Erich Fromm LA DISOBBEDIENZA E ALTRI SAGGI ( Mondadori, Milano 1982)
1. In quest’opera Erich Fromm sostiene che la storia umana è iniziata e si è evoluta con atti di disobbedienza (miti di Adamo ed Eva e di Prometeo). La disobbedienza può essere un atto contro (ribellione) o per qualcosa (affermazione della ragione).
“Secondo i miti giudaici ed ellenici, la storia dell’uomo è stata inaugurata da un atto di disobbedienza. Adamo ed Eva, che abitavano nel paradiso terrestre, erano parte integrante della natura; vivevano con essa in armonia, e tuttavia la trascendevano. Stavano dentro la natura così come il feto sta dentro l’utero della madre. Erano umani, e in pari tempo non lo erano ancora. Tale condizione mutò allorché essi disobbedirono a un ordine. Spezzando i legami con la terra e la madre, tagliando il cordone ombelicale, l’uomo è uscito da una condizione di armonia preumana ed è stato in grado di compiere il primo passo verso l’indipendenza e la libertà. L’atto di disobbedienza ha sciolto Adamo ed Eva dalle pastoie e ha aperto loro gli occhi. Essi si sono riconosciuti estranei l’uno all’altra, ed estraneo e anzi ostile è apparso loro il mondo esterno. Il loro atto di disobbedienza ha scisso il legame originario con la natura e li ha resi individui. Il «peccato originale», lungi dal corrompere l’uomo, lo ha anzi reso libero; è stato esso l’inizio della storia. L’uomo ha dovuto abbandonare il paradiso terrestre per imparare a dipendere dalle proprie forze e diventare pienamente umano (pp. 11-12).
(…)
Esattamente come il mito giudaico di Adamo ed Eva, quello ellenico di Prometeo concepisce la civiltà umana basata tutta quanta su un atto di disobbedienza. Rubando il fuoco agli dei, prometeo pone le fondamenta dell’evoluzione umana. Non ci sarebbe storia umana senza il “delitto” di Prometeo, il quale, al pari di Adamo ed Eva, è punito per la sua disobbedienza; ma Prometeo non si pente, non chiede perdono. Al contrario, afferma orgogliosamente di preferire “essere incatenato a questa roccia che non il servo obbediente degli dei”.
L’ uomo ha continuato a evolversi mediante atti di disobbedienza. Non soltanto il suo sviluppo spirituale è stato reso possibile dal fatto che nostri simili hanno osato dire «no» ai poteri in atto in nome della propria coscienza o della propria fede, ma anche il suo sviluppo intellettuale è dipeso dalla capacità di disobbedire: disobbedire alle autorità che tentassero di reprimere nuove idee e all’autorità di credenze sussistenti da lungo tempo, e secondo le quali ogni cambiamento era privo di senso. Se la capacità di disobbedire ha segnato l’inizio della storia umana,… può darsi benissimo che l’obbedienza ne provochi la fine” (pp.12-13)
Fromm distingue l'obbedienza eteronoma (sottomissione, che può essere verso un'autorità razionale oppure irrazionale) dall'obbedienza autonoma (alla propria coscienza, che anch'essa può essere umanistica oppure autoritaria.
“Non voglio dire che ogni disobbedienza è una virtù e ogni obbedienza un vizio. Far propria un’opinione del genere significherebbe ignorare il rapporto dialettico che intercorre tra obbedienza e disobbedienza. Qualora i principi ai quali si obbedisce e quelli ai quali si disobbedisce siano inconciliabili, un atto di obbedienza a un principio costituirà di necessità un atto di disobbedienza al suo opposto e viceversa. Antigone costituisce l’esempio classico di questa dicotomia. Obbedendo alle inumane leggi dello Stato, Antigone per forza di cose disobbedirebbe alle leggi dell’umanità; obbedendo a queste non può non disobbedire a quelle. Tutti i martiri delle fedi religiose, della libertà e della scienza hanno dovuto disobbedire a coloro che volevano imbavagliarli, se volevano obbedire alla propria coscienza, alle leggi dell’umanità e della ragione. L’essere umano capace solo di obbedire e non di disobbedire, è uno schiavo; chi sa soltanto disobbedire e non obbedire è un ribelle (non un rivoluzionario): costui agisce mosso da collera, da delusione, da risentimento, non già in nome di una convinzione o di un principio” (pp. 13-14).
Libertà e disobbedienza sono inseparabili, non si può proclamare la libertà e insieme bandire la disobbedienza.
Ma perché l’uomo è tanto proclive all’obbedienza e perché gli riesce tanto difficile disobbedire? Finché
obbedisco al potere dello Stato, della Chiesa, dell’opinione pubblica, mi sento al sicuro e protetto. In effetti, poco importa a quale potere obbedisco, trattandosi sempre di un’istituzione o di
esseri umani che fanno ricorso alla forza in una qualche forma e che fraudolentemente si proclamano onniscienti e onnipotenti. La mia obbedienza fa di me una parte del potere al quale mi inchino
reverente, e pertanto io mi sento forte. Non posso commettere errori, dal momento che è esso a decidere per me; non posso essere solo, perché il potere, vigila su di me; non posso incorrere in
peccato, perché il potere non me lo permette, e anche se peccato commettessi, la punizione non è che il mezzo per far ritorno all’illimitato potere.
