ALEKSANDR ALEKSANDROVIC BLOK (1880 -1921)
Grandissimo poeta russo, nacque da una famiglia di raffinati intellettuali. Innamoratosi di Ljuba, la figlia del grande scienziato Mendeleev, la sposò nel 1903. A lei dedicò un ciclo di poesie (Versi sulla bellissima fama), in cui prevale il colore bianco e che gli diedero notorietà. Compose altre raccolte, La città, Faina e Maschere di neve, caratterizzate da colori carichi di simbolismo: il blu o il viola rappresentano la frustrazione; il giallo rappresentava il tradimento; il rosso era la carica passionale.
Le sue poesie sono cariche di significato simbolico. Nella prima raccolta il vento rappresenta l'arrivo della Dama; la primavera corrisponde al mattino, ossia alla possibilità di un incontro; la sera o l'inverno sono i terribili momenti della lontananza. La vita quotidiana, logorante e banale, è rappresentata dalla palude senza luce.
Divenne famosissimo e popolarissimo e alcuni poeti, tra cui Marina Cvetaeva, Anna Achmatova e Boris Pasternak, gli dedicarono alcune loro poesie.
ALEKSANDR BLOK - Sì. Detta così l'ispirazione
Sì. Detta così l'ispirazione:
la mia libera fantasia s'appiglia
sempre a quei luoghi dov'è umiliazione,
dov'è sporcizia e tenebra e indigenza.
Laggiù, laggiù, con più umiltà, più in basso, -
di là si scorge meglio un altro mondo...
Hai mai visto i bambini a Parigi
o sul ponte i poveri d'inverno?
Dischiudi gli occhi, schiudili al più presto
sul fittissimo orrore della vita,
prima che un grande nubifragio spazzi
tutto quello che c'è nella tua patria, -
lascia maturare il giusto sdegno,
prepara al lavoro le braccia...
E se non puoi, fa sì che in te si accumuli
e divampi il fastidio e la mestizia...
Ma di questo vivere mendace
cancella l'untuoso rossetto
e, come talpa timida, nasconditi
sotto terra alla luce ed impietrisci,
tutta la vita odiando con ferocia
e tenendo in dispregio questo mondo,
e, anche se tu non veda l'avvenire,
dicendo no alle cose del presente!
ALEKSANDR BLOK - Agli amici
Nella felicità nessuno crede.
Che fare! Vaneggiando dalle risa,
ubriachi, dalla strada contempliamo
il rovinare delle nostre case!
Nell’amicizia e nella vita perfidi
scialacquatori di vuote parole,
che fare! Andiamo spianando il cammino
per i nostri lontani discendenti!
Quando le ossa infelici marciranno
sotto un palizzata fra l’ortica,
qualche storico di epoche future
scriverà un’opera considerevole…
Così tormenterà quel maledetto
ragazzi che di nulla son colpevoli
con le date di nascita e di morte
e con mucchi di brutte citazioni…
Triste destino – vivere una vita
complessa, disagevole, pomposa,
divenir patrimonio d’un docente,
produrre schiere di critici nuovi…
Piuttosto seppellirsi in mezzo all’erba,
cadere in un eterno assopimento!
Tacete dunque, libri maledetti!
Io non vi ho scritti, non vi ho scritti mai!
ALEKSANDR BLOK - Poesia, al ristorante
Non mi scorderò mai (sia stata o non sia stata
quella sera): dall'incendio del crepuscolo
combusto e dilatato il cielo pallido,
e sul giallo crepuscolo i lampioni.
sedevo alla finestra nella sala gremita.
Chissà dove gli archetti cantavano d'amore.
Io ti mandai una nera rosa in un boccale
di Ai dorato come il cielo.
Mi guardasti. Ed io accolsi turbato e insolente
lo sguardo altezzoso e ti feci un inchino.
Volgendoti al tuo cavaliere, con intenzionale durezza
tu dicesti: "Anche quello è innamorato".
E subito in risposta le corde attaccarono
gli archetti intonarono un canto frenetico...
Ma tu mi eri vicina con tutto il tuo disprezzo giovanile,
col tremito della mano appena percettibile...
Ti lanciasti col moto di un uccello spaurito,
passando leggera come il mio sogno...
