Antologia di filosofia moderna

BRANI DI FILOSOFIA MODERNA

  

MICHEL DE MONTAIGNE  - Brano tratto dai Saggi (Essais)

 

Consideriamo dunque per il momento l’uomo solo, senza soccorsi esterni, armato solamente delle proprie armi e sfornito della grazia e della rivelazione divina … Mi faccia capire, con la forza del suo discorso, su quali fondamenti ha costruito i grandi vantaggi che pensa di avere rispetto alle altre creature. Chi lo ha persuaso che questa meravigliosa oscillazione della volta celeste, la luce eterna di queste fiaccole che ruotano tanto fieramente sopra il suo capo, i movimenti spaventosi di questo mare infinito siano stati creati e siano continuati per tutti i secoli per la sua comodità e per servire a lui? E’ possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa creatura miserabile e infelice, che non è neppure signora di se stessa, esposta alle offese di tutte le cose, si dica padrona e regina dell’universo, del quale non è in suo potere conoscere la più piccola parte, e tanto meno comandarla?

E’ incerto dove la morte ci attende: attendiamola noi dappertutto. La premeditazione della morte è premeditazione della libertà; non v’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione stessa della vita non è un male.

 

TOMMASO MOROL'Utopia

 

Esaminando dunque e considerando meco questi Stati che oggi in qualche luogo si trovano, non mi si presenta altro, così Dio mi aiuti! Che una congiura di ricchi i quali, sotto nome e pretesto dello Stato, non si occupano che dei propri interessi. E  immaginano e inventano ogni maniera, ogni arte con cui conservare anzitutto, senza paura di perderlo, ciò che hanno disonestamente ammucchiato essi e, in secondo luogo come serbar per sé, al prezzo più basso possibile, ciò che a fatica producono tutti i poveri, volgendolo a proprio utile. Queste subdole supposizioni i ricchi stabiliscono che vengano osservate in nome dello Stato, cioè anche in nome dei poveri, e così diventano legge! Ma questi uomini immoralissimi, che con insaziabile cupidigia si dividono tra loro i beni che sarebbero bastati a tutti, oh come son lungi tuttavia dalla felicità della repubblica di Utopia! Una volta tolta di mezzo da questa, insieme con l’uso, ogni cupidigia di denaro, di qual immenso cumulo di molestie ci si libera, qual selva di scellerataggini viene schiantata dalle radici!

Chi ignora infatti che sopercherie, truffi, ladronecci, risse, sconvolgimenti, alterchi, sedizioni, assassinii, tradimenti, avvelenamenti, cui i supplizi s’affannano ogni giorno a punire anziché raffrenare, una volta tolto di mezzo il danaro se n’andrebbero anch’essi?

Che, insieme col danaro, sparirebbero contemporaneamente paure, preoccupazioni, affanni, fatiche e veglie? La povertà stessa anzi, che è l’unica, pare, ad aver bisogno di danaro, levato di mezzo assolutamente il danaro, diminuirebbe via via anch’essa. 

 

MARTIN LUTEROFede e umanesimo (Brano tratto da una lettera scritta da Lutero al celebre umanista Erasmo da Rotterdam)

 

Che cosa devo dire di queste tue parole, che sottometti la tua ragione alla Scrittura e alla Chiesa, sia che tu comprenda i suoi decreti o no? Come mai, Erasmo? Non basta forse che tu ti sottometta alla Scrittura? Ti sottometti anche ai decreti della Chiesa? Che cosa può decretare la Chiesa su ciò che non è già decretato nella Scrittura? E dove rimane allora la libertà e la possibilità di giudicare quei “legislatori”, come Paolo insegna in I Cor. 14, 29: “e gli altri giudichino”, ecc.? Non ti aggrada essere giudice della Chiesa, come Paolo tuttavia comanda? Donde ti viene questa nuova santità o umiltà, per la quale, col tuo esempio, togli a noi la libertà di giudicare decreti umani, e ci sottoponi senza giudizio agli uomini? Dove comanda ciò la Scrittura di Dio? … Tu ti sottometti e non t’importa se comprendi o no? Sia anatema il cristiano che non è certo e non comprende ciò che gli è prescritto!

Non è superflua cura né vano, inutile affanno, indagare che cosa possa la nostra volontà, anzi è cosa particolarmente salutare e necessaria per un cristiano. Sì, sappilo, questo è il cardine della nostra disputa, qui sta il nocciolo di questa faccenda. Poiché a questo miriamo, esaminare che cosa possa fare il libero volere e che cosa subisca, e in che relazione stia con la grazia di Dio. Per vero, colui che non comprende questo non dica di essere un cristiano. Ma chi disprezza il saper questo e non lo considera come una questione necessaria, sappia che egli è un grande nemico dei cristiani.

