Salvatore Quasimodo
SALVATORE QUASIMODO
POESIE
*Di fresca donna riversa in mezzo ai fiori
*Verde deriva
*Vicolo
* Forse il cuore
*Ora che sale il giorno
Alle fronde dei salici
Uomo del mio tempo
*Anno Domini MCMXLVII
Già la pioggia è con noi
Lettera alla madre
Imitazione della gioia
Dammi il mio giorno
Oboe sommerso
Cavalli di lune e di vulcani
Specchio
Vento a Tindari
Ora che sale il giorno
VIDEO
Alle fronde dei salici
Ora che sale il giorno
Forse il cuore
Vento a Tindari
*DI FRESCA DONNA RIVERSA IN MEZZO AI FIORI
S’indovinava la stagione occulta
dall’ansia delle piogge notturne,
dal variar nei cieli delle nuvole,
ondose lievi culle;
ed ero morto.
Una città a mezz’aria sospesa
m’era ultimo esilio,
e mi chiamavano intorno
le soavi donne d’un tempo,
e la madre, fatta nuova dagli anni,
la dolce mano scegliendo dalle rose
con le più bianche mi cingeva il capo.
Fuori era notte
e gli astri seguivano precisi
ignoti cammini in curve d’oro
e le cose fatte fuggitive
mi traevano in angoli segreti
per dirmi di giardini spalancati
e del senso di vita;
ma a me doleva ultimo sorriso
di fresca donna riversa in mezzo ai fiori.
SALVATORE QUASIMODO
*Verde deriva
Sera: luce addolorata,
pigre campane affondano.
Non dirmi parole: in me tace
amore di suoni, e l'ora è mia
come nel tempo dei colloqui
con l'aria e con le selve.
Sapori scendevano dai cieli
dentro acque lunari,
case dormivano sonno di montagne,
o angeli fermava la neve sugli ontani,
e stelle ai vetri
velati come carte d'aquiloni.
Verde deriva d'isole,
approdi di velieri,
la ciurma che seguiva mari e nuvole
in cantilena di remi e di cordami
mi lasciava la preda:
nuda e bianca, che a toccarla
si udivano in segreto
le voci dei fiumi e delle rocce.
Poi le terre posavano
su fondali d'acquario,
e ansia di noia e vita d'altri moti
cadeva in assorti firmamenti.
Averti è sgomento
che sazia d'ogni pianto,
dolcezza che l'isole richiami.
SALVATORE QUASIMODO - Vicolo
Mi chiama talvolta la tua voce
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch'erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.
Altro tempo: un telaio batteva nel cortile
e s'udiva nella notte un pianto
di cuccioli e bambini.
Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch'è paura
di restare sole nel buio.
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La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia
personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio.
SALVATORE QUASIMODO
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SALVATORE QUASIMODO - *Forse il cuore
Sprofonderà l'odore acre dei tigli
nella notte di pioggia. Sarà vano
il tempo della gioia, la sua furia,
quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l'indolenza,
il ricordo d'un gesto, d'una sillaba,
ma come d'un volo lento d'uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta: forse
un'ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un'acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore...
IN LUCE DI CIELI
Dagli stagni salgono nuvole beate;
finirà anche il fuoco dell'aria
nel fermo cuore.
Cara giovinezza; è tardi.
Ma posso amare tutto della terra
in luce di cieli in tenebra di vento;
e, su ogni parvenza, la donna
che mi venne non è gran tempo,
al cui riso mi specchio,
che amore chiamava, sua verde salute.
Così solo, numeri di perduto bene
mi narravo, e giorni,
e, splendenti in remote aure,
acque di selve ed erbe.
Nell'isola morta,
lasciato da ogni cuore
che udiva la mia voce,
posso restare murato.
SALVATORE QUASIMODO
*Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.
Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
SALVATORE QUASIMODO - THANATOS ATHANATOS
E dovremo dunque negarti, Dio
Dei tumori, Dio del fiore vivo,
e cominciare con un no all’oscura
pietra «io sono» e consentire alla morte
e su ogni tomba scrivere la sola
nostra certezza:«Thanatos athanatos»?
