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L. FEUERBACH - L'essenza del cristianesimo (testo integrale)
Secondo me il vero scopo di un filosofo non è quello di cambiare il mondo, ma di capirlo, e cioè l'esatto opposto di quel che ha detto Marx. (BERTRAND
RUSSELLl).
Rapporti con Hegel e Feuerbach
Marx continua il capovolgimento dell’Idea hegeliana intrapreso da Feuerbach, l’unico che ha sviluppato una seria critica della dialettica hegeliana. Come lui sostiene che bisogna partire dalla realtà concreta in opposizione all’astrattezza dell’Idea. La dialettica di Hegel cammina sulla testa anziché sui piedi, perché parte dall’astratto anziché dal concreto, dalla Ragione anziché dalla realtà vera.
Marx capovolge la posizione hegeliana: bisogna procedere dal concreto all’astratto, dalla realtà naturale all’Idea, dalla materia allo spirito. Marx accetta da Feuerbach la concezione dell’alienazione religiosa, un processo di progressiva estraniazione compiuta dall’uomo su se stesso quando nega a sé determinati attributi e li proietta su un essere superiore. Per Feuerbach è nella religione che va individuata la vera causa della negazione dell’uomo e del progressivo impoverimento del suo essere.
Marx critica Feuerbach, il quale non si è chiesto il perché l’uomo senta il bisogno di alienarsi. Ciò non avverrebbe se l'uomo non si sentisse già alienato nella vita terrena, oppresso da un'iniqua situazione sociale. Feuerbach considera l'uomo come un individuo astratto e isolato. L’uomo va concepito nella sua connessione con gli altri uomini, non in un utopistico legame costituito dall’amore, bensì dagli uomini realmente esistenti ed operanti.
L’amore per l’umanità non è in grado di risolvere i gravi problemi dell’umanità. L’unica vera forza socializzatrice, in grado di realizzare le capacità umane e di trasformare il mondo è il lavoro: è nel lavoro la vera essenza dell’uomo.
Compito della filosofia
La filosofia non deve studiare l’uomo astrattamente inteso, ma deve riconoscere l’importanza dell’attività umana. Da qui partirà Marx per la sua concezione filosofica. La filosofia deve fornire delle indicazioni concrete, deve indicare le reali possibilità di migliorare le condizioni dell’umanità. Se la contraddizione tra ciò che l’uomo è e ciò che vuole essere non viene risolta, permangono le cause dell’alienazione umana e l’uomo continuerà ad evadere i problemi reali e a foggiarsi un suo mondo fantastico.
La filosofia precedente si limitava ad interpretare il mondo. Per Marx essa deve cambiarlo. Se l’uomo di Feuerbach si è rivelato in tutta la sua astrattezza, sono pur sempre gli individui concreti, con i loro bisogni, a costituire il presupposto di tutta la storia umana. Feuerbach aveva sostenuto che bisogna restituire all’uomo la sua umanità, facendo in modo che egli si riappropri di quegli attributi che egli aveva proiettato su Dio.
Ma, secondo Marx, l’uomo deve anche riappropriarsi delle forme di organizzazione sociale e dello Stato, che per Hegel erano manifestazioni dello Spirito, ma che in realtà sono prodotti dell’uomo. Marx critica Hegel per aver ridotto l’uomo ad autocoscienza e per non aver analizzato la storia concreta dell’umanità, ma solo una storia ideale. Feuerbach aveva rimesso con i piedi per terra l’uomo, dopo che Hegel lo aveva poggiato sulla testa: ora bisogna mettere con i piedi per terra anche il mondo dell’uomo.
La problematica dell’alienazione
L’alienazione che, per Feuerbach, era la proiezione, da parte dell’uomo religioso, della propria realtà su una potenza estranea, cioè Dio, per Marx non è la causa dei problemi dell’uomo, ma è una conseguenza di altre cause.