Poiché se io non so a che, quanto alto, e fino a dove si estenda il potere della libera volontà di fronte a Dio, non saprò neppure quale, quanto alta, quanto grande sia la grazia e l’opera di Dio in me; eppure Dio opera ogni cosa in tutti. Se io non conosco le opere e la forza di Dio, non so neppure nulla di Dio stesso. Se io non so niente di Dio, non so neppure onorarlo, lodarlo, ringraziarlo, lui solo temere e servire, perché non so quanto devo attribuire a me, e di quanto devo essere grato a lui.

Si deve perciò distinguere con precisione e certezza fra la forza di Dio e la nostra forza, tra l’opera di Dio e le nostre opere, se vogliamo vivere piamente. Vedi dunque che questo argomento costituisce la parte dell’intera dottrina cristiana, da cui dipende e su cui si fonda la conoscenza di noi stessi e la conoscenza e la glorificazione di Dio. Perciò è intollerabile in te, diletto Erasmo, che tu voglia considerare questa conoscenza come empia, indiscreta e vana. Noi dobbiamo bensì onorare Erasmo, ma siamo tenuti ad onorare Dio e la verità sopra ogni cosa.

Certo anche tu osservi che dobbiamo attribuire ogni nostro bene a Dio, e lo confessi nella tua esposizione di quello che è proprio del Cristianesimo. Ma colui che confessa questo, confessa anche con ciò che la misericordia di Dio compie sola ogni cosa, e che la nostra volontà non opera nulla, ma soltanto subisce l’opera se no non sarebbe vero che Dio solo opera ogni cosa. Ma subito dopo dici che è empio, indiscreto e non necessario affannarsi intorno a simili questioni. Ma così devono oscillare avanti e indietro coloro che non sono con sé coerenti nella loro cattiva coscienza, e non hanno fondata e certa conoscenza.

 

TREVOR HOPER - LA CACCIA ALLE STREGHE 

 

La caccia alle streghe che infuriò in Europa nel Cinquecento e nel Seicento costituisce un fenomeno complesso, monito permanente per tutti coloro che hanno una visione semplicistica del corso del progresso umano. A partire dal XVIII secolo abbiamo avuto sempre la tendenza a considerare la storia europea, dal Rinascimento in poi, come la storia del progresso, ed esso ci è sembrato ininterrotto … Il Rinascimento, la Riforma e la rivoluzione scientifica costituiscono le fasi successive   della nostra emancipazione dalle pastoie medievali. Che questa sia l’immagine che ne abbiamo, è abbastanza naturale. Quando ci volgiamo indietro a riconsiderare la storia, scorgiamo ovviamente per primi quegli uomini, quelle idee che avanzano verso di noi. Ma se approfondiamo l’indagine, quanto più complesso ci appare il quadro! Né il Rinascimento, né la Riforma, né la Rivoluzione scientifica sono esclusivamente o necessariamente fenomeni storici progressivi … Sono tutti fenomeni bivalenti. Il Rinascimento fu un momento di rilancio non solo della  letteratura pagana, ma anche delle religioni misteriche; la Riforma fu un ritorno non soltanto al secolo indimenticabile degli Apostoli, ma anche ai secoli poco edificanti dei re ebrei; la Rivoluzione scientifica fu imbevuta di misticismo pitagorico e di visioni cosmologiche. E sotto la superficie di una società ancor più progredita, quali oscure passioni e pericolose persecuzioni troviamo …

La credenza nella stregoneria è una di queste forze, e nel Cinquecento e nel Seicento non fu, come potrebbero credere i profeti del progresso, soltanto il residuo di un’antica superstizione in via di estinzione. Fu una nuova forza esplosiva che, con l’andar del tempo, si estese costantemente e paurosamente; in quegli anni di apparenti lumi, almeno in un quarto del cielo le tenebre vincevano sulla luce …

Consideriamo la situazione come ci si presenta in un momento qualsiasi del mezzo secolo che va dal 1580 al 1630, quel periodo che corrisponde alla maturità di Bacone e in cui si assiste all’incontro tra Montaigne e Cartesio. Uno sguardo anche affrettato … rivela una situazione allarmante. Per loro stessa confessione migliaia di vecchie donne – e non soltanto loro – avevano stipulato patti segreti con il diavolo … deciso a riconquistare l’impero perduto… Queste erano le streghe umane, la quinta colonna di Satana sulla terra, gli agenti di prima linea nella lotta per il dominio del mondo spirituale.