Senza un nome che ricordi i sogni
Le lacrime i furori di quest’uomo
Sconfitto da domande ancora aperte?
Il nostro dialogo muta; diventa
Ora possibile l’assurdo. Là
Oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi
Vigila la potenza delle foglie,
vero il fiume che preme sulle rive.
La vita non è sogno. Vero l’uomo
E il suo pianto geloso del silenzio.
Dio del silenzio, apri la solitudine.
UOMO DEL MIO TEMPO
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
SALVATORE QUASIMODO
Anno Domini MCMXLVII
Avete finito di battere i tamburi
a cadenza di morte su tutti gli orizzonti
dietro le bare strette alle bandiere,
di rendere piaghe e lacrime a pietà
nelle città distrutte, rovina su rovina.
E più nessuno grida: «Mio Dio,
perché m'hai lasciato?»
E non scorre più latte
né sangue dal petto forato. E ora
che avete nascosto i cannoni fra le magnolie,
lasciateci un giorno senz'armi sopra l'erba
al rumore dell'acqua in movimento,
delle foglie di canna fresche tra i capelli,
mentre abbracciamo la donna che ci ama.
Che non suoni di colpo, avanti notte,
l'ora del coprifuoco. Un giorno, un solo
giorno per noi, o padroni della terra,
prima che rulli ancora l'aria e il ferro
e una scheggia ci bruci in piena fronte.
Dolore di cose che ignoro
Fitta di bianche e di nere radici
di lievito odora e lombrichi,
tagliata dall'acque la terra.
Dolore di cose che ignoro
mi nasce: non basta una morte
se ecco più volte mi pesa
con l'erba, sul cuore, una zolla.
SALVATORE QUASIMODO - Milano, agosto 1943
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
E' morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l'usignolo
è caduto dall'antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.
SALVATORE QUASIMODO - Fresche di fiumi in sonno
Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d'una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.
Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:
E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.
Ed è morte
uno spazio nel cuore.
Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
SALVATORE QUASIMODO - Già la pioggia è con noi
Già la pioggia è con noi,
scuote l'aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d'improvviso un giorno.
SALVATORE QUASIMODO - Lettera alla madre
Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo. » - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.
SALVATORE QUASIMODO - Imitazione della gioia
Dove gli alberi ancora
abbandonata più fanno la sera,
come indolente
è svanito l'ultimo tuo passo
che appare appena il fiore
sui tigli e insiste alla sua sorte.
Una ragione cerchi agli affetti,
provi il silenzio nella tua vita.
Altra ventura a me rivela
il tempo specchiato. Addolora
come la morte, bellezza ormai
in altri volti fulminea.
Perduto ho ogni cosa innocente,
anche in questa voce, superstite
a imitare la gioia.
SALVATORE QUASIMODO - Il falso e vero verde
Tu non m’aspetti più col cuore vile
dell’orologio. Non importa se apri
o fissi lo squallore: restano ore
irte, brulle, con battito di foglie
improvvise sui vetri della tua
finestra, alta su due strade di nuvole.
Mi resta la lentezza d’un sorriso,
il cielo buio d’una veste, il velluto
colore ruggine avvolto ai capelli
e sciolto sulle spalle e quel tuo volto
affondato in un’acqua appena mossa.
Colpi di foglie ruvide di giallo,
uccelli di fuliggine. Altre foglie
ora screpolano i rami e già scattano
aggrovigliate: il falso e vero verde
dell’aprile, quel ghigno scatenato
del certo fiorire. E tu non fiorisci
non metti giorni ne sogni che salgano
dal nostro al di là, non hai più i tuoi occhi
infantili, non hai più mani tenere
per cercare il mio viso che mi sfugge?
Resta il pudore di scrivere versi
di diario o di gettare un urlo al vuoto
o nel cuore incredibile che lotta
ancora con il suo tempo scosceso.