Per disobbedire, bisogna avere il coraggio di essere solo, di errare e di peccare. Ma il coraggio non basta. La capacità del coraggio dipende dal grado dì sviluppo di una persona. Soltanto chi si sia sottratto al grembo materno e agli ordini del padre, soltanto chi si sia costituito come individuo completamente sviluppato, e abbia così acquistò la capacità di pensare e di sentire autonomamente, può avere il coraggio di dire «no» al potere, di disobbedire.
Una persona può diventare libera mediante atti di disobbedienza, imparando a dire «no» al potere. Ma, se la capacità di disobbedire costituisce la condizione della libertà, d’altro canto la libertà rappresenta la capacità di disobbedire. Se ho paura della libertà, non posso osare di dire «no», non posso avere il coraggio di essere disobbediente.”
“Da Lutero fino al XIX secolo, ci si è trovati alle prese con autorità dichiarate, esplicite. Lutero, il papa, i principi desideravano mantenere il potere; la classe media, i lavoratori, i filosofi miravano ad abbatterlo. La lotta contro l’autorità in seno allo Stato e alla famiglia costituiva sovente la base stessa dello sviluppo di una personalità indipendente e audace, trattandosi di una lotta che era inseparabile dall’atteggiamento intellettuale che caratterizzava i filosofi dell’Illuminismo e gli scienziati. Tale atteggiamento “critico” aveva a fondamento la fede nella ragione, ma era anche, in pari tempo, un atteggiamento dii dubbio nei confronti di tutto ciò che veniva detto o pensato, in quanto basato sulla tradizione, sulla superstizione, sulla costumanza, sul potere. I principi del “sapere aude” e “de omnibus est dubitandum” erano caratteristici del modo di essere che permetteva e favoriva la capacità di dire “no”.
Il caso di Adolf Eichmann è simbolico della nostra situazione, e ha un significato che trascende di gran lunga quello di cui si sono occupati i rappresentanti dell’accusa al tribunale di Gerusalemme. Eichmann è un simbolo dell’individuo inserito in un’organizzazione, del burocrate alienato agli occhi del quale uomini, donne e bambini sono divenuti numeri. È un simbolo di tutti noi: in Eichmann possiamo vederci riflessi. Ma la cosa più spaventosa in lui fu che, una volta chiarita l’intera vicenda alla luce delle sue stesse ammissioni, in perfetta buona fede Eichmann si proclamasse innocente, ed è evidente che, se si ritrovasse nella stessa situazione, lo rifarebbe. E lo stesso faremo noi: lo stesso facciamo noi. L’uomo inserito in un’organizzazione ha perduto la capacità di disobbedire, non è neppure consapevole del fatto che obbedisce. Nell’attuale fase storica, la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro per l’umanità e la fine della civiltà” (pp. 18-19).
2. La minaccia dell'ostracismo (del totale isolamento) è più efficace della stessa minaccia di morte, l'uomo è infatti l'unico animale che può amare la morte e l'unico che può annoiarsi; è anche l'unico animale che si sente minacciato da pericoli futuri oltre che immediati, pericoli che possono colpire non solo interessi vitali ma anche simboli e valori.
L'essenza dell'uomo non e' una sostanza ma una contraddizione (essere nella natura eppure trascenderla); è malleabile e non vi e' una sua spinta innata al progresso.
3. I principi fondamentali dell'umanesimo come concezione globale dell'uomo sono l'unicità della nostra specie (tutto ciò che è umano è in ciascuno di noi),
l'importanza della dignità umana, la capacità di autoperfezionamento ed autosviluppo dell'uomo, la ragione, l'obiettività e la pace.
Tutti noi abbiamo tutte le possibilità dentro di noi (buone e cattive), e per questo è possibile comprenderci (e capire anche il nostro inconscio).
L'umanesimo si sviluppa come reazione a minacce contro l'uomo. .
4. Il principio supremo del socialismo è che "l'uomo ha la precedenza sulle cose, la vita sulla proprietà, e quindi il lavoro sul capitale; che il potere consegue
alla creazione, e non al possesso; che gli uomini non devono essere governati dalle circostanze, ma al contrario le circostanze dagli uomini".
Per il socialismo umanistico:
A) la pace non può essere solo assenza di guerra (che è la sua definizione negativa), ma deve essere in positivo collaborazione fra gli uomini (stato di armonia e disarmo anche unilaterale); i sistemi sociali ed economici infatti, per Fromm, sono insiemi di rapporti umani e le strategie della pace impongono la lotta contro gli idoli, il riconoscimento di interessi reciproci, la mobilitazione collettiva;
B) la libertà è libertà da paura, bisogno, oppressione, violenza ma anche libertà di partecipare e sviluppare il proprio potenziale umano:
C) occorre arrivare all'abolizione della sovranità nazionale (comunità di nazioni);
D) la democrazia è politica (partecipazione informata ai processi decisionali) ma anche industriale.
5. La felicità, secondo Fromm, non può essere definita in un solo modo, ma non può neppure essere la possibilità di fare quello che si vuole. L'etica autoritaria e
l’autorità irrazionale (forza, suggestione) non vanno sostituite col laissez-faire ma con autorità razionali, basate sulla competenza.
Leggi anche L'esperimento di Milgram sull'obbedienza, in
Esperimenti di psicologia sociale
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