Soffiarono i profumi, si assopirono le ciglia,
cominciò a bisbigliare smaniosa la seta.
Ma dal fondo di specchi tu mi gettavi sguardi
e nel gettarli gridavi: " Afferra!..."
E il monile tinniva, ballava la zingara,
urlando al crepuscolo canti d'amore.
ALEKSANDR BLOK - Sulle dune
A me non piace il vano dizionario
delle frasi e vocaboli d'amore:
"Sei mio." "Son tua." "Io t'amo!" "Tuo per sempre.
A me non piace essere schiavo. Io guardo
la donna bella in fondo alle pupille
e le dico: "Stanotte. Sai, domani
è un altro giorno, nuovo e bello. Vieni.
Portami una follia nuova, trionfale.
All'alba me ne andrò via per cantare".
L'anima mia è semplice. Nutrita
fu dal vento salmastro e dall'aroma'
resinoso dei pini. Ella è segnata
dalle impronte medesime che rigano
la pelle segaligna del mio viso,
che è bello della squallida bellezza
delle fredde marine e delle dune.
Cosí pensavo lungo la frontiera
di Finlandia, la lingua decifrando
strana nei verdi occhi dei Finni scialbi.
C'era gran pace. Accanto alla banchina
un treno pronto accese fuoco e fumo.
Pigra la russa guardia doganale
riposava su un cumulo di sabbia
erto, dove finiva il terrapieno.
Là cominciava un'altra terra, e muta
una chiesa ortodossa contemplava
lo sconosciuto estraneo paese.
Cosí pensavo. Ed ella sopraggiunse,
si fermò sulla china: erano gli occhi
rossi di sabbia e sole. Ed i capelli,
unti come la resina dei pini,
cadevan sulle spalle in flutti azzurri.
S'accostò. S'incrociò il suo ferino
sguardo col mio sguardo ferino. Rise
ad alta voce. E gettò contro a me
un ciuffo d'erba e un pugno d'aurea sabbia.
Poi con un balzo risali. Scomparve,
galoppando al di là del terrapieno.
La inseguii di lontano. Mi graffiavano
le felci il volto. Insanguinai le dita,
mi lacerai il vestito. Ma correvo
urlando come belva e la chiamavo :
e la mia voce era suon di corno.
Ma lei, delineando un'orma lieve
sulle dune friabili, scomparve
fra le trame notturne degli abeti.
Ora io giaccio anelando sulla sabbia.
Ma ancora nelle mie rosse pupille
ella corre, ella ride: ed i capelli
ridono ancora, ridono le gambe,
ride al vento la veste nella corsa.
Io giaccio e penso: oggi sarà notte.
Domani sarà notte. Rimarrò
qui finché non l'agguanti come fiera
o col suono di corno della voce
non le tagli la fuga. E non dirò:
"Mia. Sei mia". Purché lei mi dica:
"Son tua! son tua!".
ALEKSANDR BLOK - Danza della morte
Com’è penoso per un morto fingersi
vivo e appassionato fra la gente
Ma bisogna introdursi in società,
nascondendo lo stridere delle ossa…
Dormono i vivi. Sorge dalla bara,
e va in banca, al senato, al tribunale…
Più bianca la notte, più nera la collera,
e cricchiano le penne trionfalmente.
(...)
Verso un gremito salotto a colonne
s’affretta il morto. Ha un elegante frac.
Gli porgono un benevolo sorriso
la sciocca padrona e il suo sciocco consorte.
È spossato dal tedio dell’ufficio,
ma la musica soffoca il fragore
delle ossa…Stringe le mani agli amici –
vivo, vivo egli deve apparire!
ALEKSANDR BLOK
*La mia luna è in un maestoso zenit
La mia luna è in un maestoso zenit.
Mi inebrierò di libertà notturna
e là mi avvolgerò in argentei fili,
in un eccesso di felicità.
Movendo incontro a un'ardente abulia
e a nient'altro che all'Alba futura,
annuisco all'azzurra largura
e mi tuffo nello scuro argento!...
Sulle piazze dell'afosa capitale
uomini ciechi cingottano:
- Che c'è sopra la terra? Un pallone.
Che c'è sotto la luna? un aerostato.
Ed io per il deserto inargentato
corro bruciando dal delirio,
e nelle pieghe d'una pianeta azzurro cupo
ho nascosto la mia Diletta Stella.
ALEKSANDER BLOK - La vergine di Spoleto
Sei sottile come cero del tempio,
l'occhio hai ferito da spade d' amore.
Io non ti chiedo un sol bacio: in silenzio
vorrei deporre sul rogo il mio cuore.
Io non ti chiedo una sola carezza:
t' offenderebbe la mia rozza mano.
Ma dal cancello ti guardo in purezza
rose di porpora cogliere e t' amo.
Sempre ti bruciano i raggi del sole
e via t' involi sul vento che fugge.
Su te c'è un angelo senza parole:
io gusto in cuore il dolor che mi strugge.
Mentre t'intreccio nei riccioli, adagio,
dei versi ignoti gli strani diamanti,
getto il mio cuore invaghito nel lago
meraviglioso degli occhi raggianti.
ALEKSANDR BLOK Tu mi vestirai d'argento
Tu mi vestirai d'argento,
e alla mia morte la luna spunterà - Pierrot celeste,
sorgerà il rosso pagliaccio ai quattro venti.
La morta luna è senza scampo muta,
non ha svelato nulla a nessuno.
Chiederà soltanto alla mia amica
a che scopo un tempo io l'abbia amata.
In questo sogno furioso a occhi aperti
mi capovolgerò col viso morto.
E il pagliaccio spaventerà la civetta,
tinnendo di sonagli sotto il monte...
Lo so: vecchio è il suo aspetto grinzoso
e impudico nella nudezza terrena.
Ma si leva l'ebrietà funesta
verso i cieli, l'altura, la purezza.
ALEKSANDR BLOK Se ammirerò di notte la tormenta
Se ammirerò di notte la tormenta,
m'infiammerò senza potermi spegnere.
A me l'azzurra notte ha bisbigliato,
ciò che è negli occhi tuoi, ragazza bella.
Una fiaba vellosa ha bisbigliato
ed un prato incantanto mi ha predetto
sul tuo conto parecchi sogni alati
sul tuo conto, mia amica misteriosa.
M' intreccerò come una ragnatela
di neve, i baci sono lunghi sogni
Sento il tuo cuore di cigno,
discerno l'ardente cuore della primavera.
L'Orsa Maggiore mi ha profetizzato,
e anche una strega, creatura del gelo,
che dentro agli occhi tuoi, ragazza bella,
sulla tua fronte c'è l'azzurra notte.
ALEKSANDR BLOK
Tutte, quand'ella è apparsa,
le amiche eleganti ha offuscato
e l'anima mia è comparsa
nel cerchio voluto dal fato.
Della neve nel gemito pungente
sono sbocciati i tuoi lineamenti.
A briglia sciolta la troika sonante
vola in quel puro e bianco alienamento.
A lungo hai scosso la tua sonagliera
nella campagna m'hai trascinato,
m'hai soffocato con la seta nera,
lo zibellino m'hai spalancato...
Forse per quella tua disinvoltura
sfrontata, piange il vento lungo il fiume,
squilla e si spegne nella pianura
ogni sonaglio, ogni fievole lume?
Chiusa è la tua cintura fino in fondo,
fingi modesto lo sguardo saettante!
Tutte le cose i minuti confondano,
vadano in fumo in un rogo fiammante!
Lascia che il vento si metta a cantare
le menzogne, la tua seta, a cantare!
Gli uomini non dovranno mai sapere
come le mani tue sono leggere!
Per un istante dietro la veletta
mi si è dischiusa la lontananza...
Come sopra la bianca lontananza
è caduta l'ombrosa veletta.
L'accenno di un canto primaverile
Il vento portò da lontano
l'accenno di un canto primaverile,
chissà dove, lucido e profondo
si aprì un pezzetto di cielo.
In questo azzurro smisurato,
fra barlumi della vicina primavera
piangevano burrasche invernali,
si libravano sogni stellati.
Timide, cupe e profonde
piangevano le mie corde.
Il vento portò da lontano
le sue squillanti canzoni.