FILOSOFIA DELLA GUERRA

Riflessioni filosofiche sulla guerra

 

La filosofia, a differenza di tutte le altre scienze, è nata non per indagare su una parte della realtà (ad esempio la natura, il cielo, gli animali) ma per spiegare in modo critico, libero e razionale, la totalità delle cose e per studiare tutta la realtà.

La filosofia, fin dalle origini, studia anche l’uomo, il significato della sua esistenza, la sua capacità di scegliere tra il bene e il male. I filosofi si sono chiesti se l’uomo nasce naturalmente buono e se il bene e il male sono innati (diciamo istintivi), oppure sono il frutto di una scelta consapevole e razionale e se la società e la civilizzazione hanno condotto l’uomo alla razionalità o alla distruttività.

 

In origine la filosofia considerava la realtà come una contrapposizione di contrari. Secondo Eraclito la realtà è unità e molteplicità, è armonia di tensioni opposte. La realtà è costituita dai contrari, fra cui si determina armonia: essi sono legati l'uno all'altro e dipendono gli uni dagli altri. La tensione tra i contrari produce armonia, che è la vera Unità del mondo.

Eraclito considera la guerra elemento necessario per la pace poiché l'armonia, l'ordine e la stabilità del mondo si basano sull'equilibrio degli opposti senza i quali neppure esisterebbero gli esseri. È pura illusione pensare ad una condizione umana vissuta in un'eterna pace: c’è la pace perché vi è anche la guerra, che simboleggia la fonte di ogni realtà. Polemos (guerra) il padre di tutte le cose.

Nell’età moderna Hobbes sostiene che nello stato di natura si scatena il bellum omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti): ogni uomo allo stato ferino è come un lupo contro gli altri uomini (homo homini lupus). La guerra costituisce l'essenza naturale degli uomini, i quali, per paura di annullarsi a vicenda, ricercano la pace, che viene assicurata dalla forza dello Stato e dal potere assoluto del monarca.

L'Illuminismo ripudia la guerra, causata dal mancato uso della ragione e dall’intolleranza religiosa.

Nell'età romantica la guerra viene inquadrata i una visione finalistica e provvidenziale della storia. 

Secondo Hegel, le guerre promuovono il cambiamento e lo sviluppo progressivo della storia. Lo Stato costituisce la realtà assoluta dello Spirito, perché esso è unità di particolare e universale. Lo Stato è lo spirito vivente, la ragione immediata, il dio terreno, che subordina a sé l’individuo e fonda la morale e il diritto.

Per mezzo dei diversi Stati che si succedono nelle diverse età, l’Idea dello Stato si realizza gradatamente: l’Assoluto non può essere rinchiuso in una determinazione particolare. Lo Stato ideale è quello in cui la volontà di tutti gli individui e i loro diritti si

identificano con lo stato. Gli Stati entrano in conflitto tra loro per la dialettica dell’Assoluto, mediante la guerra, che è un mezzo attraverso cui lo spirito del mondo attua la storia universale. Ogni guerra è una guerra di idee: gli uomini combattono per motivi

ideali, spinti dalla ragione. La guerra è l'astuzia della ragione. Gli stati nascono, passano e muoiono, ma la Storia vive sempre. La storia assume un posto fondamentale nell’identificazione di razionale e reale, perché esprime la razionalità dell'Idea: la storia è

l’attuazione dello Spirito, la rivelazione dialettica di Dio.

 

Freud affronta il problema della guerra in un famoso scambio epistolare con Albert Einstein.

Come Einstein, anche Freud ritiene che sia molto facile infiammare gli uomini alla guerra, perché è presente in loro una pulsione all’odio e alla distruzione, che viene facilmente istigata in caso di guerra. Le pulsioni dell’uomo sono soltanto di due specie: quelle che tendono a conservare e a unire (pulsioni erotiche o sessuali) e quelle che tendono a distruggere e a uccidere (pulsione aggressiva o distruttiva).

Tutte e due le pulsioni sono indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Ogni pulsione agisce anche con quella opposta: la pulsione di autoconservazione deve ricorrere all’aggressività. Allo stesso modo la pulsione amorosa, rivolta a oggetti, necessita della pulsione di appropriazione per impadronirsi del suo oggetto. Le azioni umane rivelano una complicazione di altro genere… Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si destino in loro impulsi distruttivi mescolati con altri impulsi, erotici e ideali.

La pulsione distruttiva opera in ogni essere vivente ed aspira a portarlo alla rovina, mira a ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Essa è la pulsione di morte, mentre le pulsioni erotiche rappresentano sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge la propria vita distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all’interno dell’essere vivente e da ciò deriva tutta una serie di fenomeni normali e patologici. La coscienza morale nasce dal rivolgersi dell’aggressività verso l’interno. Il volgersi di queste forze pulsionali alla distruzione nel mondo esterno scarica l’essere vivente e si manifesta con impulsi esecrabili e pericolosi (aggressività e distruttività), che sono naturali nell’uomo e contro i quali noi combattiamo sono più vicini alla natura di quanto lo sia la resistenza con cui li contrastiamo.

Non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Non è possibile abolire completamente l’aggressività umana, ma la si può incanalare in altre direzioni, in modo che non debba trovare espressione nella guerra.

Contro la pulsione distruttiva bisogna ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros.

Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti di identificazione.

Su di esse riposa l’assetto della società umana. Le modificazioni psichiche che intervengono con la civilizzazione consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsionali Le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono. La civiltà pone dei limiti alla manifestazione delle pulsioni aggressive attraverso norme e restrizioni ed ha lo scopo di indirizzare le pulsioni individuali

verso forme di scaricamento socialmente accettabili.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Sigmund Freud - Il disagio della civiltà

Sigmund Freud - Totem e tabù

Sigmund - Introduzione alla psicoanalisi

Erich Fromm - Anatomia della distruttività