Per tutto il Cinquecento e gran parte del Seicento gli uomini credettero nella realtà di questa lotta … Per due secoli il clero predicò contro le streghe e gli uomini i legge pronunciarono sentenze contro di esse. Ogni anno libri e sermoni incendiari mettevano in guardia i cristiani contro il pericolo, sollecitando il magistrato cristiano a esercitare una maggior vigilanza, ad inasprire le persecuzioni. A confessori e giudici vennero forniti manuali che contenevano tutte le più recenti informazioni sul fenomeno, gli odi campanilistici vennero sfruttati per ottenere delazioni, si fece ricorso alla tortura per estorcere e rendere più complete le confessioni, e i giudici troppo indulgenti vennero denunciati come nemici del popolo di Dio, sentinelle assopite della cittadella assediata. Forse questi “protettori i streghe” erano stregoni essi stessi. Nell’ora del pericolo, quando sembrava che Satana stesse quasi per conquistare il mondo, si scopriva che i suoi agenti erano assisi ovunque, persino sugli scranni dei giudici, sulle cattedre universitarie o sui troni regali”. Le confessioni venivano ottenute con la tortura, senza la quale non sarebbe stata possibile la diffusione della stregoneria in Europa… identico sistema di indagine, identiche istruzioni ai giudici, identiche domande suggestive accompagnate da torture troppo atroci per essere sopportate… La tortura creò streghe dove non esistevano e moltiplicò vittime e prove. 

 

GIORDANO BRUNO - Infinità dell’universo

(Brano tratto da De la causa, principio e uno, V)

E’ dunque l’universo uno, infinito, immobile.

Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno l’ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser esser compreso; e però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza immobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuori di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera, perché non è altro essere, che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere ogni cosa, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno, da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarietadi nell’esser suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere, o pur ad altro e altro modo di essere, non può esser soggetto  di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario diverso, che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa ne figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggior di sé. Non si è compreso, perché non è minor di sé. Non si agguaglia, perchè non è altro e altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine, è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente, e però è uno, l’universo è uno.

 Dunque, l’individuo non è differente dal dividuo,, il simplicissimo da l’infinito, il centro da la circonferenza. Perché dunque l’infinito è tutto quello che può essere, è immobile; perché in lui tutto è indifferente, è uno; e perché ha tutta la grandezza e perfezione che si possa oltre e oltre avere, è massimo ed ottimo immenso. Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l’universo è tutto centro, o che il centro de l’universo è per tutto, e che la circonferenza non è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella.

Ecco come non è impossibile, ma necessario che l’ottimo, massimo , incomprensibile è tutto, è per tutto, è in tutto, perché, come semplice e indivisibile, può esser tutto, esser per tutto, essere in tutto. E cossì non è stato vanamente detto che Giove empie tutte le cose, inabita[23] tutte le parti de l’universo, è centro de ciò che ha l’essere, uno in tutto e per cui uno è tutto. In quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l’essere in sé, viene a far che ogni cosa sia in ogni cosa.

Ma mi direste: perché dunque le cose si cangiano, la materia particulare si forza ad altre forme? Vi rispondo, che non è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di essere. E questa è la differenza tra l’universo e le cose de l’universo; perché quello comprende tutto lo essere e tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto l’essere, ma non tutti i modi di essere e non può attualmente aver tutte le circostanze e accidenti, perché molte forme sono incompossibili in medesimo soggetto, o per esserno contrarie o per appartener a specie diverse; come non può essere medesimo supposito individuale sotto accidenti di cavallo e uomo, sotto dimensioni di una pianta e uno animale. Oltre, quello comprende tutto lo essere totalmente, perché estra e oltre lo infinito poi ciascuna comprende tutto lo essere, ma non totalmente, perché oltre ciascuna sono infinite altre. Però intendete tutto essere in tutto, ma non totalmente e omnimodamente in ciascuno. Però intendete come ogni cosa è una ma non unimodamente.

 

FRANCESCO BACONE 

Brano tratto da Temporis partus masculus

 

Si chiami perciò alla sbarra Aristotele, questo detestabile sofista, questo entusiasta per le sottigliezze inutili, questo vile ludibrio di parole. Quando lo spirito umano, spinto per caso, come da un favorevole vento verso una qualche verità, sembrava in essa posarsi, costui ha osato imporre alle menti gravissimi ostacoli, ha osato mettere insieme una specie dell’arte della irragionevolezza e ha preteso di rendere gli uomini schiavi delle parole…

 

Si chiami ora alla sbarra Platone, questo cavillatore sfacciato, questo gonfio poeta, questo delirante teologo … Quando asserisci falsamente che la verità è abitante nativo della mente umana e non viene dall’esterno, quando distogli le nostre menti …, quando ci insegni a volgerle all'interno e ad umiliarci davanti ai nostri idoli ciechi e confusi sotto il nome di contemplazione, tu commetti una colpa capitale.

 

Come mai quegli antichi ricercatori della verità, Eraclito, Democrito, Pitagora, Anassagora, Empedocle e gli altri, ci sono noti attraverso gli scritti d’altri e non per i loro propri? … Bisogna attingere la scienza dalla luce della natura e non cercare di richiamarla dalle tenebre dell’antichità. Non importa ciò che è stato fatto: si tratta di vedere che cosa si può fare… Un oceano immenso circonda l’isola della verità e ci restano da sopportare ancora nuove ingiurie dei venti e dobbiamo abbattere molti idoli.

 

Brano tratto da  Novum Organum

 

Trattenne inoltre gli uomini dal progresso nelle scienze, quasi incantandoli, la reverenza per l’antichità e l’autorità degli uomini che nella filosofia sono molto apprezzati … L’ammirazione per l’antichità, il rispetto del principio di autorità e il consenso spinsero gli uomini a contentarsi delle cose già scoperte …

E’ da pusillanimi attribuire tanta considerazione e così illuminata autorità agli autori … la verità è figlia del tempo e non dell’autorità…

… In tutte le età la filosofia naturale ebbe come avversaria molesta e difficile la superstizione e lo zelo religioso cieco e smodato. Presso i Greci, difatti, coloro che hanno per primi additato agli uomini ancora ignari le cause naturali dei fulmini e delle tempeste sono stati, per tali ragioni, accusati di empietà contro gli dei.

Vi sono poi gli idoli che penetrano nell’animo umano per la via dei diversi sistemi filosofici o per le cattive regole delle dimostrazioni; e questi noi chiamiamo idoli del teatro, giacché tutte le filosofie trovate o inventate ci appaiono come drammi prodotti e rappresentati, che ci presentano un mondo fittizio e fantastico. E non parliamo solo dei sistemi filosofici che abbiamo o degli antichi sistemi o delle sétte antiche, giacché molte altre favole di tale genere possono essere composte e rappresentate. In verità di errori diversi si possono avere cause comuni. Né infine ciò diciamo soltanto a proposito di sistemi filosofici, ma anche di molti principi e assiomi di scienze particolari, che traggono la loro autorità dalla tradizione, dalla cieca fede e dalla pigrizia dell’umano intelletto…

Vi sono ingegni pieni di ammirazione per l’antico, altri pieni di amore per ciò che è nuovo. Pochi hanno un tale temperamento da non disprezzare le verità scoperte dagli antichi e da non rigettare quelle che scoprono i moderni. Ciò avviene col massimo detrimento delle scienze e della filosofia, in quanto non contano i giudizi, ma solo l’amore per il vecchio o per il nuovo: la verità non è prerogativa di una particolare epoca, che ha avuto il felice privilegio di scoprirla, ma deriva dalla luce della natura e dell’esperienza, le quali solo non cangiano. Bisogna perciò ripudiare tali inclinazioni e fare in modo che l’intelletto non sia a esse trascinato al consenso.

 

GALILEIDialogo sopra i massimi sistemi

 

GIORNATA I

SAGREDO – Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile etc.; io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessantemente si fanno … Questi che esaltano tanto l’incorruttibilità, l’inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte …

SIMPLICIO – E non è dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile, etc… Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti più imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che i corpi celesti, cioè il Sole, la Luna e l’altre stelle, che non sono ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d’altro per conseguire il lor fine, che del moto e del lume[3].

SAGREDO – Adunque la natura ha prodotti ed indrizzati tanti vastissimi perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mortale? … Tolto via questo uso di servire la Terra, l’innumerabile schiera di tutti i corpi celesti resta del tutto inutile e superflua, già che non hanno, né possono avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poiché tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili…

SIMPLICIO – Chiaramente veggiamo e tocchiamo con mano, che tutte le generazioni, mutazioni, etc., che si fanno sulla Terra, tutte, o mediatamente o immediatamente sono indrizzate all’uso, al comodo e al benefizio dell’uomo; per comodo de gli uomini nascono i cavalli, per nutrimento de’ cavalli produce la Terra il fieno, e le nugole l’adacquano; per comodo e nutrimento de gli uomini nascono le erbe, le biade, i frutti, le fiere, gli uccelli, i pesci; ed in somma, se noi anderemo diligentemente esaminando e risolvendo tutte queste cose, troveremo, il fine al quale tutte sono indrizzate esser il bisogno, l’utile, il comodo e il diletto de gli uomini. Or di quale uso potrebber esser mai al genere umano le generazioni che si facessero nella Luna o in altro pianeta? Se già voi non voleste dire che nella Luna ancora fussero uomini che godesser de’ suoi frutti; pensiero, o favoloso, o empio.

GIORNATA II

 

SAGREDO – Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato di Venezia, dove alcuni per loro studio ed altri per curiosità, convenivano talvolta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno  veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l’origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia tra i medici Galenisti[6] ed i Peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de li nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo … voltosi ad un filosofo peripatetico gli domandò s’ei restava ben pago e sicuro, l’origine dei nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, dopo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: “Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata che, quando il testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza “confessarla per vera”.

SIMPLICIO – Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell’origine de i nervi non è miga così smaltita e decisa come forse alcuno si persuade.

SAGREDO – Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contraddittori; ma questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d’Aristotile, ma la sola autorità ed il puro Ipse dixit.

SALVIATI – E’ son vivi e sani alcuni gentiluomini che furon presenti quando un dottor leggente in uno Studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio da sé non ancor veduto, disse che l’invenzione era presa da Aristotile … E voi, ditemi in grazia, sete così semplice che non intendiate che quando Aristotile fosse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine, distacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanamente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto? … Sono i suoi seguaci che hanno data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ‘l comparire a faccia aperta, temono né si ardiscono d’allontanarsi d’un sol passo, e più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile,vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura.

 

GALILEO GALILEILettera a Cristina di Lorena

 

Io scopersi pochi anni a dietro, come ben sa l’Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo … contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi…

Il motivo dunque, che loro producono per condennar l’opinione della mobilità della Terra e stabilità del Sole è che, leggendosi nelle Sacre Lettere, in molti luoghi, che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne seguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza che volesse asserire il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra…

Qualunque volta alcuno, nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani ed occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, ed anche talvolta la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come dettante  lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozzo e indisciplinato…per il solo rispetto d’accomodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all’istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l’istessa Scrittura, posto da banda  cotal rispetto, nel parlare anco incidentalmente di Terra, d’acqua, di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole? E massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario istituto delle medesime Sacre Lettere, cio è al culto divino ed alla salute dell’anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo.

Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a li occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno essere revocato in dubbio, non che condannato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante…Ma che quell’istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all’intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente … se ne legge nella Scrittura, quale appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, ed una o due volte solamente Venere, sotto nome di Lucifero … Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle Sacre Scritture apprender tal notizia, non ne avrebbon per mio credere, trattato così poco, che è come niente in comparazione delle infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano …

Delle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne seguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né se la sua figura sia in forma sferica o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda , non avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e collegate in maniera con le pur nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole. Io direi qui che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.

Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teologi … Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de’ saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de’ luoghi sacri, che indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi certi e sicuri.  Anzi … crederei che fusse molto prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario…

Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina bastasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co’l loro proprio, gli par impossibile che tale opinione abbia a poter sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi: ma il negozio cammina altramente; perché, per eseguire una tale determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro di Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l’istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d’astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardar verso il cielo, acciò … che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda or falcata con sottilissime corna, e molte altre sensate osservazioni, che non si possono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argomenti del Copernicano. ..Il proibir tutta la scienza, che altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge  in tutte le sue fatture, e divinamente si legge nell’aperto libro del cielo?

 

NOTE

 

I corpi celesti.

Al confronto.

Si riteneva che tutti i corpi celesti fossero ordinati a vantaggio della Terra, posta al centro dell’universo.

Che può patire alterazioni.

Notomia = anatomia.

Galenisti = seguaci del medico greco Galeno, il quale si ispirò a Platone ed Aristotele e del quale sono noti gli studi di anatomia, fisiologia e terapia.Peripatetici = allievi di Aristotele, i quali si riunivano nel Peripato, parte della scuola da lui fondata (“Liceo”).

Emendare = correggere.

 

 

VOLTAIRE –  Trattato sulla tolleranza

Ma come! Sarà dunque permesso a chiunque di credere soltanto alla propria ragione e di pensare soltanto ciò che questa, illuminata o errante, gli suggerirà? Certo che sì, purché costui non turbi l’ordine: infatti, se non dipende dall’uomo il credere o il non credere, dipende certamente da lui il rispettare gli usi della patria; chi poi affermasse che il non credere nella religione dominante costituisce un crimine, si farebbe egli stesso accusatore dei primi cristiani suoi padri e giustificherebbe proprio coloro che egli accusa come persecutori.

Si risponderà che c’è una grande differenza, che tutte le altre religioni sono opera degli uomini e che la chiesa cattolica apostolica romana è, sola, opera di Dio. Ma, ragionando in buona fede, la nostra religione, per il fatto che è divina, dovrebbe forse imporsi con l’odio, con la persecuzione, l’esilio, la confisca dei beni, la prigione, la tortura, il delitto e per giunta rendere grazie a Dio per tali delitti? Quanto più la religione cristiana è divina, tanto meno toccherà all’uomo imporla. Se Dio l’ha fatta, Dio la sosterrà anche senza di voi. Ricordate che l’intolleranza non produce che ipocriti o ribelli: quale funesta alternativa! Infine, vorreste far difendere dal boia la religione di un Dio che dal boia è stato ucciso e che non ha predicato se non la dolcezza e la pazienza?

Considerate, vi prego, le spaventose conseguenze del diritto di intolleranza. Se fosse permesso spogliare dei suoi beni, gettare in prigione, uccidere un cittadino il quale, in un certo grado di latitudine, non professasse la religione ivi ammessa, in forza di quali eccezioni potrebbero essere esentati dalle stesse pene i capi dello Stato? La religione impegna ugualmente il monarca come il mendicante . . .

Non mi rivolgerò dunque più agli uomini, ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi: se è permesso a deboli creature perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osare di domandarti qualcosa, a te che tutto hai donato, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di considerare pietosamente gli errori connessi alla nostra natura; che questi errori non siano per noi fonte perenne di calamità. Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, mani perché ci sgozzassimo; fa’ che sappiamo aiutarci a vicendevolmente a sopportare il fardello d’una vita penosa e breve; che le piccole differenze intercorrenti fra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, fra i nostri imperfetti linguaggi, fra tutte le nostre ridicole usanze, fra tutte le nostre leggi imperfette, fra tutte le nostre opinioni insensate, fra tutte le nostre condizioni così disparate agli occhi nostri e così uguali ai tuoi; che tutte le lievi sfumature distinguenti quegli atomi chiamati uomini, non siano segnacoli di odio e di persecuzione. Che coloro i quali accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si contentano della luce del tuo sole; che coloro i quali ricoprono le loro tonache con una tela bianca per significare che bisogna amarti non odino coloro i quali affermano la stessa cosa ricoperti da un mantello di lana nera; che sia considerata la stessa cosa l’adorarti servendosi di un’antica lingua o adoperandone una più recente; che gli uomini rivestiti di abiti rossi o violetti, che dominano su una piccola parte del piccolo ammasso di fango di questo mondo, che posseggono qualche tondeggiante frammento di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò che essi chiamano grandezza e ricchezza e che gli altri uomini li sopportino senza invidia: tu sai infatti che in tali vanità non c’è nulla da invidiare né di cui inorgoglirsi.

Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Aborrire la tirannia esercitata sulle anime, così come hanno in esecrazione il brigantaggio, che sottrae con la violenza il frutto del lavoro e della pacifica industria! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, almeno non odiamoci, non straziamoci a vicenda nei tempi di pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato quest’istante!

KANT

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito. (I. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione, Laterza, Bari, 1974, pagg. 197-198)

 

MICHEL DE MONTAIGNE  - Brano tratto dai Saggi (Essais)

 

Consideriamo dunque per il momento l’uomo solo, senza soccorsi esterni, armato solamente delle proprie armi e sfornito della grazia e della rivelazione divina … Mi faccia capire, con la forza del suo discorso, su quali fondamenti ha costruito i grandi vantaggi che pensa di avere rispetto alle altre creature. Chi lo ha persuaso che questa meravigliosa oscillazione della volta celeste, la luce eterna di queste fiaccole che ruotano tanto fieramente sopra il suo capo, i movimenti spaventosi di questo mare infinito siano stati creati e siano continuati per tutti i secoli per la sua comodità e per servire a lui? E’ possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa creatura miserabile e infelice, che non è neppure signora di se stessa, esposta alle offese di tutte le cose, si dica padrona e regina dell’universo, del quale non è in suo potere conoscere la più piccola parte, e tanto meno comandarla?

E’ incerto dove la morte ci attende: attendiamola noi dappertutto. La premeditazione della morte è premeditazione della libertà; non v’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione stessa della vita non è un male.

 

TOMMASO MOROL'Utopia

 

Esaminando dunque e considerando meco questi Stati che oggi in qualche luogo si trovano, non mi si presenta altro, così Dio mi aiuti! Che una congiura di ricchi i quali, sotto nome e pretesto dello Stato, non si occupano che dei propri interessi. E  immaginano e inventano ogni maniera, ogni arte con cui conservare anzitutto, senza paura di perderlo, ciò che hanno disonestamente ammucchiato essi e, in secondo luogo come serbar per sé, al prezzo più basso possibile, ciò che a fatica producono tutti i poveri, volgendolo a proprio utile. Queste subdole supposizioni i ricchi stabiliscono che vengano osservate in nome dello Stato, cioè anche in nome dei poveri, e così diventano legge! Ma questi uomini immoralissimi, che con insaziabile cupidigia si dividono tra loro i beni che sarebbero bastati a tutti, oh come son lungi tuttavia dalla felicità della repubblica di Utopia! Una volta tolta di mezzo da questa, insieme con l’uso, ogni cupidigia di denaro, di qual immenso cumulo di molestie ci si libera, qual selva di scellerataggini viene schiantata dalle radici!