SALVATORE QUASIMODO - Dammi il mio giorno
Dammi il mio giorno;
ch'io mi cerchi ancora
un volto d'anni sopito
che un cavo d'acque
riporti in trasparenza,
e ch'io pianga amore di me stesso.
Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d'astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;
un incurvarsi d'orbite segrete
dove siamo fitti
coi macigni e l'erbe.
SALVATORE QUASIMODO - Oboe sommerso
Avara pena, tarda il tuo dono
in questa mia ora
di sospirati abbandoni.
Un oboe gelido risillaba
gioia di foglie perenni,
non mie, e smemora;
In me si fa sera:
l'acqua tramonta
sulle mie mani erbose.
Ali oscillano in fioco cielo,
labili: il cuore trasmigra
ed io son gerbido,
e i giorni una maceria.
SALVATORE QUASIMODO - Cavalli di lune e di vulcani
Isole che ho abitato
verdi su mari immobili.
D'alghe arse, di fossili marini
le spiagge ove corrono in amore
cavalli di luna e di vulcani.
Nel tempo delle frane
le foglie, le gru assalgono l'aria:
in lume d'alluvione splendono
cieli densi aperti agli stellati;
le colombe volano
dalle spalle nude dei fanciulli.
Qui finita è la terra:
con fatica e con sangue
mi faccio una prigione.
Per te dovrò gettarmi
ai piedi dei potenti,
addolcire il mio cuore di predone.
Ma cacciato dagli uomini,
nel fulmine di luce ancora giaccio
infante a mani aperte,
a rive d'alberi e fiumi:
ivi la latomia d'arancio greco
feconda per gli imenei dei numi.
SALVATORE QUASIMODO - Specchio
Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell'erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul fosso.
E tutto sa di miracolo;
e sono quell'acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.
SALVATORE QUASIMODO - Vento a Tindari
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.
SALVATORE QUASIMODO - L'EUCALYPTUS
Non una dolcezza mi matura,
e fu di pena deriva
ad ogni giorno
il tempo che rinnova
a fiato d'aspre resine.
In me un albero oscilla
da assonnata riva,
alata aria
amare fronde esala.
M'accori, dolente rinverdire,
odore dell'infanzia
che grama gioia accolse,
inferma già per un segreto amore
di narrarsi all'acque.
Isola mattutina:
riaffiora a mezza luce
la volpe d'oro
uccisa a una sorgiva.
SALVATORE QUASIMODO - Lamento per il Sud
La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve...
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie.
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell'aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d'acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
E questa sera carica d'inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d'amore senza amore
VAN GOGH - Vigneto rosso di Arles 1888
SALVATORE QUASIMODO - *Autunno
Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d'alberi e d'abissi.
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
SALVATORE QUASIMODO
Perdono pe' nostri dolci peccati
Per aver spesso guardato
Teneramente dissiparsi il giorno
Dall'ombra e il silenzio dei casini
Sognando di andare con una fanciulla
Senza seni lungo l' Arno rosa
E la voglia di piangere racchiusa
Nel cuore come un'onda preziosa.
Perdono per esserci creduti forti
Più della morte quando passavano
I carri e i funerali per le strade
Odorate di cipria e di fiori
E volevamo portare a casa cantando
L' immagine dei baci, la voglia
Di stringer l' età amara che non fugga,
D' entrare nelle chiese che non han più soglia
Fresca marina
A te assomiglio la mia vita d’uomo,
fresca marina che trai ciottoli e luce
e scordi a nuova onda
quella cui diede suono
già il muovere dell’aria.
Se mi dèsti t’ascolto,
e ogni pausa è cielo in cui mi perdo,
serenità d’alberi a chiaro della notte.
SENZA MEMORIA DI MORTE
Primavera solleva alberi e fiumi;
la voce fonda non odo,
in te perduto, amata.
Senza memoria di morte,
nella carne congiunti,
il rombo d'ultimo giorno
ci desta adolescenti.
Fatta ramo
fiorisce sul tuo fianco
la mia mano...
SALVATORE QUASIMODO
*Antico inverno
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino