IL RAZIONALISMO
Il Razionalismo attribuisce validità solo alla conoscenza razionale. I razionalisti sottopongono al vaglio della critica l'attività conoscitiva. Essi sostengono che la ragione costituisce il fondamento della vera conoscenza, in quanto possiede i principi "a priori", non derivati dalle sensazioni, ma propri della mente, da cui è possibile ricavare la spiegazione razionale della realtà.
Il Razionalismo utilizza il metodo matematico, fondato sull'intuizione (atto con cui si conosce la verità direttamente, in modo immediato) e sulla deduzione (procedimento logico a priori, che parte da un principio generale per giungere ad un'affermazione particolare). Il razionalismo parte dalle idee innate a priori, evidenti per se stesse, che non richiedono dimostrazione, per dedurre da esse le altre verità.
CARTESIO
Cartesio è il fondatore del Razionalismo, una corrente filosofica che considera la ragione come lo strumento che permette di raggiungere la verità ed utilizza il metodo deduttivo-matematico.
Critica della cultura dell’epoca
Cartesio fu molto critico nei confronti dei filosofi che lo avevano preceduto, perché non erano mai pervenuti ad alcuna certezza.
Egli criticò la logica, che aiuta ad esporre verità già conosciute, ma non aiuta a scoprire la verità. Criticò l’aritmetica e la geometria tradizionali, non sorrette da una chiara metodologia. Decise perciò di elaborare un metodo valido per tutte le scienze, improntato alla chiarezza e al rigore dei procedimenti geometrici.
Decide di costruire una filosofia fondata sulla fiducia nella ragione, intesa come la capacità di dirigere la ricerca della verità e in grado di fondare un metodo universale e fecondo.
Il metodo
Il metodo deve essere sia teorico (deve ampliare il sapere) che pratico (offrire vantaggi per l’umanità).
Come Bacone, anche Cartesio propone una filosofia pratica, che renda l’uomo padrone dell’universo ma, a differenza di Bacone Cartesio, richiamandosi a Galilei, si avvale della matematica, che offre un modello di ragionamento semplice, lineare e rigoroso. La matematica è fondamentale per la ricerca scientifica, perché si avvale dell'intuizione e della deduzione.
L'intuizione è l'atto con cui si conosce la verità direttamente, in modo immediato, senza bisogno di alcuna dimostrazione. Conosciamo per intuizione i princìpi della geometria, che non richiedono dimostrazione.
Mentre l'intuizione è evidenza immediata, la deduzione è evidenza derivata.
Le regole del metodo
Le regole del metodo sono quattro:
1)evidenza: non considerare mai come verità ciò che non è immediatamente evidente (chiaro e distinto). E’ l’intuizione che coglie l’idea immediatamente e ci fa giungere all’evidenza.
2)analisi: dividere ogni problema nei suoi elementi semplici. Elemento semplice è quello la cui conoscenza risulti chiara e distinta. Per l’intuizione è necessaria la semplicità. Analisi significa trasformare la complessità in semplicità, passare dal complesso al semplice, rendere tutto intuitivo.
3)sintesi: procedere per gradi dalle conoscenze più semplici a quelle via via più complesse, collegando con ordine e coerenza i diversi elementi. La sintesi è l’unione di più elementi semplici, una totalità che conserva le medesime caratteristiche della chiarezza e distinzione degli elementi che la costituiscono.
4)enumerazione e revisione: l’ultima regola impedisce la frettolosità e verifica tutti i passaggi. L’enumerazione controlla la completezza dell’analisi; la revisione controlla la completezza della sintesi. Per procedere correttamente occorre ripetere quel movimento di semplificazione e di rigorosa concatenazione tipico del procedere geometrico, rifiutando nozioni approssimative, imperfette o verosimili. Le nozioni complesse dovranno essere semplificate. La 1.a regola consiste nell’intuizione; la 2.a e la 3.a costituiscono la deduzione. La 4.a funge da controllo.