Chi ignora infatti che sopercherie, truffi, ladronecci, risse, sconvolgimenti, alterchi, sedizioni, assassinii, tradimenti, avvelenamenti, cui i supplizi s’affannano ogni giorno a punire anziché raffrenare, una volta tolto di mezzo il danaro se n’andrebbero anch’essi?

Che, insieme col danaro, sparirebbero contemporaneamente paure, preoccupazioni, affanni, fatiche e veglie? La povertà stessa anzi, che è l’unica, pare, ad aver bisogno di danaro, levato di mezzo assolutamente il danaro, diminuirebbe via via anch’essa. 

 

MARTIN LUTEROFede e umanesimo (Brano tratto da una lettera scritta da Lutero al celebre umanista Erasmo da Rotterdam)

 

Che cosa devo dire di queste tue parole, che sottometti la tua ragione alla Scrittura e alla Chiesa, sia che tu comprenda i suoi decreti o no? Come mai, Erasmo? Non basta forse che tu ti sottometta alla Scrittura? Ti sottometti anche ai decreti della Chiesa? Che cosa può decretare la Chiesa su ciò che non è già decretato nella Scrittura? E dove rimane allora la libertà e la possibilità di giudicare quei “legislatori”, come Paolo insegna in I Cor. 14, 29: “e gli altri giudichino”, ecc.? Non ti aggrada essere giudice della Chiesa, come Paolo tuttavia comanda? Donde ti viene questa nuova santità o umiltà, per la quale, col tuo esempio, togli a noi la libertà di giudicare decreti umani, e ci sottoponi senza giudizio agli uomini? Dove comanda ciò la Scrittura di Dio? … Tu ti sottometti e non t’importa se comprendi o no? Sia anatema il cristiano che non è certo e non comprende ciò che gli è prescritto!

Non è superflua cura né vano, inutile affanno, indagare che cosa possa la nostra volontà, anzi è cosa particolarmente salutare e necessaria per un cristiano. Sì, sappilo, questo è il cardine della nostra disputa, qui sta il nocciolo di questa faccenda. Poiché a questo miriamo, esaminare che cosa possa fare il libero volere e che cosa subisca, e in che relazione stia con la grazia di Dio. Per vero, colui che non comprende questo non dica di essere un cristiano. Ma chi disprezza il saper questo e non lo considera come una questione necessaria, sappia che egli è un grande nemico dei cristiani.

Poiché se io non so a che, quanto alto, e fino a dove si estenda il potere della libera volontà di fronte a Dio, non saprò neppure quale, quanto alta, quanto grande sia la grazia e l’opera di Dio in me; eppure Dio opera ogni cosa in tutti. Se io non conosco le opere e la forza di Dio, non so neppure nulla di Dio stesso. Se io non so niente di Dio, non so neppure onorarlo, lodarlo, ringraziarlo, lui solo temere e servire, perché non so quanto devo attribuire a me, e di quanto devo essere grato a lui.

Si deve perciò distinguere con precisione e certezza fra la forza di Dio e la nostra forza, tra l’opera di Dio e le nostre opere, se vogliamo vivere piamente. Vedi dunque che questo argomento costituisce la parte dell’intera dottrina cristiana, da cui dipende e su cui si fonda la conoscenza di noi stessi e la conoscenza e la glorificazione di Dio. Perciò è intollerabile in te, diletto Erasmo, che tu voglia considerare questa conoscenza come empia, indiscreta e vana. Noi dobbiamo bensì onorare Erasmo, ma siamo tenuti ad onorare Dio e la verità sopra ogni cosa.

Certo anche tu osservi che dobbiamo attribuire ogni nostro bene a Dio, e lo confessi nella tua esposizione di quello che è proprio del Cristianesimo. Ma colui che confessa questo, confessa anche con ciò che la misericordia di Dio compie sola ogni cosa, e che la nostra volontà non opera nulla, ma soltanto subisce l’opera se no non sarebbe vero che Dio solo opera ogni cosa. Ma subito dopo dici che è empio, indiscreto e non necessario affannarsi intorno a simili questioni. Ma così devono oscillare avanti e indietro coloro che non sono con sé coerenti nella loro cattiva coscienza, e non hanno fondata e certa conoscenza.

