate malinconica e greve,
piena di silenzio e di oscurità,
culla sull'azzurro che un dolce vento sfiora
l'albero che freme e l'uccello che piange.