IL DUBBIO
Stabilite le regole, occorre dimostrare la loro validità e universalità in tutti i campi del sapere. Cartesio applica le regole al sapere tradizionale, per vedere se esso contenga qualche verità chiara e distinta. Se l’esito sarà negativo, non si dovrà accettare quel sapere; se sarà positivo, ossia perverremo a una verità indubitabile, esso sarà il fondamento di ogni sapere e l’inizio di ogni ragionamento. Perciò Cartesio esamina i princìpi su cui si fonda il sapere tradizionale, sottoponendo al dubbio metodico (ossia sospendendo l’assenso) prima di tutto l’esperienza sensibile. Come possiamo considerare certo e indubitabile un sapere basato su sensi che spesso illudono e ingannano? Ma Cartesio indaga anche sui poteri della ragione, che spesso ci porta a ragionamenti sbagliati. Cartesio estende il dubbio metodico anche alla matematica: potremmo ritenere di essere vittime di un genio malefico che si diverte a ingannarci e a farci apparire evidente ciò che è falso ed errato. A questo punto nulla si salva dal dubbio, che diventa iperbolico. Esso però ci porta a scoprire una verità indubitabile ed immediatamente evidente. Dopo aver dubitato di tutto, l’unica certezza diventa proprio il dubbio, ossia il fatto di dubitare. Io posso dubitare di tutto, ma non del fatto che sto dubitando. Se dubito, sono certo di dubitare. Esisto come essere dubitante: cogito, ergo sum!
Il cogito è un atto intuitivo, grazie al quale percepisco la mia esistenza di essere pensante. Esso mi appare con i caratteri dell’evidenza (chiarezza e distinzione). D’ora in avanti l’attività conoscitiva dovrà ricercare la chiarezza e la distinzione: una verità sarà accettata soltanto se avrà questi caratteri, ossia se avrà un’evidenza immediata (intuizione) o derivata (deduzione).
L’uomo è una realtà pensante che ha conquistato la prima certezza incrollabile, relativa alla propria esistenza. Sulla coscienza di essere una realtà pensante sono fondate le regole del metodo. Fondamento di ogni certezza filosofica r scientifica è ora l’uomo, la sua coscienza razionale. La conoscenza risulta fondata sull’uomo e sul cogito, che non è un ragionamento, ma un’intuizione immediata della mente.
Le idee
Il cogito mi dà certezza soltanto della mia esistenza, ma non mi dà alcuna certezza sulle altre realtà. L’uomo è una realtà pensante; la sua attività pensante si svolge mediante le idee, atti della mente, contenuti di coscienza sulla cui validità (corrispondenza delle idee alle cose) bisognerà indagare.
Cartesio divide le idee in tre gruppi:
1)idee fattizie (fittizie, immaginarie), che sono un prodotto della fantasia umana (ad es. la chimera). Esse non rappresentano alcuna verità.
2)idee avventizie (che vengono dall’esterno), riferibili alla natura, alla realtà esterna a noi. Esse derivano dall’esperienza sensibile. Cartesio vuole provar l’oggettività di tali idee.
3)idee innate (nate con noi), idee presenti in noi fin dalla nascita, come intuizioni originarie proprie della mente, che non derivano dalle cose esterne. Pertanto esse sono idee chiare e distinte.
Dio
Per giungere a Dio Cartesio parte dal cogito, ossia la coscienza del dubbio e procede per tre vie parallele.
1.a prova: Dio come causa dell’idea di perfezione nell’uomo. Se mi accorgo di dubitare, di essere imperfetto, ciò significa che ho in me l’idea di perfezione, perché altrimenti non mi accorgerei di essere imperfetto. Tale idea di perfezione non può derivare da me, che sono imperfetto. Pertanto deve derivare da un Essere perfetto (prova “a posteriori”).
2.a prova: Dio come causa dell’esistenza umana.
L’uomo sa di esistere e si chiede chi gli abbia dato l’esistenza. Egli non può essersi creato da sé: se avesse potuto farlo, si sarebbe creato perfetto. L’esistenza dell’uomo non deriva neppure dalla natura, ancor più imperfetta di lui. Pertanto deriva da un Essere che gli ha dato l’esistenza, pur avendolo creato imperfetto e finito (prova “a posteriori”).
3.a prova: dall’idea di Dio all’esistenza di Dio.