1)l’alienazione religiosa è stata creata dalla classe dominante per costringere la classe dominata all’accettazione rassegnata della propria miseria, nella speranza di una soddisfazione almeno nella vita futura; pertanto la religione è l’oppio dei popoli.
2)l’alienazione economica deriva dal fatto che quanto più il lavoratore produce la ricchezza, tanto più fa arricchire il suo padrone e tanto più aumenta il divario fra la ricchezza del capitalista e la sua miseria: il lavoratore è alienato rispetto al frutto del proprio lavoro, perché non se ne può appropriare.
3)l’alienazione politica è determinata dalla classe dirigente, che detiene il potere economico e politico, mentre la classe operaia è estranea al potere politico.
4)l’alienazione sociale è la gravissima disuguaglianza sociale determinata dalla divisione della società in classi.
L’alienazione è un fatto concreto, storico, dipendente dalle condizioni con cui l’uomo è costretto a vivere ed operare. Quando l’uomo lavora e non può godere appieno del frutto del proprio lavoro, quando con la sua attività e i suoi sacrifici arricchisce gli altri e impoverisce se stesso, si verificano quelle condizioni di sfruttamento e di miseria che causano ogni forma di alienazione.
Alla base di tutto sta la proprietà privata, su cui si fonda la logica del profitto: il proprietario dell’azienda è autorizzato a far lavorare gli altri e a incamerare tutto il guadagno: egli sfrutta il lavoro dei dipendenti per il suo unico profitto e non certo per il benessere di tutti.
La concezione materialistica della storia
Sia per Hegel che per Marx la storia è una totalità processuale dominata dalla contraddizione.
Idealismo storico: la storia è il divenire dello Spirito
Materialismo storico: la storia è il risultato dell’attività umana. Il soggetto della dialettica non è lo spirito, ma gli uomini concreti.
Marx vuole svelare la verità sulla storia, al di là delle ideologie. Non bisogna descrivere il modo in cui gli uomini APPAIONO nelle diverse ideologie, ma ciò che gli uomini SONO realmente.
Alla vecchia filosofia idealistica Marx contrappone una visione scientifica che deve esaminare lo sviluppo storico degli uomini. All’idealismo storico di Hegel Marx contrappone il suo materialismo storico.
Che cos’è l’umanità? Molti credono che l’uomo si distingua dall’animale per la sua coscienza, per la religione o la morale. Secondo Marx l’uomo si distinse dall’ominide unicamente quando cominciò a produrre i mezzi per la sua sussistenza e a non vivere più alla giornata, ossia in forza della sua attività manuale, grazie alla quale era in grado di provvedere ai suoi bisogni.
L’umanità è la più evoluta specie animale: essa è sorta quando gli individui, anziché lottare individualmente contro le bestie feroci, si sono associati per affrontare insieme i problemi comuni e per creare i mezzi necessari a soddisfare anzitutto i bisogni elementari: cibo, abitazione, difesa ai pericoli,ecc. La storia dell’uomo inizia quando egli crea i mezzi adatti a soddisfare i bisogni vitali. Ciò che gli uomini sono dipende dalle condizioni materiali di ciò che producono, cioè dal loro lavoro. Pertanto l’essenza dell’uomo sta nella produttività.
A differenza dell'Umanesimo di Feuerbach, il Materialismo storico di Marx vuole cogliere il movimento reale della storia: è la storia degli uomini associati per produrre i mezzi necessari a soddisfare i bisogni elementari.
L’essenza dell’umanità, la storia delle sue attività e lo sviluppo della società, sono determinati dalle condizioni materiali della vita. Le vere forze motrici della storia, dunque, non sono le forze spirituali (la religione, l’arte, le ideologie (le ideologie sono l’insieme di idee, rappresentazioni che mascherano la realtà con immagini e giustificazioni illusorie, che sono rappresentazioni deformate della realtà degli uomini e della società).
