WILLIAM SHAKESPEARE Quante volte, o mia musica
Quante volte, o mia musica, quando fai della musica
Con quello strumento beato che fa nascere i suoni
Con le tue dolci dita, e sulle corde, con grazia
Componi un'armonia che l'orecchio rapito conquista,
Provo invidia degli agili salterelli protesi
Agilmente a baciarti i polpastrelli teneri
Mentre le labbra vogliose di mietere il raccolto
Di fronte a quell'audacia accanto a te si infiammano.
Anche solo per essere sfiorate come loro
Prenderebbero il posto dei legnetti danzanti
Sui quali tu fai scorrere con tale grazia le dita
Da rendere il legno felice più delle labbra vive.
E se quegli sfacciati saltarelli son così fortunati
Dà le tue dita da baciare a loro, ma le tue labbra a me.
WILLIAM SHAKESPEARE - Sonetto 18
Devo paragonarti a un giorno d'estate?
Tu sei più amabile e moderato:
venti impetuosi scuotono gli incantevoli boccioli di maggio
e il corso dell'estate ha durata troppo breve;
talvolta l'occhio del cielo splende troppo intensamente,
e spesso il suo volto aureo viene oscurato;
e ogni bellezza dalla bellezza talora declina,
sciupata dal caso o dal mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà appassire,
né perdere la bellezza che ti appartiene;
né la morte dovrà vantarsi del tuo vagare nella sua ombra,
poiché crescerai, col passare del tempo, in versi eterni.
Finché ci saranno un respiro e occhi per vedere,
questi versi vivranno e ti manterranno in vita.
Sonetto 22
Non mi convincerà lo specchio ch'io sia vecchio,
fin quando tu e giovinezza avrete gli stessi anni;
ma quando vedrò il tuo volto solcato dalle rughe,
allora m'aspetto che morte termini i miei giorni.
Infatti, tutto il decoro di tua bellezza
non è che luminosa veste del mio cuore
che vive nel tuo petto, come il tuo nel mio:
e allora come potrei essere di te più vecchio?
Perciò, amore mio, abbia di te gran cura,
come anch'io farò, non per me, ma per tuo bene,
costudendo il tuo cuore teneramente,
come nutrice col suo bimbo, che non gli incolga male.
Non contare sul tuo cuore quando il mio sia spento;
tu me lo donasti non per averlo indietro.
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Tu sei per la mia mente come il cibo per la vita,
Come le piogge di primavera sono per la terra;
E per goderti in pace combatto la stessa guerra
Che conduce un avaro per accumular ricchezza.
Prima orgoglioso di possedere e, subito dopo,
Roso dal dubbio che il tempo gli scippi il tesoro;
Prima voglioso di restare solo con te,
Poi orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.
Talvolta sazio di banchettare del tuo sguardo,
Subito dopo affamato di una tua occhiata:
Non possiedo né perseguo alcun piacere
Se non ciò che ho da te o da te io posso avere.
Così ogni giorno soffro di fame e sazietà,
Di tutto ghiotto e d’ogni cosa privo.
Come posso ritrovare la mia pace (Sonetto 28)
Come posso ritrovare la mia pace
se il ristoro del sonno mi è negato?
Se l'affanno del giorno non riposa nella notte
ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno?
Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili,
d'accordo si dan mano solo per torturarmi
l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia
di esser da te lontano, sempre più lontano.
Per cattivarmi il giorno gli dico che sei luce
e lo abbellisci se nubi oscurano il suo cielo:
così pur blandisco la cupa notte dicendo
che tu inargenti la sera se non brillano stelle.
Ma il giorno ogni giorno prolunga le mie pene
e la notte ogni notte fa il mio dolor più greve.
Sonetto 30
Quando alle assise del dolce tacito pensiero
convoco la rimembranza di passate cose,
sospiro allora per l'assenza di più d'una.
e con le antiche pene lamento, in più, lo spreco
del caro tempo. E inondo l'occhio, non uso al pianto,
per i dolci amici celati in notte eterna,
e di nuovo piango per pene d'amor pur consumate,
e gemo per molte visioni ormai perdute.
Allor mi dolgo per affanni già sofferti,
e gravemente ripercorro, di pena in pena,
il triste conto di lamenti già lamentati,
che nuovamente ripago, come non già pagato.
ma se intanto il pensier va a te, caro amico,
le perdite si ristorano e l'affanno ha fine.
WILLIAM SHAKESPEARE - Sonetto 39
Oh in che maniera posso mai cantarti
Sapendo che tu sei di me la miglior parte?
Cosa mi dà un elogio che a me stesso io faccia?
E che cos'è lodarti se non lodare me?
Proprio per questo allora dobbiamo separarci
Così che il nostro amore non sia più indivisibile
Ed io da te lontano possa infine donarti
Quello che ti è dovuto, e che tu sola meriti.
Oh assenza che tormento tu dovresti soffrire
Se l'amaro riposo non avesse il consenso
Di trascorrere il tempo nei pensieri d'amore
Che dolcemente ingannano il tempo e i pensieri.
E tu, assenza, m'insegni a fare uno di due
Lodando ora chi resta da qui tanto lontano.
Che tu abbia lei non è tutto il mio tormento (Sonetto 42)
Che tu abbia lei non è tutto il mio tormento
eppur si sa che l'ho teneramente amata;
ma che lei abbia te è quanto più m'accora,
una sconfitta in amore che mi brucia dentro.
Amabili colpevoli, così voglio scusarvi:
tu ami lei perché ben sai ch'io l'amo;
e così per amor mio ella pure m'inganna
lasciando che il mio amico l'ami per amor mio.