TREVOR HOPER - LA CACCIA ALLE STREGHE 

 

La caccia alle streghe che infuriò in Europa nel Cinquecento e nel Seicento costituisce un fenomeno complesso, monito permanente per tutti coloro che hanno una visione semplicistica del corso del progresso umano. A partire dal XVIII secolo abbiamo avuto sempre la tendenza a considerare la storia europea, dal Rinascimento in poi, come la storia del progresso, ed esso ci è sembrato ininterrotto … Il Rinascimento, la Riforma e la rivoluzione scientifica costituiscono le fasi successive   della nostra emancipazione dalle pastoie medievali. Che questa sia l’immagine che ne abbiamo, è abbastanza naturale. Quando ci volgiamo indietro a riconsiderare la storia, scorgiamo ovviamente per primi quegli uomini, quelle idee che avanzano verso di noi. Ma se approfondiamo l’indagine, quanto più complesso ci appare il quadro! Né il Rinascimento, né la Riforma, né la Rivoluzione scientifica sono esclusivamente o necessariamente fenomeni storici progressivi … Sono tutti fenomeni bivalenti. Il Rinascimento fu un momento di rilancio non solo della  letteratura pagana, ma anche delle religioni misteriche; la Riforma fu un ritorno non soltanto al secolo indimenticabile degli Apostoli, ma anche ai secoli poco edificanti dei re ebrei; la Rivoluzione scientifica fu imbevuta di misticismo pitagorico e di visioni cosmologiche. E sotto la superficie di una società ancor più progredita, quali oscure passioni e pericolose persecuzioni troviamo …

La credenza nella stregoneria è una di queste forze, e nel Cinquecento e nel Seicento non fu, come potrebbero credere i profeti del progresso, soltanto il residuo di un’antica superstizione in via di estinzione. Fu una nuova forza esplosiva che, con l’andar del tempo, si estese costantemente e paurosamente; in quegli anni di apparenti lumi, almeno in un quarto del cielo le tenebre vincevano sulla luce …

Consideriamo la situazione come ci si presenta in un momento qualsiasi del mezzo secolo che va dal 1580 al 1630, quel periodo che corrisponde alla maturità di Bacone e in cui si assiste all’incontro tra Montaigne e Cartesio. Uno sguardo anche affrettato … rivela una situazione allarmante. Per loro stessa confessione migliaia di vecchie donne – e non soltanto loro – avevano stipulato patti segreti con il diavolo … deciso a riconquistare l’impero perduto… Queste erano le streghe umane, la quinta colonna di Satana sulla terra, gli agenti di prima linea nella lotta per il dominio del mondo spirituale.

Per tutto il Cinquecento e gran parte del Seicento gli uomini credettero nella realtà di questa lotta … Per due secoli il clero predicò contro le streghe e gli uomini i legge pronunciarono sentenze contro di esse. Ogni anno libri e sermoni incendiari mettevano in guardia i cristiani contro il pericolo, sollecitando il magistrato cristiano a esercitare una maggior vigilanza, ad inasprire le persecuzioni. A confessori e giudici vennero forniti manuali che contenevano tutte le più recenti informazioni sul fenomeno, gli odi campanilistici vennero sfruttati per ottenere delazioni, si fece ricorso alla tortura per estorcere e rendere più complete le confessioni, e i giudici troppo indulgenti vennero denunciati come nemici del popolo di Dio, sentinelle assopite della cittadella assediata. Forse questi “protettori di streghe” erano stregoni essi stessi. Nell’ora del pericolo, quando sembrava che Satana stesse quasi per conquistare il mondo, si scopriva che i suoi agenti erano assisi ovunque, persino sugli scranni dei giudici, sulle cattedre universitarie o sui troni regali”. Le confessioni venivano ottenute con la tortura, senza la quale non sarebbe stata possibile la diffusione della stregoneria in Europa… identico sistema di indagine, identiche istruzioni ai giudici, identiche domande suggestive accompagnate da torture troppo atroci per essere sopportate… La tortura creò streghe dove non esistevano e moltiplicò vittime e prove. 

KANT
La vera sublimità non sta nella grandezza della natura, ma piuttosto nell’animo di colui che giudica sublime tale grandezza, ossia nell’uomo.
E’ sublime ciò che è grande nello spazio e nel tempo, ciò che è grande in maniera smisurata, al di là di ogni possibile confronto (ad es. l’oceano, le galassie). Di fronte a queste cose proviamo ambivalenza: da un lato proviamo dispiacere perché la nostra immaginazione è troppo limitata per abbracciare tali grandezze, di fronte alle quali, coscienti dei nostri limiti, ci sentiamo piccoli piccoli; d’altra proviamo piacere perché, contemplando queste entità sublimi, ma pur sempre limitate, la nostra ragione si eleva all’idea di infinito, che è superiore ad ogni realtà, per quanto questa possa essere smisurata e potente. Di fronte a tale idea la grandezza del sublime della natura si rivela ben poca cosa: la vera sublimità non sta nella grandezza della natura, ma piuttosto nell’animo di colui che giudica sublime tale grandezza, ossia nell’uomo.

BIBLIOGRAFIA

 

GIORDANO BRUNO - Tutte le opere

TOMMASO MORO - Utopia