Le forze motrici della storia sono le forze materiali, ossia le forze economiche, che comprendono:
- le forze produttive, che comprendono uomini, mezzi e macchine necessari per produrre il lavoro;
- i rapporti di produzione, ossia i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel mondo del lavoro (rapporti economici fra le varie classi sociali). La chiave di lettura della società dal punto di vista statico (la sua ossatura economica), ma anche dal punto di vista dinamico (la spiegazione dell’andamento della storia e del divenire della società è costituita dalle forze produttive e dai rapporti di produzione, che insieme costituiscono la base economica della società, ossia la sua struttura. Su questo fondamento economico (struttura) nascono le sovrastrutture della società (rapporti politici, giuridici, filosofia, arte, letteratura). Pertanto le ideologie non sono le vere cause né delle situazioni sociali né dei cambiamenti della società, perché le vere cause sono dovute alla struttura economica. Le sovrastrutture dipendono dalla struttura, che è la vera forza della società.
Mentre la forze produttive sono in continua evoluzione, i rapporti di produzione si evolvono più lentamente. Da ciò deriva necessariamente la crisi.
Infatti, col progredire della storia, la produzione della ricchezza non è più privatistica ma sociale (frutto del lavoro collettivo di operai e dirigenti); perciò anche la distribuzione della ricchezza deve essere sociale e non privatistica.
Mentre per Hegel la storia è il divenire dello Spirito, per Marx essa è il risultato dell’attività umana. La storia rivela, attraverso i conflitti, il carattere dialettico della realtà e la conseguente trasformazione del mondo.
La storia dell’umanità è in continua evoluzione ed ha un carattere dialettico, ossia presenta una sua contraddittorietà interna, come sosteneva Hegel. Ogni epoca storica porta con sé ed alimenta quegli elementi che porteranno alla sua dissoluzione.
La storia dell’umanità è una storia di lotte di classe: in ogni fase della storia vi è sempre una classe in ascesa, mentre la classe che aveva dominato nell’epoca precedente cade in declino. Soggetto della dialettica storica non è più lo spirito, ma gli uomini concreti, che combattono per migliorare le proprie condizioni di vita.
Dal comunismo primitivo (lavoro collettivo, in cui non esisteva la proprietà privata) si è passati alle civiltà antiche, basate su un’economia schiavistica, in cui è nata la proprietà privata e lo sfruttamento del lavoro altrui. L’economia schiavistica genera il feudalesimo, in cui nasce una nuova classe, la borghesia, che rovescia il feudalesimo. Dalla borghesia sorge il proletariato, la grande classe dei lavoratori dell’industria. I proletari sono sempre più sfruttati dai capitalisti e vengono ridotti in miseria. Il proletario è colui che lavora e produce, ma non possiede la proprietà dell’azienda e non usufruisce dei vantaggi del suo lavoro, in quanto viene sottopagato e maltrattato.
Solo una parte del salario che riceve è proporzionato al valore reale del suo lavoro (valore-lavoro). La differenza è il pluslavoro, che non è pagato e costituisce un plusvalore, di cui si appropria il capitalista (accumulazione del capitale). Il capitalismo, oltre allo sfruttamento del lavoro operaio, comporta alti costi umani: disoccupazione, stress, lavoro alienante e disuguaglianze sociali.
Il Capitale
Ogni merce ha un valore d’uso (dev’essere utile a qualcosa e ciò dipende dall’uso ossia dal consumo che si fa della merce) e molteplici valori di scambio (le altre merci con cui può essere scambiata) che dipendono da un fattore comune, cioè dalla quantità di lavoro socialmente necessario (produttività sociale media in un determinato periodo storico) per produrla. Più lavoro è necessario per produrre una merce, più essa vale.
