FICHTE
Dal Criticismo all'Idealismo
Fichte, entusiasta sostenitore del pensiero di Kant, presto si rende conto dei suoi numerosi dualismi: a priori e a posteriori, forma e contenuto, soggetto e oggetto. Rifiuta il Dogmatismo, che considera il pensiero come un prodotto della Natura, e fonda l’Idealismo, che parte dal pensiero per spiegare la realtà in base ad un principio unico ed assoluto da cui tutto deriva. La realtà è spirituale, è pensiero, è la sorgente di tutta la realtà, è attività perché crea se stessa e le cose. Il Pensiero abbraccia contenuto e forma, pensiero e realtà, soggetto e oggetto. Il noumeno è prodotto dall’Io, ossia è un fenomeno conoscibile. L’oggetto, il contenuto, l’a posteriori sono posti dal soggetto, sono un modo di svolgimento del pensiero. L’oggetto è il soggetto visto sotto un particolare aspetto.
I tre principi della Dottrina della scienza
Il fondamento della scienza non è il principio di identità: A = A non è il primo principio, non è originario, ma derivato; dobbiamo spiegare prima da dove derivi A. Dovremmo dire Io = Io. Soltanto l’Io è condizione incondizionata: non è posto da nulla, ma si autopone. Bisogna partire dall’IO, che è pensiero e principio primo, unico, è puro e infinito, creatore, che è insieme Dio e il mondo, fenomeno e noumeno, soggetto e oggetto. Prima dell’Io non vi è nient’altro. Dalla funzione del pensiero (Io puro) derivano:
- il soggetto pensante (io empirico);
- l’oggetto pensato (non-io).
I tre princìpi sono momenti logici, ma non cronologici.
1° principio: L’Io pone se stesso (TESI).
L’Io di cui si parla è l’Io in generale.
L’Io penso, costruttore dell’esperienza, non può essere individuale e finito, ma deve essere universale e infinito; non legislatore, ma creatore della realtà. Tutta la realtà si origina da un unico principio: l’Io Puro, inesauribile attività di pensiero, unico principio materiale e formale della conoscenza, che crea sia il soggetto che l’oggetto, infinita attività creatrice, con la quale pensa e crea se stesso e le cose. Il pensiero non può avere altri limiti al di fuori di quelli che egli stesso pone.
L’IO puro è autocoscienza: noi sappiamo che qualcosa esiste soltanto quando ne abbiamo coscienza. Ma la coscienza è, prima di tutto, coscienza di sé, autocoscienza: la coscienza non può avere altro oggetto che se stessa: è coscienza di sé. Il primo principio è dunque l’Io stesso, soggetto assoluto, che pone se stesso come esistente. Niente è prima dell’Io: l’Io non può affermare nulla se non afferma la propria esistenza. L’Io non è posto da nessuno, ma si pone da sé, crea se stesso, si autocrea, “si fa”. L’Io puro è infinito perché non è limitato da nulla; è attività creatrice e prodotto della sua stessa attività, che avviene in modo infinito e libero (libertà). L’Io costruisce se stesso tramite la propria libertà e, attraverso un processo dialettico, pone a se stesso delle contraddizioni che supera incessantemente, sia nella conoscenza che nella morale. Ma l’Io non è mai pago: superato l’ostacolo, è spinto continuamente a superare nuovi ostacoli.
2° principio: L’Io pone il non-io (ANTITESI)
Il non-io di cui si parla è la Natura (il non-io).
L’Io infinito non può porsi in modo statico: esso è azione, che si pone in modo dinamico. Ponendosi, l’Io si determina, si oggettiva in qualcosa di diverso da sé, oppone a sé il non-io, ossia la natura. Il non-io esiste, non è apparenza, ma è una realtà in quanto è posta dall’Io. L’Io deve porre il non-io, che è necessario all’Io (necessità). La coscienza del limite fa nascere nell’Io l’esigenza di superarlo: l’Io tende a ricomprendere in sé il non-io per ricostituirsi come Io assoluto. Il non-io è la Natura, che non esiste come realtà a sé stante, non è una realtà autonoma, ma esiste soltanto come opposizione allo Spirito e non preesiste ad esso. Essa è un momento dialettico necessario della vita dello Spirito; esiste soltanto per l’Io, non per sé. Non può esserci un creatore senza il creato, un produttore senza il prodotto.
3° principio: L’Io oppone nell’Io, all’Io divisibile, un non-io divisibile (SINTESI).
L’Io di cui si parla è la singola individualità di ogni uomo (l’io empirico).
Col 2° principio l’Io si distingue da ciò che non è, pone il non-io, inconsciamente. Col 3° principio perveniamo alla situazione concreta degli io finiti che hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti (non-io) finiti.
L’Io, per poter essere tale, deve presupporre di fronte a sé il non-io, trovandosi in tal modo ad esistere come io finito (sintesi di necessità e libertà).
L’Io si scopre limitato dal non-io, io empirico, finito, individuo condizionato dalla natura interna o esterna: per ricostituire l’unità dell’Io, deve superare il non-io. Il non-io è il motore che mette in azione l’Io: senza di esso l’Io non potrebbe agire. Ponendo il non-io, l’Io si scopre limitato e finito. Il fine ultimo dell’io finito sta nel raggiungimento dell’Io puro, rimuovendo gli ostacoli costituiti dal non-io. La coscienza del limite fa nascere nell’Io l’esigenza di superarlo: l’Io tende a ricomprendere in sé il non-io per ricostituirsi come Io assoluto. L’io empirico deve aspirare all’Io infinito: l’infinito per l’uomo è un dover essere e una missione. L’io empirico deve essere un io libero, che vince gli ostacoli e supera ogni limite. L’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà e una lotta contro la natura esterna (le cose) e interna (gli istinti). L’uomo rappresenta la ragion d’essere dell’universo. Egli è in continua ascesa. Per superare la propria finitudine deve superare l’ostacolo rappresentato dal non-io (la natura) con la duplice attività dell’Io: attività teoretica (rappresentazione) e morale. Per ricostituirsi come io assoluto, l’io empirico ha bisogno dell’attività teoretica e di quella pratica.
Dall’azione del non-io sull’io nasce la conoscenza; dall’azione dell’io sul non-io nasce la morale.
LA CONOSCENZA
L’Io risulta finito (in quanto limitato dal non-io) e infinito (perché l’Io comprende il non-io). Attraverso la conoscenza l’Io acquista progressivamente coscienza di essere il principio di tutte le cose e la fonte di tutta la realtà e scopre che l’oggetto è opera del soggetto.
L’attività teoretica comprende sia un momento inconscio (produzione), sia uno cosciente (riflessione). Per Fichte l’immaginazione produttiva (attività spontanea inconscia) produce l’io empirico e il non-io, ossia le condizioni materiali del conoscere: se non ci fosse un oggetto da conoscere (il non-io), non ci sarebbe conoscenza. Ponendo il non-io, l’Io si scopre limitato e finito; deve superare la propria finitudine, superare l’ostacolo rappresentato dal non-io (la natura). Mediante la riflessione, che è attività cosciente, l’io acquista progressivamente coscienza di sé e supera l’ostacolo prodotto dal non-io: l’oggetto si rivela dunque opera del soggetto: Io = autocoscienza.
I gradi della conoscenza sono la sensazione, l'intuizione, l'intelletto, il giudizio e la ragione.
Con la conoscenza l’io scopre l’io empirico, il non-io e l’Io infinito; ma la conoscenza non ci spiega perché l’Io ha posto il non-io e si realizza come io finito. La conoscenza spiega il come, non il perché dell’opposizione del non-io all’io (ossia la conoscenza). Tale spiegazione spetta alla morale.
LA MORALE
Con la morale l’io finito si rende consapevole del fatto che l’Io infinito ha posto il non-io, realizzandosi come attività conoscitiva, soltanto per poter agire. Superando il non-io, ossia gli impulsi materiali e irrazionali, l’io finito supera la propria finitudine: lo spirito trionfa sulla materia. L’Io, liberandosi dagli oggetti che egli stesso pone, torna in se stesso. Non vi può essere alcuna attività morale senza un ostacolo da superare. Il mondo degli oggetti, la natura forniscono gli impulsi che si oppongono alla realizzazione dell’io.
L’io è volontà morale; il mondo è il materiale del dovere. Pertanto l’io deve superare tali impulsi, ma egli non è mai pago di quel che è e tende sempre a quel che deve essere. La morale rende possibile lo sforzo e la lotta, proponendo all’Io sempre nuovi compiti da svolgere.
L’Io è sempre attività, ma l’attività principale dell’uomo è quella pratica. Pertanto l’io deve continuamente superare il non-io per ritornare alla sua assolutezza. E’ l’imperativo categorico di Fichte. Il dovere dell’uomo è quello di agire come essere razionale, perché l’uomo è un essere razionale, per cui lo spirito deve trionfare sulla materia.
L’attuazione dell’Io non è mai compiuta: l’Io non deve mai fermarsi. Ogni sosta è una colpa: la vita morale è un incessante superamento di ostacoli.
Come Kant aveva affermato che la morale è superiore alla conoscenza perché permette all’uomo di abbracciare la metafisica, anche Fichte afferma il primato della ragion pratica su quella teoretica: la conoscenza è soltanto un mezzo per attuare la morale.
La missione dell’uomo, del dotto e del popolo tedesco
Secondo Fichte l’uomo si fa uomo tra gli uomini: il dovere dell’io finito va compiuto in società (missione dell’uomo). Un singolo io finito non può realizzare l’unità dell’Io infinito: per superare la finitudine occorre realizzare il dovere morale insieme con gli altri io finiti.
La missione dell’uomo consiste nel vivere in società, per farsi libero e per rendere liberi gli altri. Essa consiste nella progressiva conquista della libertà, da attuarsi mediante il superamento degli istinti e mediante l’unificazione di tutti gli uomini viventi con quelli del passato (Regno dei fini).
La missione del dotto consiste nel porre la propria cultura a disposizione del popolo per favorire il progresso reale dell’umanità, nel condurre gli uomini alla coscienza dei loro veri bisogni e realizzarli.
Lo Stato, per Fichte, ha un carattere etico: esso ha il compito di garantire i diritti naturali dei cittadini e di elevare moralmente il popolo, spingendolo ad agire unicamente per il dovere. Lo Stato è la sola realizzazione del diritto naturale. Esso deve procurare a tutti la possibilità di vivere del proprio lavoro; distribuisce ricchezza e proprietà ed assicura benessere a tutti.
La missione del popolo tedesco consiste nel compito di educare e guidare gli altri popoli, indirizzandoli verso il progresso. Il popolo tedesco, unico fra tutti, ha conservato, attraverso i secoli, la purezza della lingua, del carattere e della religione. Esso è un popolo puro e originario, a cui spetta il primato su tutti i popoli: realizzare un profondo rinnovamento dell’Umanità.
SCHELLING
Rapporti con Fichte
Schelling parte dalla filosofia dell’infinito di Fichte: sostiene che l’Io non può essere puro se, per attuarsi, deve affermare un non-Io che lo limita. Accusa Fichte di aver svuotato la natura di ogni realtà, definendola come non-io, produzione inconscia dell’Io a cui è di ostacolo. Il Principio non è solo l’Io o il non-io, ma è l’Assoluto, che si realizza nell’io e nel non-io, nella coscienza e nella natura, nel pensiero e nella realtà. Gli opposti (soggetto e oggetto, natura e spirito) sono entrambi attività dell’Io; a questa condizione la loro sintesi può diventare reale e non un ideale all’infinito. Gli opposti s’implicano reciprocamente: essi sono ideali, ma possono diventare reali solo nella loro sintesi.
L'Assoluto
L’Io puro di Fichte diventa l’Assoluto, unità indifferenziata di soggetto e oggetto, di natura e spirito, il principio di tutta la realtà, che non è riducibile né al soggetto né all’oggetto, ma è il fondamento di entrambi: esso può essere pensato indifferentemente come soggetto e oggetto, come ideale e reale, attività cosciente e inconscia.
Lo sviluppo dell'Assoluto
Compito della filosofia è di ricostruire la storia della graduale attuazione dell’Assoluto, attraverso le varie tappe della sua vita sia cosciente che inconscia.
In un primo momento l’Assoluto si pone inconsciamente come Natura; in un secondo momento si pone coscientemente come Spirito.
Natura e Spirito, corrispondenti al non-Io e all’Io di Fichte, non sono realtà diverse, ma costituiscono un duplice aspetto dell’Assoluto.
La filosofia della Natura parte dal reale e mostra come la Natura, nella sua evoluzione, tende a risolversi nello Spirito. La filosofia dello Spirito parte dall’ideale e mostra come lo Spirito si realizza gradualmente nella Natura, producendo la materia e le forze naturali.
La filosofia della Natura
Schelling rifiuta il modello meccanicistico di Galilei, che spiega i processi naturali con formule meccaniche e il modello finalistico-teologico: la presenza di un Intelletto divino compromette l’autonomia dei processi naturali. La sua fisica speculativa, basata su rapporti di forze, in cui le parti della Natura non sono accostate, ma costituiscono un tutto armonico, è L’Organicismo finalistico immanentistico. Ogni parte ha senso soltanto in relazione al tutto; nella natura si esplica una finalità superiore immanente. La Natura ha una realtà indipendente: essa è costituita dalla stessa spiritualità che si rivela nello Spirito. La storia della natura è la Preistoria dello Spirito.
Processo dialettico – La Natura non può essere ridotta a non-io perché include un principio produttivo. Essa è dinamica: per attuarsi deve incontrare e superare un impedimento che porta in sé. La Natura si esplica in una serie infinita di creature (attività inesauribile). Nella Natura agiscono due tendenze opposte:
1)attrazione, forza positiva, produttiva, che si espande;
2)repulsione, forza negativa, improduttiva, ossia un limite che si oppone alla forza positiva.
Per gradi, la Natura si attua in forme sempre più perfette e complete, dalla materia (mondo inorganico) ai fenomeni fisici e chimici fino al mondo organico (vita). Il punto più alto nella scala degli organismi viventi è occupato dall’uomo, l’unico essere capace di riflettere se stesso e dotato di autocoscienza. L’uomo che, considerato nell’infinitudine del cosmo, appare come una piccolissima cosa, è in realtà il fine ultimo della Natura, perché in lui si ridesta lo Spirito.
La filosofia dello Spirito
La filosofia dello Spirito (idealismo trascendentale) si basa sul concetto di autocoscienza (la coscienza che l’Io ha di sé), in cui si manifesta un’antitesi tra due attività: un’attività reale ed un’attività ideale.
1)attività reale, oggettiva: come Fichte, anche per Schelling l’Io, ponendosi liberamente all’infinito (inconsciamente), incontra il limite e diventa limitabile;
2)attività ideale, soggettiva. L’Io si intuisce e si autoproduce all’infinito, pone il limite, lo supera ad un livello sempre superiore, diventa illimitabile e cosciente.
I tre momenti della vita dello spirito sono:
1)attività teoretica (conoscenza);
2)attività pratica;
3)attività estetica (arte).
Filosofia della Natura *Parte dal realismo, dall’oggetto, per giungere all’idealismo, al soggetto. *La Natura è spirito visibile *La Natura si fa intelligenza |
Filosofia dello Spirito *Parte dall’idealismo, dal soggetto per giungere al realismo, all’oggetto.
*Lo Spirito è Natura invisibile *L’intelligenza si fa natura |
Attività teoretica
Nella conoscenza il soggetto si rappresenta l’oggetto e dipende da esso. Egli acquista autocoscienza attraverso tre tappe:
1)dalla sensazione all’intuizione: l’Io non ha coscienza della propria attività; avverte l’oggetto come cosa in sé, che lo limita (sentire = patire);
2)dall’intuizione alla riflessione: l’Io si intuisce come soggetto e si oggettiva ricorrendo alle forme a priori (spazio, tempo e categorie);
3)dalla riflessione alla volontà: l’Io è consapevole di aver prodotto gli oggetti inconsciamente, prende coscienza di sé come attività produttrice, come intelligenza che si autodetermina, come volontà.
Attività pratica
La volontà si realizza in una comunità di individui i cui rapporti sono regolati dal diritto (necessità), dalla morale (libertà) e dalla storia, che è retta da libertà e necessità: il singolo agisce liberamente, ma il contesto umano è coordinato da una necessità e da una volontà superiore. La storia è la rivelazione dell’Assoluto, che non è uno spettatore, non è al di fuori della storia, ma partecipa ad essa. Attraverso la libera azione degli uomini Dio, vero poeta della storia, si realizza e si rivela attraverso tre periodi:
1)periodo dominato del destino (le civiltà antiche);
2)periodo dominato dalla natura (la repubblica romana);
3)periodo dominato dalla Provvidenza, che realizzerà la sintesi fra libertà e necessità, inconsapevolezza e consapevolezza. Gli individui nella storia sono collaboratori dell’opera divina e inventori delle proprie azioni.
Attività estetica
Nella filosofia teoretica e in quella pratica l’unità di natura e spirito non è raggiunta. Schelling cerca un’attività in cui si armonizzino completamente natura e spirito, conscio e inconscio. L’attività estetica risultano riuniti e armonizzati: 1)l’inconscio della natura mediante la spontaneità dell’ispirazione; 2)il conscio dello spirito mediante l’elaborazione cosciente e la realizzazione dell’opera artistica.
L’artista risulta spinto da una forza spontanea e inconsapevole, che lo ispira (ispirazione) e che realizza consapevolmente (esecuzione). Nel genio si svela l’intelligenza non come spirito, bensì come natura. Il genio esprime la bellezza, esprime l’Infinito in forme finite. Egli è il portavoce dell’Assoluto. L’arte presenta le cose come sono in se stesse, come si presentano nell’Assoluto: rappresentano le idee, le immagini delle cose. L’arte è una creazione umana simile a quella dell’Assoluto. Nell’arte Natura e Spirito coincidono perfettamente; pertanto solo l’arte realizza l’unità dell’Assoluto. Primato dell’attività estetica: l’attività artistica ha un valore superiore alle altre attività della vita cosciente. La filosofia dell’arte è il compimento di tutto il sapere filosofico: l’arte è l’organo della filosofia e solo l’artista è il vero filosofo.