Se perdo te, tal perdita è per lei un vantaggio
e se perdo lei, è il mio amico a trovar tal perdita:
entrambi vi trovate ed io vi perdo tutti e due
e voi, per amor mio, m'infliggete questa croce.
Ma eccone la gioia: lui ed io siamo una sol cosa:
o dolce inganno, ella dunque ama me soltanto.
(William Shakespeare)
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Sonetto 92
Fa' pure del tuo peggio per sfuggirmi
tu in me vivrai per tutta la mia vita
e vita non durerà più a lungo del tuo amore,
perché sol da questo affetto essa dipende.
Quindi temer non devo il peggior dei torti
quando nel più piccolo la mia vita ha fine;
mi par di meritare miglior sorte
di quella che è balia dei tuoi capricci.
Non puoi torturarmi con la tua incostanza
perchè nel tuo disdegno muore la mia vita:
o che beato titolo solo io posseggo,
felice del tuo amore, felice di morire!
Ma esiste felicità che nuvole non tema?
Tu potresti ingannarmi ed io non saperlo.
Per la verità, io non ti amo coi miei occhi
Per la verità, io non ti amo coi miei occhi,
perché essi vedono in te un mucchio di difetti;
ma è il mio cuore che ama quel che loro disprezzano
e, apparenze a parte, ne gode alla follia.
Né i miei orecchi delizia il timbro della tua voce,
né la mia sensibilità è incline a vili toccamenti,
né il mio gusto e l'olfatto bramano l'invito
al banchetto dei sensi con te soltanto.
Ma né i miei cinque spiriti, né i miei cinque sensi
possono dissuadere questo mio sciocco cuore dal tuo servizio,
avendo ormai perso ogni sembianza umana,
ridotto a schiavo e misero vassallo del tuo superbo cuore.
Solo in questo io considero la mia peste un bene:
che chi mi fa peccare, m'infligge pure la penitenza.
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Il mio occhio si è fatto pittore e ha fissato
i tratti della tua bellezza nel quadro del mio cuore.
Il mio corpo è la cornice in cui essa è racchiusa,
e, in prospettiva, è la migliore arte del pittore:
poiché attraverso il pittore devi vedere la sua abilità,
per scoprire dove giace la tua vera immagine dipinta,
che sempre è appesa nella fucina del mio petto,
le cui finestre sono i tuoi occhi.
Ora vedi quali buoni servizi hanno reso gli occhi agli occhi:
i miei occhi hanno disegnato la tua figura, e i tuoi per me
sono finestre sul mio petto, attraverso cui il sole
si diletta a sbirciare per ammirarti.
Ma gli occhi sono privi della capacità di dare grazia
alla loro arte:
essi ritraggono solo ciò che vedono, sono ignari
del cuore.
Come un pessimo attore in scena
Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
anch'io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d'amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.
Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa
ben più di quella lingua che più e più parlò.
Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.
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Sonetto 116
Alle nozze sincere di due anime
impedimenti non so. Non è amore
l'amor che muta se in mutare imbatte
o, rimovendosi altri, si rimuove,
oh no: è faro che per sempre è fisso
e guarda alle bufere non dà crollo,
amore, è stella ai vaganti navigli,
nota in altezza, nel valore ignota.
Non è zimbello al tempo, s'anche a teneri
labbri s'incurva quella falce e chiude,
non tramuta con l'ore e i giorni brevi
ma inoltra sino all'estrema sventura.
Se errore è questo, e su di me provato,
io mai non scrissi, e mai nessuno ha amato.
Sonetto 121
È meglio esser colpevole che tale esser stimato
quando non essendolo si è accusati d'esserlo;
e perso è ogni valor sincero perché creduto colpa
non dal nostro sentire, ma dal giudizio d'altri.
Perché mai dovrebbero gli occhi altrui adulteri
considerar vizioso il mio amoroso sangue?
Perché nelle mie voglie s'insinuan lascive spie
che a parer lor condannano quel ch'io ritengo giusto?
No, io sono quel che sono e chi mira
ai miei errori, colpisce solo i propri;
potrei esser io sincero e loro non dire il vero,
non venga il mio agir pesato dal loro pensar corrotto;
a men che non sostengano questo mal comune -
l'umanità è malvagia e nel suo mal trionfa.
Sonetto 130 - Gli occhi del mio amore non sono come il sole
Gli occhi del mio amore non sono come il sole,
più rosso è il corallo della labbra sue.
Se la neve è bianca perché bruno è il suo seno?
Se il crine è fil di ferro, tale è la sua chioma.
Ho visto rose damascate rosse e bianche
ma non vedo tali rose sulle sue guance.
In alcuni profumi c’è maggiore delizia
che nell’alito della mia compagna.
Amo sentirla parlare eppur non nego
che la musica abbia accenti più graditi.
Confesso, non ho mai visto dea passare:
la mia bella cammina calpestando il suolo.
E tuttavia, lo giuro, considero il mio amore
tanto raro quanto ogni suo falso paragone.
Quelle labbra che Amor creò con le sue mani (Sonetto 145)
Quelle labbra che Amor creò con le sue mani
bisbigliarono un suono che diceva "Io odio"
a me, che per amor suo languivo:
ma quando ella avvertì il mio penoso stato,
subito nel suo cuore scese la pietà
a rimproverar la lingua che sempre dolce
soleva esprimersi nel dar miti condanne;
e le insegnò a parlarmi in altro modo,
"Io odio" ella emendò con un finale,
che le seguì come un sereno giorno
segue la notte che, simile a un demonio,
dal cielo azzurro sprofonda nell'inferno.
Dalle parole "Io odio" ella scacciò ogni odio
e mi salvò la vita dicendomi "non te".