Il valore non si identifica col prezzo, su cui influiscono altri fattori, come l’abbondanza o la scarsezza di una merce. Marx contesta il feticismo delle merci, tipico del capitalismo, in cui il prodotto domina l’uomo e i rapporti sociali appaiono come semplici rapporti fra cose, autonome rispetto a chi le ha prodotte e dimenticando che le merci sono il frutto del lavoro umano.
Nel capitalismo la produzione non è solo finalizzata al consumo ma anche all’accumulazione del denaro. La formula del processo capitalistico è
D – M – D¹ (denaro – merce – denaro uno ovvero più denaro)
perché il denaro acquisito alla conclusione del ciclo è aumentato rispetto al denaro impiegato inizialmente per comprare la merce.
Il plusvalore
Marx parte dal presupposto che il valore di un bene sia dato dalla quantità di lavoro necessaria a produrlo (come già dicevano gli economisti classici Smith e Ricardo). Ora, il capitalista compra la forza-lavoro dell’operaio dandogli un salario. Se infatti il capitalista desse al salariato l’intero prodotto del suo lavoro, non ne avrebbe per sé alcun profitto. Egli invece paga solo in base a quanto occorre per il sostentamento dell’operaio. Da ciò si origina il plusvalore, che è quella parte del valore prodotto dal lavoro salariato (pluslavoro) di cui il capitalista si appropria. Ed è proprio il plusvalore che rende possibile l’accumulazione capitalistica, cioè la produzione del denaro col denaro.
Marx distingue tra capitale variabile (il capitale investito nei salari) e capitale costante (quello investito nei macchinari e in tutto ciò che serve per far funzionare la fabbrica). Poiché il plusvalore nasce solo in relazione ai salari, ossia al capitale variabile, il saggio del plusvalore, ossia la percentuale del plusvalore, è dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile. Ma il capitalista investe non solo in salari ma anche in impianti (capitale costante), per cui il saggio del profitto (ciò che intasca il capitalista), deriva dal rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile più quello costante. Di conseguenza il saggio di profitto sarà sempre minore rispetto al saggio del plusvalore.
La caduta tendenziale del saggio di profitto
Per ottenere una sempre maggior produttività nel lavoro, vi è la necessità nell’economia capitalistica di introdurre nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro. Proprio l’aumento di produttività genera il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione. Essa porta anche alla distruzione dei beni e alla disoccupazione. Genera altresì la caduta tendenziale del saggio di profitto, la legge per cui, aumentando smisuratamente il capitale costante (macchine e materie prime) diminuisce il saggio di profitto, cioè il guadagno del capitalista.
La legge equivale ad un andamento decrescente ed è il "tallone d’Achille" del sistema capitalistico: essa, mettendo in difficoltà la borghesia, finisce per produrre la scissione della società in sole due classi antagonistiche, con pochi capitalisti da una parte e molti salariati sfruttati dall’altra. Ma ciò porterà all’inevitabile rovesciamento del capitalismo e alla rivoluzione proletaria con la vittoria finale del comunismo.
La storia dell’umanità si concluderà con la vittoria del proletariato sulla borghesia con la dittatura del proletariato: i lavoratori dovranno insorgere, impadronirsi degli strumenti di produzione e prendere in mano il potere; divideranno in ugual misura gli strumenti produttivi e aboliranno la proprietà privata, instaurando una società senza classi. Solo in una società comunista ogni uomo, riconquistata la sua umanità e la sua dignità, saprà realizzarsi mediante il lavoro, che è lo strumento più efficace per l’affermazione di sé e delle proprie capacità.
La filosofia deve concludersi indicando all’uomo la necessità della lotta per restituirgli la sua autentica libertà, eliminando l’alienazione economica, unica vera causa di ogni alienazione umana. E’ utopistico tentare di cambiare la società partendo dalle sovrastrutture, come l’amore o la religione: non si deve partire da ciò che gli uomini dicono, pensano e si rappresentano, ma da ciò che fanno, dalla loro azione (prassi) e non dalla teoria.