Cartesio riprende la prova ontologica di S.Anselmo: l’ateo, negando Dio, dimostra di avere l’idea di Dio. Tale idea corrisponde a un Essere perfettissimo. Ma all’idea di un essere perfettissimo deve corrispondere la sua esistenza, altrimenti vi sarebbe contraddizione. Anche Cartesio parte dall’idea innata di Dio, ossia l’idea di un Essere che assomma in sé tutte le perfezioni. All’idea di un Essere perfetto deve corrispondere la sua esistenza, perché non è pensabile un essere perfetto che non sia esistente, in quanto gli mancherebbe una delle perfezioni ed egli sarebbe imperfetto. L’idea di Dio implica la sua esistenza: l’idea di Dio è in noi, ma non deriva da noi. Dio è la garanzia ultima del criterio dell’evidenza: egli è infinitamente buono e ci ha creati dandoci la capacità di giudizio per non farci cadere in errore. Egli è garante di tutte le verità che si presentano chiare e distinte: esse sono le verità eterne, universali, immutabili e necessarie, che costituiranno il punto di partenza del nuovo sapere (princìpi universali da cui potremo dedurre i casi particolari). Tali princìpi sono oggettivi. La garanzia divina e il metodo dell’evidenza sono il fondamento dell’infallibilità della ragione. L’errore è dovuto a fretta, distrazioni e passioni, ossia alla volontà dell’uomo. Se seguiremo l’intelletto, non sbaglieremo.
Critiche alle prove dell’esistenza di Dio
Le prove dell’esistenza di Dio furono molto criticate. Per quanto riguarda la prima, i critici sostengono che l’uomo può possedere l’idea di perfezione perché l’ha conquistata con l’esperienza, ponendo in gerarchia tutte le cose più o meno perfette che lo circondano. La prova ontologica era stata già criticata da S.Tommaso perché comporta un passaggio indebito dal piano del pensiero a quello della realtà. Inoltre l’esistenza non è una perfezione appartenente soltanto a Dio,
ma uno stato di fatto, appartenente anche a esseri imperfetti (come sono l’uomo, la natura e tutte le cose esistenti).
Res cogitans e res extensa: dualismo
Il cogito ci permette di pervenire all’esistenza del nostro io, inteso da Cartesio come sostanza pensante (res cogitans): l’io è l’anima, una sostanza che ha come attributo fondamentale quello del pensiero.
Ma il pensiero è anche l’attributo di Dio, il quale è la Sostanza in assoluto: sostanza è ciò che non ha bisogno di altri per esistere, che esiste di per sé, è causa sui. Tale definizione appartiene soltanto a Dio, che è sostanza prima. Cartesio chiama sostanze seconde la res cogitans e la res extensa che, in quanto create da Dio, sono sostanze in quanto hanno bisogno soltanto di Dio per esistere.
La sostanza pensante non occupa spazio, non è materiale, ma è spirituale, è inestesa, consapevole e libera. Ma l’uomo si accorge di occupare uno spazio, di avere un corpo, da cui riceve le sensazioni. L’idea di estensione si riferisce al corpo umano e a tutti i corpi che occupano uno spazio, ossia sono estesi. Tale idea si presenta chiara e distinta; pertanto esiste la res extensa, dotata di estensione, movimento, grandezza e forma.
Rifacendosi a Galilei, Cartesio distingue le qualità primarie, oggettive (forma, grandezza e movimento) dalle qualità secondarie , soggettive (colore, odore, colore ecc.). Mentre le qualità oggettive sono proprie dell’estensione, ossia sono gli attributi della realtà materiale, alle qualità secondarie non corrisponde alcuna realtà: esse sono l’interpretazione soggettiva degli aspetti quantitativi della materia (aspetti qualitativi).
La sostanza pensante è inestesa, spirituale, consapevole e libera.
La sostanza estesa occupa spazio, è materiale, inconsapevole e meccanicamente determinata.
Ne deriva un dualismo: occorre spiegare il rapporto fra queste due sostanze, che si presentano unite nell’uomo. L’uomo pensa grazie alla sostanza pensante, ma agisce in conseguenza del suo pensiero utilizzando il corpo, sostanza estesa. Come può una sostanza spirituale e inestesa influire su una sostanza materiale ed estesa? Cartesio crede di superare tale dualismo ricorrendo alla ghiandola pineale (epifisi), che si trova nella parte più interna del cervello. Attraverso tale ghiandola avverrebbe il contatto tra l’anima e il corpo, che si influenzano vicendevolmente.